venerdì 21 settembre 2007

La noia

La noia, di Damiano Damiani (1963) Dal romanzo di Alberto Moravia, Sceneggiatura di Damiano Damiani, Tonino Guerra, Ugo Liberatore Con Horst Buchholz, Catherine Spaak, Bette Davis, Isa Miranda, Lea Padovani, Daniela Rocca, Georges Wilson, Leonida Repaci Musica: Luis Enriquez Bacalov Fotografia: Roberto Gerardi (122 minuti) Rating IMDb: 7.8
Solimano
Il romanzo "La noia" di Alberto Moravia non l'ho letto né credo che lo leggerò. Rispetto ad una prima lettura de "La noia" darei priorità alla terza lettura de "Gli indifferenti" o di "Senilità" di Svevo, che ha una trama con molte analogie. Però de "La noia" so diverse cose. Ho seguito con partecipazione la polemica che non finirà mai, fra chi l'esalta e chi lo deprime, e le accuse di essere un libro pornografico; ogni tanto, profittando della rete, ne leggo qualche brano qua e là.
Moravia al cinema ha dato un notevole contributo, perché da molti suoi romanzi e racconti sono derivati dei film, di cui almeno quattro importanti: "Il disprezzo" di Godard, "Gli indifferenti" di Maselli, "La ciociara" di De Sica e "Il conformista" di Bertolucci. C'è poi un gruppo di più di dieci film senz'altro decorosi, a cui appartiene "La noia" di Damiano Damiani che ho visto per la prima volta in questi giorni.
Perché Moravia al cinema funziona? Perché le sue storie intrigano fra sesso e denaro (inteso come mezzo per esercitare potere in amore, o nel cosiddetto amore). Moravia, col cinema, era furbo ed essenziale. Gli chiedevano di fare un film da un suo libro, e lui spuntava ottime condizioni sui diritti d'autore, poi lasciava pienamente liberi i registi e gli sceneggiatori di fare quello che volevano. Pensava freddamente che scrivere e fare del cinema erano cose completamente diverse e non vedeva nessuna utilità in interventi correttivi. Sapeva, infine, che dopo l'uscita dei film i suoi libri avevano dei picchi di vendita. Un gioco a somma completamente positiva, per me faceva benissimo.

Il film di Damiani si basa su un tormentone che risale molto addietro, fino almeno alla mitologia greca, in cui c'è la storia di Onfale e Eracle, ridotto a deporre la clava e la pelle del leone (era di Nemea, la bestia) per svolgere lavori femminili. A questo tormentone, diffusissimo nella vita pratica anche oggi, io ho dato il nome di "Contrappasso": in partenza un uomo vuole dominare una donna per potere, denaro, magari anche per cultura, all'arrivo è la donna che domina, e l'uomo va da un muro all'altro cercando tutti i modi per ribellarsi e peggiorando sempre più la sua situazione, fino a perdere ogni stima per sé stesso.
Conoscendo l'argomento ed avendo imparato dopo lunga pezza il da farsi, è logico che tutta la mia simpatia l'ho riserbata subito alla Cecilia di Catherine Spaak, anche perché il Dino di Horst Buchholz non ha nessuna attenuante: ricco di famiglia, non più ragazzo (nel libro ha 35 anni, nel film meno), vive da solo in via Margutta facendo quadri che non vende, e va a trovare la mamma, che è Bette Davis e vive nel palazzo avito, solo quando ha bisogno di soldi. Cecilia ha una famiglia un po' disgraziata, i genitori sono Isa Miranda e Georges Wilson (tragicamente spassoso), faceva la modella col vecchio pittore Balestrieri (Leonida Repaci) dirimpettaio di Dino. Il pittore era anche il suo amante, ma una notte le è morto fra le braccia, e quindi Cecilia si guarda in giro, perché il pittore ogni tanto le dava una mano coi soldi, con cui Cecilia aiutava l'amante di turno, quello giovane.

Dino dovrebbe essere ben contento dell'opportunità, e non farsi problemi, che bisogno c'è di imporsi ad una ragazza così libera? No, Dino vuole soggiogarla, esserne amato, in modo da potersi prendere la soddisfazione di lasciarla magari facendole un bel regalo. Proprio il giorno in cui le ha comprato la bellissima borsetta dell'addio, scopre per caso che Cecilia ha un altro amante. Da allora Dino è fatto e strafatto, prova tutte le tattiche e le strategie e non gliene va bene una, soprattutto perché Cecilia non fa una piega, è assolutamente diretta. Dino le offre del denaro? Lei lo prende e lo intasca, ma non cambia i suoi programmi e li dice tranquillamente. Nella famosa scena delle banconote con cui Dino copre Cecilia sul letto di mammà, lui le dice che potrebbe darle 300.000 lire, e Cecilia: "Vanno bene anche 500.000". Le banconote di copertura sono molto pudiche, viste le dimensioni che avevano allora. Cecilia non è maligna, è tranquilla con un po' di sfacciataggine sorridente. E' amorale, della morale non di chiacchiere non ne vede in giro.
Non si riesce a sentire il dramma di Dino anche perché Horst Buchholz fa una parte che non gli va bene, è troppo alemanno (non tedesco, alemanno), privo di sfumature, in grado solo di scatti improvvisi. Infine, Cecilia si farà persino finanziare da Dino una vacanza d'amore a Capri (nel libro era Ponza, si vede che al cinema suona meglio Capri). Allora Dino ha l'estremo scatto di ira inane e va volutamente a sbattere contro un muro col coupè che la mamma gli ha regalato per il compleanno. Ma si salva, e alla fine del film sembra che si ravveda e che riesca a stare lontano da Cecilia, ma io non ci credo molto.

