domenica 16 settembre 2007
I cancelli del cielo
Heaven's Gate, di Michael Cimino (1980) Con Kris Kristofferson, Christofer Walken, John Hurt, Isabelle Huppert, Joseph Cotten, Jeff Bridges Musica: David Mansfield, Johann Strauss Fotografia: Vilmos Zsigmond (149 o 219 minuti) Rating IMDb:6.3
Solimano
I numeri IMDb sono impietosi. Nel 1978 esce Il cacciatore, nel 1980 I cancelli del cielo, entrambi di Michael Cimino. Il voto IMDb ad oggi è 8.2 (e 51.103 votanti) per Il cacciatore, 6.3 ( e 2.735 votanti) per I cancelli del cielo. Solo che I cancelli del cielo è costato molto di più, il suo fallimento è probabilmente il più costoso e drammatico della storia del cinema. La stessa gloriosa società di produzione, la United Artists, rischiò di chiudere, e venne poi rilevata dalla MGM. Il film costò oltre 36 milioni di dollari di sola lavorazione e ne incassò a stento 3 milioni e mezzo. Successe di tutto: il quarto d'ora iniziale, quello che si svolge in un college, doveva essere girato ad Harvard, USA, finì che lo girarono ad Oxford, England. L'attrice doveva essere Jane Fonda, ma la parte andò a Isabelle Huppert, con tutte le conseguenze del caso: la tenutaria di un bordello sperduto nel Whyoming che parla con accento francese, chissà come c'è capitata. Costruirono la strada principale del villaggio, era appena finita, ma Cimino cambiò idea: giù tutto, mentre gli executives della produzione lo supplicavano perché salvasse almeno le case da una parte della strada. Le società di protezione degli animali intervennero per i maltrattamenti ai cavalli e per i combattimenti dei galli, a loro modo avevano ragione, vedendo il film. Cimino, infine, decise la lunghezza del film, che è anche quello per cui sono stati girati più chilometri di pellicola. La lunghezza scelta da Cimino fu di oltre cinque ore, e cominciò una battaglia inenarrabile per portarla almeno sotto le tre ore, Cimino si mise a girare scortato per non essere infastidito dagli executives che, vista l'aria, sapevano di non stare difendendo gli interessi della United Artists, ma più semplicemente il loro posto di lavoro.
Da queste inevitabili sforbiciate massive vennero conseguenze incredibili: nel libro-strenna più bello sui film degli anni Ottanta c'è l'immagine del matrimonio fra Huppert e Kristofferson, ma nel DVD che oggi è in commercio questa scena non esiste, se non altro perché la Huppert muore, altro che sposarsi (ma io, l'immagine del matrimonio qui la metto). Muore per colpi di arma da fuoco, piena di sangue, ma comunque abbracciata dal predetto Kristofferson. In piccolo, ma non poi tanto, mi viene in mente la Tragedia della Sepoltura, con le decennali liti fra Michelangelo e gli eredi di papa Giulio II. Dopo questo film, il megalomane Cimino subì una sua damnatio memoriae. Tutti gli studios gli chiusero le porte, e solo nel 1985 potè fare L'anno del dragone.
Adesso, stanno cercando di rialzarlo nella considerazione generale, qualcuno comincia a parlare di capolavoro oscurato. Così ho voluto vederlo: non è un capolavoro, ma ho fatto bene, anche se quasi in ogni scena ci si accorge delle buche clamorose in cui Cimino cadeva, avendo in buona parte perso il ben dell'intelletto. Aveva ragione il New York Times, che scrisse, pressapoco: "Non dice tutto e non lo dice abbastanza". Chissà perché successe un tale pasticcio. Forse Cimino si era indispettito per certe critiche a Il cacciatore, qualcuno l'aveva accusato di criptofascismo, e voleva fare un film stando tutto dalla parte degli immigrati slavi, privi di regole, quasi anarchici e spesso ladri, che sono condannati a morte nel numero di 125 dai grandi allevatori, che per questo assoldano 50 sicari texani. Gli allevatori sono anche appoggiati, senza parere, da Washington, che chiuderebbe gli occhi su questo sterminio di massa. E' una storia vera!
Ma i difetti sono tanti: i tre personaggi maschili, quelli di Kristofferson, Bridges e Hurt sono privi di spessore, sempre agitati però restando eleganti nel vestire. Isabelle Huppert è contesa fra di loro, ed è divisa fra i sentimenti, che non si capisce bene dove la porterebbero, e gli incassi del bordello e suoi personali, perché anche lei esercita. Non sembra convinta, solo vivace e bellissima, ma non è una novità. Soprattutto si capisce che Cimino sta cercando di fare un mestiere che non è il suo, cioè di trattare in modo credibile temi sociali e politici, che conosce talmente poco dal non farsi circondare da chi le cose le sa (ha scritto lui anche la sceneggiatura). Ma quando ci sono le scene corali, di college o di accampamento fa lo stesso, di viaggio, compreso il treno più vero che ho mai visto al cinema, ed io coi treni ci sono cresciuto, di lotta non sublimata, ma casuale e feroce, comprese le sofferenze individuali di quelli che lì non dovrebbero essere: le donne, i vecchi, i bambini, in tutto questo Cimino mostra visioni persino maggiori di quelle del primo tempo de Il cacciatore. E un film nel film è il quarto d'ora iniziale: in mezzo al prato, un grande cerchio d'erba, c'è un albero frondoso e altissimo. Sul prato ballano il più bel walzer di Strauss gli studenti e le studentesse, tutti eleganti figli di ricchi. Lo ballano con ardore, non manierati, nell'anno 1890. Poi le ragazze risalgono nei palazzi circostanti ed ognuna dalla finestra ammira e partecipa con gli occhi alle battaglie maschili per salire sull'albero, ognuna ha il suo ragazzo-uomo da sostenere, e le grida si sentono. Qui, quell'esagerato, quello spendaccione anche piuttosto incolto di Cimino ha sfiorato il kitsch, col suo walzer prataiolo, ma la vita come pienezza di passione emerge, e una vita così Cimino la sa, prima che nella testa, nelle palme delle mani e nelle iridi degli occhi. Basterebbe questo, per vedere il film.
