mercoledì 5 settembre 2007

Fumetti d'agosto: Il martirio di San Donnino a Fidenza

La Discordia e la Lussuria (secondo De Francovich)

Nicola
Il bassorilievo, facilmente sequenziabile, è lo strumento ideale, assieme alla predella e al ciclo affrescato, per trasmettere l'idea di eventi che si sussuegono nel tempo. A seconda del supporto e della scansione delle figure, poi, si può costruire una narrazione "a quadri" (praticamente obbligata, per esempio, nel sarcofagi) simile a quei film biografici dove gli eventi si affastellano in ordine cronologico, ma senza una trama; o si può scegliere uno sviluppo più dinamico e narrativamente compatto. Questa seconda opportunità venne sfruttata dalla bottega di Benedetto Antelami (1150-1230 ca.) sulla facciata del duomo di Fidenza, descrivendo in tre metri circa -secondo i canoni del cinema horror- il martirio di San Donnino, a cui è dedicata la chiesa e che dava sino a tempi recenti il nome alla città (Borgo San Donnino).
Riporto qui alcune fotografie gentilmente procurate da Solimano. Se si vuole seguire "cinematograficamente" il bassorilievo, comunque, ed avere più informazioni su quello e sugli altri della facciata, consiglio di consultare la dinamicissima pagina web Harimann.
Due parole sul contesto. Il borgo fu un importante snodo della via francigena; i pellegrini entravano in città da una porta dopo aver passato il ponte sul torrente Stirone e a pochi passi si trovavano la facciata del Duomo. Una fascia di bassorilievi antelamici li accompagnava dal lato sinistro della facciata sino ad almeno metà del lato destro della chiesa, dove magari c'era una foresteria.
Il martirio del santo sta in gran parte sul fregio del portale centrale, da leggersi da sinistra a destra. Il bassorilievo riporta in alto -a modo di voce fuori campo- una spiegazione in latino degli eventi. Le prime due scene sono a sinistra del portale centrale, e fanno da prologo statico alla movimentata narrazione che segue. Simmetricamente, a destra un affollato bassorilievo narra d'un miracolo "civile" del santo.
Nella prima scena vediamo l'imperatore Massimiano (250 ca.-310) con alcuni funzionari della camera imperiale: Donnino è quello che lo incorona ("coronatur"). Notate come il punto focale degli sguardi sia solo approssimativamente l'imperatore seduto al centro: il movimento risultante è debolmente, ma percettibilmente rivolto verso destra. Le prime due figure guardano a destra (punto di vista del pellegrino), Massimiano leggermente in basso e a sinistra, la quarta -con la spada- leggermente in alto e a destra, l'ultima -forse retrocedente, più probabilmente entrata nella camera e in fase di rispettoso arresto- guarda decisamente a sinistra, chiudendo in qualche modo la scena. Insomma, per produrre la risultante quasi nulla ci sono molti movimenti, con simmetrie irregolari. Chiude il quadro una sottile torre merlata, che lo separa dal quadro successivo. [Per la cronaca: Massimiano, elevato augusto dal tormentatore di cristiani Diocleziano, si trovava in quel momento in Gallia, al confine con la Germania, per una campagna militare.]
Nella seconda scena, anche questa complessivamente statica -con risultante a sinistra-, Donnino e alcuni soldati cristiani chiedono "licencia" all'imperatore di lasciare il campo per dedicare la loro vita alla fede.
Si apre ora la prima "carrellata" del ciclo. Il maestro di spada è rimasto con l'imperatore, che guarda Donnino e gli altri cristiani partire e, proprio mentre li vede partire, ha un ripensamento sottolineato dal lisciamento della barba; simile in ciò al gatto sazio che, non appena ha lasciato andare il topo, subito desidera riacciuffarlo con la zampa. La fila dei cristiani in partenza, che inizia con Donnino che forse saluta Massimiano, vede i personaggi volgersi sempre più verso la direzione della fuga. Questo movimento non solo dà un senso generale di accelerazione, ma è anche letteralmente una "carrellata" cinematografica. I personaggi che si trovano più a destra sono più avanti nello spazio, ma anche nel tempo: come se una macchina da presa avesse ripreso la scena a partire dall'imperatore e si fosse spostata verso destra: all'inizio c'è Donnino che saluta, tempo di arrivare all'ultimo della fila e stiamo già attraversando delle Alpi stilizzate.

L'inseguimento del santo sotto le mura di Piacenza

La scena successiva è accelerata dal galoppo dei cavalli e fa ricorso a mezzi diversi dal "carrello". L'imperatore ha sguinzagliato i suoi cavalieri catafratti dietro ai fuggiaschi, a cavallo anche loro. Donnino è quasi preso alle porte di Piacenza, che scorre su un piano parallelo a quello dell'azione: probabilmente ha chiesto d'entrare, ma la porta è rimasta chiusa e gli abitanti (molto romaneggiante la loro rappresentazione) assistono curiosi e passivi all'inseguimento.
La cavalcata continua, Donnino è preso appena a Nord del fiume Stirone ed è immediatamente decapitato: vediamo il soldato che rinfodera la spada e due angeli che reggono la testa sopra il corpo privo di testa. Il martire, per qualche motivo insoddisfatto del luogo in cui giace, si prende la testa in mano e attraversa il corso d'acqua per andare a sdraiarsi sulla riva opposta.
Nella scena appena descritta c'è un particolare fuori posto: il cavallo del catafratto che segue Donnino passa dietro alla città, ma la spada del cavaliere ha la punta davanti alle mura. Non credo all'errore, quanto piuttosto a un voluto accenno di dissolvenza: l'immagine di Piacenza appartiene alla scena precedente, mentre il cavaliere a destra delle mura appartiene a quella seguente, in cui l'inseguimento procede verso Sud. La dissolvenza è una cesura che però mantiene una forte continuità con la prima parte della cavalcata: potrebbe parere addirittura una carrellata, se non fosse che il santo dev'essere seguito, non preceduto dagli inseguitori. Notate anche come i cavalieri passino davanti alle mura di Piacenza, ma dietro alle torri della città: una posizione impossibile nella realtà, che forse utilizza le torri come cesure narrative con le altre scene, o forse allude alla prossimità alle mura della cavalcata.

