Les Parapluies de Cherbourg, di Jacques Demy (1964) Con Catherine Deneuve, Nino Castelnuovo, Anne Vernon, Marc Michel, Ellen Farner, Mireille Perrey Musica: Michel Legrand Fotografia: Jean Rabier (91 minuti) Rating IMDb: 7.9
Solimano
Si narra che Jacques Demy (il regista) e Michel Legrand (l'autore delle musiche) stessero mettendo a punto il testo finale della canzone che in inglese si chiama I Will Wait for You è che è sommamente vigliacca, perché per quanto l'ascolti ti cattura sempre, e avessero di comune accordo stabilito il punto esatto fra note e parole dove sarebbe partito il primo mouchoir e l'altro punto in cui sarebbe partito il secondo mouchoir.
Solimano
Si narra che Jacques Demy (il regista) e Michel Legrand (l'autore delle musiche) stessero mettendo a punto il testo finale della canzone che in inglese si chiama I Will Wait for You è che è sommamente vigliacca, perché per quanto l'ascolti ti cattura sempre, e avessero di comune accordo stabilito il punto esatto fra note e parole dove sarebbe partito il primo mouchoir e l'altro punto in cui sarebbe partito il secondo mouchoir.
Questo dà una idea della professionalità con cui svolsero l'impresa, che a cose fatte appare semplice, ma è una semplicità calcolatissima. Nulla sfuggì all'occhiuto sguardo di Demy e soci, e lo si nota ancora di più oggi che allora, in cui, a parte i mouchoir, il coinvolgimento emotivo degli spettatori era tale che non potevano accorgersi dei particolari, assorbiti come erano dallo svolgersi della storia e dal cercare di capire come sarebbe andata a finire, gioendo e soffrendo nel frattempo.
Noi siamo un po' diversi: di anni ne sono passati quarantatrè e ne abbiamo viste tante, soprattutto al cinema ma non solo. Non lo dico ironicamente, questa situazione di maggiore distacco emotivo (per quanto... non è poi detto...) ci permette di cogliere le molte bellezze del film, opera di astuzia geniale. Però il troppo è troppo: non è vero che Catherine Deneuve, che fa Geneviève, avesse i diciassette anni del suo personaggio, era ormai una vecchia signora di ventuno anni. Né che fosse il suo primo film, aveva incominciato a 14 anni, ed un anno prima degli ombrelli aveva fatto Il vizio e la virtù, film di Roger Vadim, il ben noto moralista (però la Deneuve faceva la parte della virtù, il vizio era Annie Girardot). Nino Castelnuovo, a differenza del ventenne Guy, il suo personaggio, era un vegliardo ventottenne.
Noi siamo un po' diversi: di anni ne sono passati quarantatrè e ne abbiamo viste tante, soprattutto al cinema ma non solo. Non lo dico ironicamente, questa situazione di maggiore distacco emotivo (per quanto... non è poi detto...) ci permette di cogliere le molte bellezze del film, opera di astuzia geniale. Però il troppo è troppo: non è vero che Catherine Deneuve, che fa Geneviève, avesse i diciassette anni del suo personaggio, era ormai una vecchia signora di ventuno anni. Né che fosse il suo primo film, aveva incominciato a 14 anni, ed un anno prima degli ombrelli aveva fatto Il vizio e la virtù, film di Roger Vadim, il ben noto moralista (però la Deneuve faceva la parte della virtù, il vizio era Annie Girardot). Nino Castelnuovo, a differenza del ventenne Guy, il suo personaggio, era un vegliardo ventottenne.
Ma non insisto, torno alla genialità. Gli ombrelli colorati sono un colpo di genio, allora l'unico colore possibile era il nero, difatti la mamma di Geneviève è in difficoltà perché vende ombrelli colorati che la gente non vuole. Il posto però per gli ombrelli era quello giusto: a Cherbourg piove quasi sempre, e quando non piove nevica, come nel finale. Vabbè, lo so, la neve esprime lo stato d'animo di Geneviève e di Guy nel ritrovarsi dopo alcuni anni, però è neve vera, di quella che si attacca sulle macchine, difatti l'auto di Geneviève ne è ricoperta. A proposito: non oso pensare quante bimbe fossero battezzate come Geneviève in quell'anno, sempre meglio della samantheria e della deborahggine che infierì anni dopo.
