Nicola
"Il Giorno del Giudizio dovrai rendere conto di fronte a Dio di quello che hai detto."
"Nel Giorno del Giudizio, sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo."
Il dialogo, si sa, ha tante diverse facce. Noi siamo abituati al dialogo tra politici, chierici o intellettuali, che è una forma ritualizzata di scontro: ci si confronta di fronte a delle persone perché poi queste, per l'appunto, "prendano partito". Neanche per un attimo si è pronti ad abbracciare una ragione dell'altro, abbandonandone una propria. Anche il dialogo in famiglia è in genere di questo tipo.
A volte c'è, però, un dialogo vero, anche se aspro; anche all'interno delle religioni. C'è il rabbino che si lamenta di Dio che non rispetta il suo contratto col popolo eletto. Nel cristianesimo, proprio nel Vangelo e sulla croce, c'è la protesta del Figlio verso il Padre:"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt: 27,46)
Per un attimo almeno, dunque, Gesù diventa inconsapevole della sua natura divina e si trova a essere tutto umano, a confronto con l'altra importante Persona della trinità -il Padre- di cui condivide (secondo il credo di Nicea) la "sostanza". Il dialogo tra padre e figlio diventa dialogo vero proprio nel momento in cui il figlio sente (crede) che il padre ha voltato le spalle a sé (al mondo) alla sua sofferenza.
Il film Centochiodi di Olmi sta tutto o quasi in quel momento di solitudine e protesta, sino allo scandaloso esito che ho messo in incipit.
Un giovane professore di filosofia e fine conoscitore della teologia, giunto alla conclusione che "c'e' più verità in una carezza che in tutti i libri del mondo", inchioda con grossi chiodi da carpenteria decine di preziosi incunaboli al pavimento di una biblioteca universitaria e fugge versoil Po, alla ricerca di una maniera di vivere più autenticamente umana. Abbandonate auto e documenti (ma non denaro e carta di credito), il professore va a dormire in un rudere sull'argine e inizia a renderlo abitabile, cioè lavora. La rinascita alla vita, dunque, (il divenire "carne": l'"incarnazione") è il lavoro: non nel senso estensivo che noi consideriamo (un lavoro intellettuale già lo aveva), ma nel senso stretto di lavoro manuale; diradare gli arbusti, pulire, riparare; sudare, graffiarsi, indolenzirsi. Questa incarnazione è quanto di meno veterotestamentario si possa immaginare: ben lungi da Olmi e dal suo professore pensare che "maledetto sia il suolo per causa tua!" (Genesi: 3,17)
Ben presto il professore viene in contatto con gli abitanti d'un paesello lì vicino che, all'inizio scherzosamente, poi sempre più intensamente, lo chiamano "Gesù Cristo". Tra l'intellettuale e i paesani, persone semplici nella loro profanità, si stabilisce un rapporto di collaborazione e reciproco aiuto (un piano di sviluppo minaccia il luogo dove i paesani si riuniscono per passare il loro tempo insieme e il professore li aiuta ad affrontare la battaglia legale), finchè un giorno le forze dell'ordine non arrivano per eseguire il mandato d'arresto per lo sfregio ai codici.
Prima di partire, il professore chiede ai suoi ospiti di aiutarsi da soli, senza far più conto su di lui: non più "aiutati che il Ciel t'aiuta", quindi, ma "aiutatevi l'un l'altro" (che, fra l'altro, si trova nel Corano, Surat al-Ma'ida, 2).
Pur potendolo fare, il professore non tornerà più al paese, che dovrà re-imparare a vivere senza di lui. Le frasi che ho riportato in incipit sono quasi alla fine del film, quando il vecchio prete e mentore del professore va a trovarlo in cella per rinfacciargli la vandalizzazione dei libri (che al prete, sappiamo dall'inizio del film, tengono più compagnia degli uomini).
Tornando al tema del dialogo, Olmi con questo film mette in discussione, senza con ciò negarla, tutta la propria fede. Partendo proprio dal problema più spinoso e antico di tutti: come possa, cioè, un Dio che è tutto Bene permettere che il mondo permetta il dolore. Anche la soluzione che propone è tutta terrena, anche se impregnata di ottimismo cristiano: aiutatevi su questa Terra, senza sperare in un aiuto dal di fuori dei vostri cuori. Che è, in una versione per l'appunto cristiana e quasi francescana, l'invito di Leopardi, che invece ha origine (come il passo che riportavo prima dalla Genesi) dal più profondo pessimismo riguardo alla natura:
"E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena."
Mettersi in discussione è anche un invito agli altri, credenti o meno, cristiani o meno, più e meno colti, a fare altrettanto; ciò che rende il film particolarmente intenso anche se programmaticamente antiestetico; conciliare e giovanneo, ma tutt'altro che melenso.
Per concludere con Francesco, si racconta che il Santo, visitando il monastero del suo ordine nella professorale Bologna (la stessa città e università del film), avesse trovato i suoi frati troppo intenti a leggere e a studiare, e poco a pregare e star vicini agli umili, e che -furioso- gettasse giù da un'alta finestra decine di preziosi codici.
5 commenti:
Nicola, il film non l'ho ancora visto, però la provocazione su cui si basa mi spinge a dire qualcosa.
E' un discorso antico, quello di prendersela con i libri. Ha qualche ragione, due in particolare.
La prima è che dietro il libro ci si può nascondere per evitare in particolare di dare carezze. Di riceverle, anche. Si scrivono e si leggono libri per estraniarsi dalla vita, in particolare come amore e come lavoro.
La seconda è che il libro è un'arma per passare sopra agli altri, per dominarli: "Scribi e farisei ipocriti!", diceva quel ragazzo sveglio.