La decapitazione del santo

Oltre lo Stirone, in terra di Fidenza, Donnino giace in un boschetto di palme del martirio. Viene eretto un santuario, a cui si reca un uomo malato ("egrotus"). Sappiamo (sapevano i pellegrini dalle loro chiacchere coi locali) che il cavallo dell'uomo veniva rubato, ma che, miracolosamente, il cavallo tornò indietro. Non solo lui: vediamo l'animale mentre, come da leggenda, si trascina dietro il ladro tenendogli ben fermo il braccio tra le mascelle. Il malcapitato furfante cerca invano di afferrarsi a un albero per non essere arrestato.
La fascia dei bassorilievi si chiude in maniera catastrofica, piuttosto che horror. L'ultima scena, a destra del portale, ricorda di quando una folle di pellegrini, stipati sul ponte di legno che attraversava lo Stirone, lo fecero crollare. Alcune persone sono incastrate tra le assi del ponte, ma sappiamo che nessuno morì. Al centro della scena si erge una figura di donna incinta, miracolosamente sopravvissuta al crollo assieme al suo feto.

Il miracolo del ponte

5 commenti:

Giuliano ha detto...

Una "recensione" notevole. E' sempre bello ricordarsi che esistono queste cose, e di pellegrinaggi ne avremmo davvero bisogno (e anche di qualcuno che ci spieghi bene, magari con i disegnini perché siamo tornati analfabeti, cosa dobbiamo fare...).
grazie Nicola.

Solimano ha detto...

Come vedi, Nicola ho inserito una immagine in più rispetto a quelle che ti avevo inviato, l'immagine in alto, su cui c'è discussione riguardo al significato. Io trovo convincente l'interpretazione del De Francovich, che scrive di rappresentazione allegorica della Discordia e della Lussuria: anche se non fosse vera, mi sembra bene trovata, quindi diventa autentica.
Ma sui bassorilievi romanici ce ne sarebbe da dire, basti pensare alle rappresentazioni dei Mesi mediante il lavoro dell'uomo, così diffuse e così generalmente di alto livello artistico, vedi soprattutto i mesi di Parma e quelli di Ferrarra. Questa tipologia andò molto avanti anche dopo, in forme artistiche diverse: le miniature delle Très riches heures dei Limburg e gli affreschi di Schifanoia, o quelli del castello di Trento. Il tema stesso comportava molta seroetà negli artisti, perché era un tema che tutti guardavano, anche gli incolti. Il risultato fu che generalmente le opere che derivavano dalla atrologia sono quasi sempre di alto livello.
Conoscendo bene l'Antelami di Parma, credo che a Fidenza, nei bassorilievi principali operasse proprio lui, specie nella fuga di San Donnino, nella decapitazione e nel miracolo del ponte. Ma anche quelle degli scolari sono interessanti, con una animalistica fatta dai leoni, ghepardi, falconi, cervi ed asini.

saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Caro Solimano,
è vero che il bassorilievo con la storia del santo è magistralmente eseguito, sia per la sintassi narrativa, che per le figure umane (notevolissima quella dell'imperatore che si liscia la barba dubbioso), che per i magnifici cavalli (mentre quello rubato pare l'incrocio d'un alpaca con un capibara: lì certamente c'è la mano di un aiuto!). Non ho dimistichezza con le attribuzioni, però, e la mia percezione dello stile è assai approssimativa: chiedo in prestito il cappello piumato di Giuliano per un profondo inchino.
Sulla scena della lussuria ebbi una piccola discussione con un vecchio prete propio di fronte alla cattedrale. Io sostenevo trattarsi di fanciulla stuprata dalla soldataglia (e ci starebbe, se quella parte dei bassorilievi rappresentasse i pericoli del pellegrinaggio); mentre il prete optava per la lussuria. Nella discussione mettevamo due sistemi morali e immaginari: il prete optava per il peccato femminile; il per i disastri della guerra.
Nel bassorilievo in questione ci sono due soldati in armi: uno fa la guardia, mentre l'altro mette le mani sotto la gonna di una donna che solleva le braccia con un misto di stupore e orrore. Mi pare la raffigurazione di una di quelle scene che anche il cinema ha tante volte descritto, oltre che la storia e la cronaca di questo e altri secoli.
Curioso è il miracolo del ponte: si capisce che l'artista non sapeva bene dove concentrare le figure e le assi per dare l'idea del crollo. Lo sforzo mimetico sta tutto nelle figurine rovesciate, incastrate tra le le travi, che però paiono cadute dal cielo.
At salud,
Nicola

Giuliano ha detto...

Il mio cappello da Porthos! Caspita, ecco perché non lo trovavo più: era finito a Fidenza...

Solimano ha detto...

Nella scena della decapitazione, fra il carnefice con la spada sguainata e il santo in piedi senza più la testa, c'è una pianta: è la palma del martirio.
Andando poi con lo sguardo a sestra, si vede il passeggiare del santo con i piedi in acqua. E' senza testa, ma se la tiene in mano, come ha detto Nicola.

saludos
Solimano