Film d'amore e d'anarchia, ovvero 'stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza...' di Lina Wertmuller (1973) Sceneggiatura di Lina Wertmuller Con Mariangela Melato, Giancarlo Giannini, Eros Pagni, Lina Polito, Pina Cei, Enrica Bonaccorti, Anna Buonaiuto Musica: Nino Rota, Carlo Savina Fotografia: Giuseppe Rotunno Costumi: Enrico Job (120 minuti) Rating IMDb: 7.8
Solimano
Ancora Lina Wertmuller, dopo Travolti da un insolito destino, e non finirò qui, ce ne ho almeno un altro, forse due. Che sovrabbondanza di trovate! Di alcune potrebbe fare a meno, tipo il titolo lungo: Film d’amore e d’anarchia sarebbe un titolo perfetto, più bello non si può, e invece ci mette la giunta. Secondo me lo fa apposta, un po’ per spregio un po’ per sberleffo ai dottori in scienze filmiche che se la prendono con lei, fra supponenza ed invidia. Perché le invidiano la sua velocità vivace, il suo spendersi senza misura, il suo avere le mani piene non si sa se di gioielli o di bigiotteria, per me c’è di tutto, e i gioielli si riconoscono perché luccicano di meno, ma ci stanno, ci stanno.
In Italia c’è stata una diffusa cultura postribolare che ha riguardato giornalisti, scrittori, registi: Montanelli e Fellini, ad esempio.
In uno fra i film di Fellini che ammiro di più, Roma, c’è una lunga scena in un bordello di fronte a cui sono diviso, c’è il Fellini più grande, che per me è il Fellini potente, e il Fellini piccino, mischiato di nostalgie e di ghiribizzi maliziosi. Ma in letteratura ci sono esempi alti: la Ghisola di Con gli occhi chiusi e la Angiolina Zarri di Senilità. Forse, e non ci si bada, il più grande è nel Pasticciaccio, con le pagine in cui il commissario Ingravallo interroga Ines Cionini, e l’antro della Zamira, che finisce con il brano meraviglioso della gallina guercia, e magari lo inserirò nei commenti. Ma Gadda, Svevo, Tozzi sono ben altra cosa rispetto ai rimpianti mezzo gaglioffi mezzo coglioni e sempre dolciastri di altri, anche ben noti, in cui l’esaltazione del meretricio nei bordelli è un come eravamo: non erano bene, tutto lì.
Lina Wertmuller conosce questo lato a volte miserello del milieu di cui fa parte, e un po’ ci si adegua un po’ no, ma l’aiuto di Mariangela Melato è formidabile: la sua Salomè, prostituta focosissima e furba, ma affetta da idealismo anarchico, riesce a tenersi stretto il gerarca Spatoletti (Eros Pagni), di cui andrebbero sentiti e risentiti i monologhi tronfi che gli fa dire la Wertmuller. Ne esce una Italia trasformata dal fascismo in un paese-lupanare, si badi, non solo per violenza del regime, ma per corrispondenza a certi caratteri costruiti giorno per giorno nei secoli di dominazione spagnola, papalina, austriaca, borbonica e chi più ne ha più ne metta: l’Italia non paese povero ma povero paese, come diceva quello sciovinista di De Gaulle, avendo ragione, in questo caso. Tunin (Giancarlo Giannini) è l’anarchico che progetta un attentato e che viene ospitato nel bordello; sminuito nel confronto con Salomè, si riabilita alla grande quando incontra l’Amore per la Tripolina (Lina Polito), prostituta molto giovane e concupita da tutti, Amore assolutamente ricambiato. La storia finirà male, la trama la conoscete, ma c’è una parte del film che ho trovato di commossa grandezza: la Tripolina vuole tenersi Tunin, non vuole perderlo con l’attentato, e se lo imbambola a furia di amplessi, perché così la mattina non sentirà la sveglia e farà tardi all’appuntamento con l’attentato - con la galera e con la morte – e Salomè, pur utopista anarchica, le tiene bordone. Tunin si sveglia in ritardo, ma si ribella alla possibile felicità che gli sta davanti e corre - in ritardo – dietro al suo nero destino. Qui la commedia all’italiana diventa Tragedia vera, non da povero paese. Per me Lina Wertmuller se n’è accorta benissimo, di quello che le è uscito dalle mani, meno ci hanno fatto caso i dottori in scienze filmiche, disposti a togliersi il cappello di fronte ad operazioni di altri, operazioni seriose, noiose e furbe: retoriche, in una parola. Politicamente corrette, anche: ovvìa, certe cose alte in un bordello non possono accadere! E invece la Wertmuller le fa accadere e ce le fa ammirare, quindi c’è speranza che cose alte possano accadere perfino in un paese chiamato Italia.