Dicono, i critici di Moravia, che lui in questo modo esprimeva la crisi finale della borghesia che, incapace d'amore, usa i soldi per comprarselo. E' un ragionamento che mi lascia freddo, questo tipo di pulsione di dominanza si pratica a prescindere dalle stratificazioni sociali, è inerente all'uomo, non alla particolare società in cui vive. Difatti i registi che hanno naso (se no non farebbero film), il tormentone che chiamo "Contrappasso" l'hanno utilizzato spesso, basta guardare i curriculum di Monicelli e della Wertmuller, per accorgersene.
E Catherine Spaak? Nel 1962, a diciassette anni, aveva fatto tre film fra cui Il sorpasso, nel 1963, oltre a La noia, fece altri quattro film, e andò avanti così per alcuni anni: la volevano tutti. Il motivo sembrerebbe chiaro, basta guardarla, ma le cose non sono così semplici: perché piaceva una bellezza di quel tipo, e soprattutto un modo come il suo? Prima o poi ne riparleremo.

6 commenti:

imperium ha detto...

Un blog splendido.

Da un amante del cinema, un "grazie" per questo spazio.

Anonimo ha detto...

Solimano, a me piaceva di più la Koscina, ma anche la Spaak aveva quel suo non so che.

Per quanto riguarda La Noia io ho letto il libro e non ho visto il film, e sono dell'idea che Moravia abbia in tutta la sua carriera di scrittore scritto sempre e comunque il medesimo romanzo. Sai già dove va a parare. Un po' come leggere Alberoni, anche se so che questo paragone è ingeneroso per Moravia, ma tant'è.

Brian

Anonimo ha detto...

La Noia lo lessi, ai tempi. Lo trovai noiosissimo. Di Moravia apprezzo molto Gli indifferenti, i Racconti romani e il Disprezzo. Ho continuato a seguirlo per un pò sempre meno convinta e sempre più stancamente fino a quando mi sono decisa a mollarlo definitivamente et amen. Basta, fine stop. Oggi sono convinta che Moravia sia stato enormemente sopravvalutato, come romanziere e anche come intellettuale e mi meraviglio che oggi ci sia chi si meraviglia che sia caduto un po' (solo un po'?) nel dimenticatoio.
Per i film, bellissimi La Ciociara, Il disprezzo e Il conformista.
La Noia mi ha annoiata anche al cinema.

Solimano ha detto...

Bene, Imperium, grazie e ci risentiremo.
Brian, riguardo Sylva Koscina sei in concorrenza con Giuliano, che ne dice mirabilie da diversi punti di vista, compresa l'umorosità spiritosa della recitazione. Forse le è mancata qualche occasione che invece ha avuto Catherine Spaak, perché mancano titoli inportanti fra i suoi suoi film, e senza una buona bicicletta si pedala piano.
Per Moravia hai ragione, e molti critici lo sostengono da tempo: ha scritto tanto sempre sugli stessi temi, modificando solo la gabbia di interpretazione: marxismo, psicanalisi, strutturalismo ma la sostanza non cambiava. Però erano temi che al cinema servivano, non è stato solo il suo potere culturale a far sì che ci siano quasi venti film tratti da suoi scritti.
Gabriella il film non mi ha annoiato. Il merito, non lo nascondo, è soprattutto di Catherine Spaak, per molteplici motivi, alcuni evidenti altri più sfiziosi, ma anche di Roma città, che nel film è spesso presente, di tre attrici come Bette Davis, Isa Miranda e Lea Padovani (fa la vedova di Balestrieri)ed del tema del "Contrappasso", che sempre più mi accorgo di quanto sia presente: il rapporto fra Mirandolina ed il Cavaliere di Ripafratta e L'Ecole des femmes di Molière ne sono due esempi chiarissimi.
Su Moravia, mi sembra che anche con Brian la pensiamo più o meno in modo simile. Aggiungo solo una cosa: nelle critiche cinematografiche che scriveva per l'Espresso dopo aver visto i film appena usciti non prende cantonate ed è molto attento ad ampliare il discorso ad aspetti non puramente filmici, cosa che i critici di professione facevano molto poco. Era certamente un uomo molto intelligente e molto colto ed aggiornato, lavoratore instancabile, ma penso che tu abbia ragione: sono poche le cose che oggi leggeremmo, finirà che vivranno di più alcuni film, e questo è veramente un caso singolare, quasi una ironia del destino.

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Solimano, in effetti hai ragione, almeno per quanto mi riguarda. Mi accorgo che oggi, dopo tanti anni l'unica cosa che mi ricordo del film La Noia è Catherine Spaak e non solo per la famosa scena dei soldi. Neanche mi ricordo di Bette Davis, figurati, il che è tutto dire...
Che Moravia fosse uomo colto e intelligente e arguto non ci piove, però per troppo tempo fu considerato (te lo ricorderai) un vero e proprio guru, non un intellettuale ma "L'Intellettuale".
(Sulla Cina di Mao prese cantonate tremende, ma non fu certo l'unico e cmq questa sarebbe altra storia oltrechè pesantemente OT)

Giuliano ha detto...

A 14 anni avevo letto quasi tutto di Moravia,anche per morbosità. Poi si vede che ne avevo avuto abbastanza, perché non l'ho più ripreso. Non ho ancora capito se è colpa mia o sua, ma così è andata. Però ha avuto una compagna intelligente e fine come Dacia Maraini, il che mi fa provare rispetto e simpatia per lui. (e anche Carmen Llera non dev'essere male). Prima o poi tornerò a leggerlo, magari a partire dal Conformista.