Anne Vernon fa la mamma di Geneviève, e si trova in difficoltà, ma capita uno strano caso: mentre, accompagnata dalla figlia, cerca di vendere ad un gioielliere una sua collana probabilmente falsa, si intromette lui, il diamantista (così recita il sottotitolo). E' un giovane molto ricco che commercia in pietre preziose e che compra immediatamente ad ottimo prezzo la collana. Il motivo è semplice: si è innamorato a prima vista di Geneviève, ma non sa che la giovane attende un bambino da Guy, che per due anni non ci sarà perché combatte in Algeria. Catherine resiste alle timide ma chiare profferte di Roland (così si chiama il diamantista, l'attore è Marc Michel), poi lui parte per Amsterdam e per tre mesi non c'è. Il regista Demy, cattivo, ci mostra mese per mese il crescere della pancia della giovane, e cresce anche la sua propensione verso Roland, visto che Guy continua a non scrivere, o perché impegnato in azioni militari o perché debole come grammatica o perché si è raffreddato come sentimento.
Finché Geneviève decide di sposare Roland, con somma gioia della madre, che era convinta fin dall'inizio. Il regista, oltre che cattivo è furbo, non ci mostra la scena in cui Geneviève svela a Roland di aspettare un bambino, ce li mostra solo dopo questa impegnativa comunicazione, che procedono a braccetto lungo un canale. Quando Guy tornerà sarà tardi, non solo ci sarà stato il matrimonio, ma sono spariti tutti, via da Cherbourg, e il negozio ha cambiato gestione, non vende più ombrelli ma frigoriferi, mi pare. Dopo alcune traversie, Guy si rassegna, e sposa Madeleine, la ragazza che lo ama fin da piccola (tutti quelli come Guy hanno sempre ragazze che li amano fin da piccole, segno considerevole di mancanza di fantasia di tali ragazze). Tutto si è quindi sistemato, finché, attorno al Natale, una sera si ferma una macchina alla stazione di servizio gestita da Guy. Alla guida c'è Geneviève un po' cambiata, assomiglia tutta alla Catherine Deneuve che ci siamo abituati a conoscere anni dopo. I due si scambiano poche parole intervallate da silenzi emozionati. Fatta la benzina, Geneviève riparte, a bordo c'è sua figlia, la piccola Françoise, che è figlia di Guy. Rimane nella strada innevata Guy, che si mette a giocare con un bambino, che è anche lui figlio suo, però con Madeleine.
Il film è tutto cantato, e le voci non sono degli attori, ma dei cantanti, però non disturba. I colori furono una meraviglia quando uscì il film e la sono ancora oggi, col DVD che ha permesso di restaurare la copia originale. Non è un film che cammini sulle nuvole, la realtà ogni tanto compare, ed è una realtà a volte aspra: le difficoltà economiche del negozio di ombrelli, la tragedia algerina da cui Guy torna segnato, i problemi di Guy sul lavoro quando tornando non trova più Catherine. Sono apparentemente di favola ma verissimi i luoghi: i negozi, l'officina, la stazione ferroviaria, il Carnevale con tanta gente per strada proprio quando Geneviève deve decidere se accettare o no di sposare Roland.
Ma soprattutto, è una storia in fondo non falsa, ma coerente. Con la situazione che si era creata, la scorciatoia dell'amore trionfante non poteva funzionare, così doveva svolgersi la storia, e così accade nella realtà, salvo il caso del diamantista, che appare un po' forzato con quest'amore del tutto subitaneo e con l'accettazione della situazione quando l'impara. Ma ha un buon motivo nel suo passato, che ad un certo punto confessa a Geneviève: una donna crudele l'ha fatto soffrire per anni, una donna che si chiama Lola. In quell'anno, poche bimbe francesi furono battezzate come Lola. Questo film è un incanto soffuso e diffuso, mi ha fatto pensare nel vederlo a certi mirabili quadri di piccole dimensioni che alcuni grandi artisti amavano eseguire a pastello, con moltissimi colori che pian piano sfumavano l'uno nell'altro: Barocci, Liotard, la nostra Rosalba Carriera. E mi vengono in mente anche certi acquerelli di Constable e Turner, che ho visto di recente ad una mostra a Brescia, in cui il fascino non era solo nel quadro, ma anche nella cornice. Le spruzzate di realtà, in genere amara, sono come un fissativo che impedisce ai colori di tracimare. E' un incanto che continuerà ad essere amato.