Ma con i libri ce la si è presa anche perché nei libri si annida qualcosa che al potere non sta bene: la possibile libertà di chi li legge. Nei libri ma anche nelle pitture. E' successo con l'ebraismo, con l'islamismo, col cristianesimo (i protestanti per le pitture e i cattolici per i libri).
Quando morì San Francesco, ci fu la lotta fra gli spirituali e gli altri. Gli spirituali persero, e meno male, così Cimabue, Cavallini, Giotto e Simone Martini poterono operare ad Assisi.
I libri e le pitture furono vietati dall'imperatore in Cina e da Hitler in Germania.
E' comunque una brutta strada, e credo che Olmi, persona seria, coerente e proba, sia in difficoltà interiori se ha usato una provocazione di questo tipo, che può essere una facile scusa da parte di chi non ha mai letto ( e non carezza). Magari, c'è gente che carezza meglio proprio perché ha letto i libri giusti.
Sono invece sicuro, perché Olmi lo conosco, che sarà stato efficacissimo nella rappresentazione non degli umili (che mi viene in mente Uriah Heep)ma degli schiacciati.
saludos
Solimano
Primo, altri hanno messo in guardia contro il potenziale "librocasta" del film, ma, ti assicuro, se vedrai il film vedrai che non c'è nessuno spunto del genere. Casomai c'è uno spunto contro la Tradizione, così com'è intesa da una buona parte dei vertici ecclesiastici (papa in testa): una Tradizione che, per il sol fatto d'essere eretta a dogma e testo sacro, finisce con l'incarnare tutto il pessimismo verso l'uomo vivente.
Durante le vacanze mi son riletto dopo tanti anni alcuni capitoli di Mimesis. Auerbach fu un preparatissimo filologo romanzo, nonchè critico finissimo; ma traspare benissimo che lo stile, la parola, la sintassi, non gl'interessi in sè, ma (piacere della lettura a parte) per quello che si può capire di come alcuni uomini (scrittori) si ponessero di fronte alla realtà umana che stava loro attorno. Scavare il passato, dunque, per scoprirvi un antico presente.
Mi vien in mente ora, che Auerbach -che tra l'altro non era cristiano- dà un gran peso al cristianesimo nello sviluppo di una letteratura realistica (e degli umili, degli schiacciati), che si dispiega appieno proprio quando, nei secoli bui, la tradizione della romanità cessa d'essere vitale.
Mescolando Olmi, Auerbach e un pò di dialettica delle cose, potremmo dunque dire che la tradizione e i suoi libri ci formano, ma che la loro formazione si conclude solo quando sappiamo lasciarceli alle spalle per andare nel mondo. Solo a quel punto, forse, abbiamo la maturità e l'umanità per ritornare, con maggiore consapevolezza, alla lettura.
Nicola, dice Auerbach in Mimesis (pag. 342 del vol. II):
"Il metodo da me adottato, di presentare cioè per ogni epoca un certo numero di testi, per saggiare su di essi le mie idee,introduce immediatamente nell'argomento, sicché al lettore è dato sentire di che cosa si tratta ancor prima che gli si voglia imporre una teoria. Il metodo dell'interpretazione dei testi lascia qualche giuoco al criterio dell'interprete; egli ha la possibilità di scelta e di porre l'accento là dove gli piace. Ciò nonostante, nel testo deve sempre potersi ritrovare quanto egli afferma. Le mie interpretazioni sono senza dubbio dirette da un determinato intento; però questo intento ha preso forma soltanto a poco a poco, ogni volta a cimento col testo, e ho spaziato ampiamente lasciandomi condurre da esso".
Il che cignifica la piena consapevolezza dell'operazione che condusse in Mimesis, che consentì a lui, critico, di non sovrapporsi all'autore, adottando un metodo che si potrebbe chiamare ironicamente (ma non tanto) scientifico. Mimesis è un libro non sul "realismo nella letteratura occidentale", ma sulla "rappresentazione letteraria della realtà nella letteratura occidentale".
E' giustissimo il richiamo che fai ad Auerbach: dal punto di vista del suo coinvolgimento i capitoli migliori sono proprio quelli che riguardano la cristianità nel medio evo, e l'effetto positivo che ha avuto per disincrostare tante pedanterie di scrittura, perché gli scrittori cristiani derivavano dalla Bibbia e dai Vangeli un modo che collegava strettamente lo stile alto e lo stile basso, con l'esempio sommo di Dante di cui Auerbach è stato un grande critico.
Fa male, il nostro amico Odifreddi, a dimenticare queste cose, nelle giustissime polemiche che conduce: per secoli e secoli il cristianesimo è stato un mito fecondo da tutti i punti di vista, anche e soprattutto nell'arte.
E' esistita però ed esiste nei monoteismi, ed anche nei monoateismi (fratelli gemelli) la tentazione zdanoviana o da "indice dei libri proibiti", che continuerà ad alzare la testa in tante forme, basta guardare quello che sta succedendo in Polonia, in cui vorrebbero proibire la lettura di Goethe! Ma il film lo vedrò, e sono certo che Olmi, che queste cose le sa benissimo, non mi deluderà. Però ci sono gli altri...
saludos
Solimano
In una cosa, Primo, sono daccordo con te: il timore degli epigoni. Uno s'inventa un personaggio che ha vissuto amorevolmente coi libri fino a un momento di crisi, per poi lasciar tutto e andare a vivere in un rudere; poi arrivano gli epigoni che non hanno mai amato il poco che hanno letto, e prendono il persnaggio a pretesto per rompere le tasche a quelli che i libri li usano davvero.
Ciao, Nicola
Chissà se è vero che Olmi non farà più film. L'ha detto lui, speriamo che non sia vero...
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