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6 commenti:
My God, Solimano! Ma lo sai che questo film me lo sono sognato proprio stanotte?!?! Ma hai facoltà telepatiche?
In effetti far fallire una major del calibro della UA non è cosa da dilettanti, e Cimino dimostrò anche in questo la sua grandezza. Anche nel Cacciatore c'era inusitata lunghezza, in certe scene, ma dove là esse erano motivo di commossa riflessione sulla fine di quei ragazzi nel Vietnam, qui negli Heavens Hates la lunghezza è falsa, manierata, infastidente.
Cimino si sentì dio in terra, quando pretese e ottenne che tutti (o quasi) gli abiti di scena fossero rigorosamente originali. Lo accontentarono, gli executives, convinti di avere trovato in Michael la gallina dalle uova d'oro. La presero in quel posto, film è una attività imprenditoriale davvero ad alto rischio. D'altra parte, mai come nel business cinematografico, "no risk, no fun".
Brian
Come è vero, Brian! Nel cinema l'incontro-scontro business-arte è fondamentale. Proprio come lo era nella grande arte di affrescare decine di metri quadri nel Rinascimento e nel Barocco. Tutti dicevano la loro: canonici, mecenati, fabbricieri, signorotti, mercanti, e - soprattutto - il popolo dei fedeli - e delle fedeli - che non sapevano magari neppure leggere e scrivere, ma che, quasi al buio, decifravano con passione la loro vita di ogni giorno rappresentata e innalzata in San Sebastiano e Santa Maria Maddalena. E naturalmente - proprio come oggi - c'erano i saccenti libreschi, ma non libridinosi, che la mettevano giù dura, avendo un pisello secco al posto del cuore, che è una pompa, lo sappiamo, ma è una metafora che esprime bene l'unica cosa che c'è: la vita, bella o brutta che sia, ma visto che c'è, sarà il caso di veverla senza liofilizzarla.
E il cinema, anche nelle operazioni che hanno del bieco (quante ce ne sono!... e magari se la tirano pure...), ha questo vantaggio rispetto allo scatolotto TV: che la vita, in un modo o nell'altro salta fuori, non la vita in generale, ma la nostra in particolare, ognuna diversa dall'altra. Per il futuro, vedremo, intanto godiamocela.
saludos
Solimano
Caro Solimano, prima di tutto ti ringrazio per il tuo commento che ho molto apprezzato nel mio blog. Poi volevo dirti una cosa. Io amo il cinema anche se in modo assolutamente amatoriale, senza nessuna pretesa di conoscerlo. I post che leggo in questo splendido blog mi hanno incentivato a rivedere tanti film che ora non ricordo più. Grazie quindi. Giulia
Grazie a te, Giulia. Nel tuo blog, apprezzo molto la chiarezza del progetto che persegui. Poi, sul singolo argomento, si può essere d'accordo o meno, ma a me piace chi lavora per progetto, non inteso come gabbia, ma come direzione del cammino, evitando impropri vagolamenti che a volte costituiscono una spiacevole manifestazione di sottocultura blogghiera: si desiderano più visite, e questo ci può e ci deve stare, ma non pregiudicando la cosa essenziale, che è scrivere dei post in cui chi li scrive ci si riconosca. Inoltre, avere un progetto chiaro aiuta nei momenti di difficoltà che prima o poi si presentano: chi ha un progetto ha anche il fiato lungo, e può reggere anche una temporanea apnea.
saludos
Solimano
Ti ringrazio per quello che dici, anche se sento proprio il frequentare i blog come il tuo mi hanno fatto pensare ad un diverso modo di vedere il blog. Ci sto riflettendo. In quanto a non essere sempre d'accordo, a volte non so io se sono d'accordo con me stessa,perchè l'unica cosa sicura è che il dubbio è la mia guida. Non un dubbio che mi paralizza, ma quello sano che dà la consapevolezza che si può sbagliare e rimediare ai propri errori. Un caro saluto, Giulia
Giulia, sono d'accordo, è bene rifletterci, sui blog. Nella mia poca esperienza per ora sono certo solo di due cose.
La prima è che, prima di partire con un blog, occorre avere un progetto chiaro, personale e/o di gruppo. Non tanto un progetto tecnico, ma collegato alle finalità che si perseguono.
La seconda, che ho già detto altre volte, che il termine blog per me significa solo un software gratuito predisposto che uno personalizza in funzione del proprio progetto. Sembra banale, ma non lo è: molti danno per scontato che nei blog (e nella interazione con gli altri blog) siano importanti certe cose che tali non sono, a meno che non siano coerenti col progetto (che non è detto che sia una cosa grossa, esistono dei bellissimi progetti che sono semplici semplici).
grazie e saludos
Solimano
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