domenica 17 giugno 2007
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5 commenti:
Ed ecco il brano della gallina guercia, che chiude mirabilmente alcune pagine del Pasticciaccio, dedicate da Gadda all'antro della Zamira, che è la chaperon, la ruffiana per capirsi di alcune ragazze dei castelli romani:
"...In quel punto, come evocata di tenebra, dall'usciolo socchiuso della scaluccia approdante in bottega (di cui li ragazzini fantasticavano, altri favoleggiavano e più d'uno pe via de la lettura de la mano avea pratica), si affacciò, e poi zampettò sul mattonato freddo qua e là con certi suoi chè chè chè chè tra due cumuli di maglie, una torva e a metà spennata gallina, priva di un occhio, e legato alla zampa destra uno spago, tutto nodi e giunte, che non la smetteva più di venir fuora, di venir su: tale, dall'oceano, la sàgola interinata dello scandaglilo ove il verricello di poppa la richiami a bordo e tuttavia gala d'una barba la infronzoli, di tratto in tratto: una mucida, una verde alga d'abisso. Dopo aver esperito in qua in là più d'una levata di zampa, con l'aria, ogni volta, di saper bene ove intendeva andare, ma d'esserne impedita dai divieti contrastanti del fato, la zampettante guercia mutò poi parere del tutto.
Spiccicò l'ali dal corpo (e parve estrinsecarne le costole per una più lauta inspirazione d'aria), mentre una bizza mal rattenuta le gorgogliava già nel gargarozzo: una catarrosa comminatoria. A strozza invelenita principiò a gorgheggiare in falsetto: starnazzò spiritata in colmo alla montagna di que'cenci, donde irrorò le cose e le parvenze universe del supremo coccodè, quasi avesse fatto l'ovo lassù. Ma ne svolacchiò giù senza por tempo in mezzo, atterrando sui mattoni con nuovi acuti parossistici, un volo a vela de' più riusciti, un record: sempre tirandosi dietro lo spago. Parallelamente allo spago e alla infilata dei nodi e dei groppi, un filo di lana grigio le si era appreso a una gamba: e il filo pareva questa volta smagliarsi da reobarbara ciarpa, di sotto al ridipinto ciarpame. Una volta a terra, e dopo un ulteriore co co co co non si capì bene se di corruccio immedicabile o di raggiunta pace, d'amistà, la si piazzò a gambe ferme davanti le scarpe dell'allibito brigadiere, volgendogli il poco bersaglieresco pennacchietto della coda: levò il radicale del medesimo, scoperchiò il boccon del prete in bellezza, diaframmò al minimo, a tutta apertura invero, la rosa rosata dello sfinctere, e plof! la fece subito la cacca: in dispregio no, è probabile anzi in onore, data l'etichetta gallinacea, del bravo sottufficiale, e con la più gran disinvoltura del mondo: un cioccolatinone verde intorcolato alla Borromini come i grumi di solfo colloide delle acque àlbule: e in vetta in vetta uno scaracchietto di calce, allo stato colloidale pure isso, una crema chiara, di latte pastorizzato pallido, come già allora usava.
Di tutta quell'aerodinamica, naturalmente, e del conseguente sgancio del gianduiotto, o boero che fosse, la Zamira ne profittò pe non risponde: intanto che dei piumicini a ricciolo, nervosi e teneri come d'un papero infante, persistevano ad alto a mezzaria mollemente ondulando, da parere anelli in dissolvenza, del fumo d'una sigheretta. Nel prodigio nuovo l'imperativo del Pestalozzi vanì. Lei la si levò ratta di seggiola con tutto il podere cilestrino, la si diè a ciabattare e a sventolar la gonna dietro alla torva, zinale non aveva, e a garrirla: "Via! via! sozzona, sporcacciona! Una partaccia così, zozza che nun se' altro! al signor maresciallo!"
Tantoché la zozza in parola, tuttavia gargarizzandosi di mille cocococò, e scaracchiandoli infine tutti in una volta al soffitto in un chechechechè riassuntivo, per quanto doppiamente ancorata e dallo spago e dal filo, la si levò a volo fino sul ripiano della credenza: dove, incazzatissima, e rivestita sua dignità, la depositò, nel vassoio di peltro, un altro bel caccheronzolo, ma più piccino del primo: pif! Con che sembrò aver evacuato il disponibile. La paura (dei carabinieri) fa novanta..."
Solimano, quando leggo il Gaddus mi eccito sempre, è più forte di me!
Brian
Brian, cosa ci sarebbe di più banale di una gallina, pure guercia, che svolacchia e scacheronzola? Eppure il Gaddus, col suo modo di vedere e di scriverne, la trasforma nella prima gallina del mondo, non si è vista mai una gallina prima di lui. E chi poteva trovare un aggettivo per l'integrale matematico? Gadda, e lo chiamò riccioluto: i riccioluti integrali. Ci riesce quando dimentica i suoi molti guai, veri e immaginari, ma quando scrive così, non ce n'è per nessuno.
saludos
Solimano
P.S. Vedo che a te succede la stessa cosa che succede a me quando vengo nel tuo blog: appari come anonimo. Si può fare qualcosa per ovviare a 'sta menata fra Blogger e Splinder? Non è che sia poi importante, ma visto che abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno.
Molto bello, Storia d'Amore e di Anarchia, ma sarebbero serviti i sottotitoli, perché quando parlano in napoletano mi sfugge un buon 50 %
Bruno, poteva essere una idea, quella dei sottotitoli, ma a me va bene anche così, più o meno il senso si capisce quasi sempre.
grazie e saludos
Solimano
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