lunedì 18 giugno 2007

Il ginocchio di Claire

Le genou de Claire di Eric Rohmer (1970) Con Jean-Claude Brialy, Aurora Cornu, Béatrice Romand, Laurence de Managhan, Gérard Falconetti, Fabrice Luchini Fotografia: Néstor Almendros (105 minuti) Rating IMDb: 7.5
Solimano
Il francese lo leggo correntemente, ma parlarlo ed ascoltarlo è un'altra cosa. La prima volta che vidi Le genou de Claire fu all'Obraz, cinema d'essai in Largo La Foppa a Milano (zona Garibaldi). Non era doppiato e nemmeno sottotitolato, ma compresi che Jerome (Jean-Claude Brialy) mette in atto una sua strategia per riuscire a toccare il ginocchio di Claire (Laurence de Monaghan). All'origine di tale impresa ci sono due notevoli eventi. Il primo è naturale ed è che le ciliegie maturano, prima o poi, e per coglierle serve una scala su cui Claire sale e Jerome si trova il ginocchio molto vicino agli occhi. Il secondo evento è culturale: una partita di tennis. Claire e il suo moroso, Gilles (Gérard Falconetti) sono seduti su una panchina vicino al campo da tennis, Jerome è in piedi, e vede il momento in cui Gilles appoggia la mano sul ginocchio di Claire e glielo carezza per un po'. Jerome fa il diplomatico per lavoro, ma è anche competitivo - come tutti- e si fa consigliare dalla sua amica Aurora (Aurora Cornu) che è scrittrice, ma non sembra che viva con i proventi dei libri. Tutta gente che sta bene: vivono in ville, e usano i motoscafi per visitarsi vecendevolmente. Lo so perché lo fanno: sul lago, per bello che sia, c'è sempre il rischio della noia, e allora bisogna strutturare le giornate.
Poi il film l'ho visto doppiato in italiano, però piuttosto male, ci si perdeva il sublime bla bla di Rohmer, era più la fatica che il piacere. Adesso mi sono comprato il cofanetto con i Racconti Morali, di cui Le genou de Claire fa parte, e adesso me lo guardo in francese con sottotitoli in francese. Credo sia la cosa migliore, se lo imparerò quasi a memoria rinuncerò ai sottotitoli - così vedrei meglio il lago.
Non mi metto a raccontare i tanti motivi per cui amo Rohmer, ma ce n'è uno particolare di questo film: unisce l'inconsistenza degli eventi ad una organizzazione ferrea dello svolgimento, comprese date, tempo atmosferico, vestiti, arredi. Non una organizzazione che si mostra alla vedete come sono bravo, ma un suo modo di far conversare gli attori e di conversare con noi. L'arte della conversazione è un'arte grande e benefica, specie se si trovano film come questo in cui non c'è la teatralità del dialogo progressivo, ma le circonvoluzioni abituali (non nevrotiche) del nostro cervello, un avanti/indietro mediante cui si persegue il vero obiettivo: la conversazione stessa. Non si tratta di raggiungere l'operatività di una decisione, si tratta, semplicemente - e felicemente - di conversare, tutto lì, trovando prima le motif, che in questo caso è le genou. Avrebbe potuto essere le livre o l'escalier, ma Jerome coglie bene il corollario erotico che c'è nella sua caccia al ginocchio - e noi stiamo con Jerome, che con Aurora innesca anche un lieve rapporto tipo Valmont/Merteuil. Alla fine i giochi si chiudono: Jerome fra otto giorni si sposerà, Aurora, senza dire nulla a nessuno, nemmeno a Jerome, si è trovato un possibile marito ricco e quasi bello, Claire continuerà con Gilles per tutta questa estate. Ma il personaggio più vivo è Laura (Béatrice Romand). Il film è del 1970, e mi è piaciuto rivedere subito dopo Conte d'Automne che è del 1998, quasi trent'anni dopo: Béatrice Romand ne è la protagonista. In Rohmer c'è anche questo: la storia personale, film dopo film, dei suoi attori e delle sue attrici, la sotteranea coerenza dei ruoli che assegna. La ragnatela della sua storia di regista si aggiunge alle ragnatele dei singoli film.

1 commento:

Anonimo ha detto...

mah, io davvero non capisco... i film di rohmer mi sebrano sempre uguali, futili nel loro descrivere borghesi annoiati in cerca di piccole avventure che non si concretizzano mai. "il ginocchio di claire" non fa ecccezione. quella che viene chiamata "eleganza" in rohmer a me sembra solo banale semplicità. pensavo che fosse uno di quegli autori che si fanno apprezzare sulla "lunga distanza" (ovvero giudicandoli per la loro poetica piuttosto che per le singole opere), ma aver visto quasi tutti i suoi film ha solo confermato la mia idea iniziale. parziale eccezione fanno, secondo me, "il segno del leone" e "la marchesa von..."
ciao,
alberto (albertogallo.wordpress.com)