Anne Vernon fa la mamma di Geneviève, e si trova in difficoltà, ma capita uno strano caso: mentre, accompagnata dalla figlia, cerca di vendere ad un gioielliere una sua collana probabilmente falsa, si intromette lui, il diamantista (così recita il sottotitolo). E' un giovane molto ricco che commercia in pietre preziose e che compra immediatamente ad ottimo prezzo la collana. Il motivo è semplice: si è innamorato a prima vista di Geneviève, ma non sa che la giovane attende un bambino da Guy, che per due anni non ci sarà perché combatte in Algeria. Catherine resiste alle timide ma chiare profferte di Roland (così si chiama il diamantista, l'attore è Marc Michel), poi lui parte per Amsterdam e per tre mesi non c'è. Il regista Demy, cattivo, ci mostra mese per mese il crescere della pancia della giovane, e cresce anche la sua propensione verso Roland, visto che Guy continua a non scrivere, o perché impegnato in azioni militari o perché debole come grammatica o perché si è raffreddato come sentimento.
Finché Geneviève decide di sposare Roland, con somma gioia della madre, che era convinta fin dall'inizio. Il regista, oltre che cattivo è furbo, non ci mostra la scena in cui Geneviève svela a Roland di aspettare un bambino, ce li mostra solo dopo questa impegnativa comunicazione, che procedono a braccetto lungo un canale. Quando Guy tornerà sarà tardi, non solo ci sarà stato il matrimonio, ma sono spariti tutti, via da Cherbourg, e il negozio ha cambiato gestione, non vende più ombrelli ma frigoriferi, mi pare. Dopo alcune traversie, Guy si rassegna, e sposa Madeleine, la ragazza che lo ama fin da piccola (tutti quelli come Guy hanno sempre ragazze che li amano fin da piccole, segno considerevole di mancanza di fantasia di tali ragazze). Tutto si è quindi sistemato, finché, attorno al Natale, una sera si ferma una macchina alla stazione di servizio gestita da Guy. Alla guida c'è Geneviève un po' cambiata, assomiglia tutta alla Catherine Deneuve che ci siamo abituati a conoscere anni dopo. I due si scambiano poche parole intervallate da silenzi emozionati. Fatta la benzina, Geneviève riparte, a bordo c'è sua figlia, la piccola Françoise, che è figlia di Guy. Rimane nella strada innevata Guy, che si mette a giocare con un bambino, che è anche lui figlio suo, però con Madeleine.
Il film è tutto cantato, e le voci non sono degli attori, ma dei cantanti, però non disturba. I colori furono una meraviglia quando uscì il film e la sono ancora oggi, col DVD che ha permesso di restaurare la copia originale. Non è un film che cammini sulle nuvole, la realtà ogni tanto compare, ed è una realtà a volte aspra: le difficoltà economiche del negozio di ombrelli, la tragedia algerina da cui Guy torna segnato, i problemi di Guy sul lavoro quando tornando non trova più Catherine. Sono apparentemente di favola ma verissimi i luoghi: i negozi, l'officina, la stazione ferroviaria, il Carnevale con tanta gente per strada proprio quando Geneviève deve decidere se accettare o no di sposare Roland.
Ma soprattutto, è una storia in fondo non falsa, ma coerente. Con la situazione che si era creata, la scorciatoia dell'amore trionfante non poteva funzionare, così doveva svolgersi la storia, e così accade nella realtà, salvo il caso del diamantista, che appare un po' forzato con quest'amore del tutto subitaneo e con l'accettazione della situazione quando l'impara. Ma ha un buon motivo nel suo passato, che ad un certo punto confessa a Geneviève: una donna crudele l'ha fatto soffrire per anni, una donna che si chiama Lola. In quell'anno, poche bimbe francesi furono battezzate come Lola. Questo film è un incanto soffuso e diffuso, mi ha fatto pensare nel vederlo a certi mirabili quadri di piccole dimensioni che alcuni grandi artisti amavano eseguire a pastello, con moltissimi colori che pian piano sfumavano l'uno nell'altro: Barocci, Liotard, la nostra Rosalba Carriera. E mi vengono in mente anche certi acquerelli di Constable e Turner, che ho visto di recente ad una mostra a Brescia, in cui il fascino non era solo nel quadro, ma anche nella cornice. Le spruzzate di realtà, in genere amara, sono come un fissativo che impedisce ai colori di tracimare. E' un incanto che continuerà ad essere amato.
2 commenti:
Caro Solimano, sono stata a Cherbourg quest'estate, e non ho visto negozi di ombrelli colorati (ma a Rouen, se non erro, ce n'è uno che riprende proprio questo titolo): non ho visto neppure il film, ma tu l'hai raccontato così bene [sviolinata del tutto VOLONTARIA] che forse non ne avrò più bisogno. Non ricordavo, comunque, che fosse TUTTO cantato. Curiosa soluzione, no?
Ave&vale
Roby
Roby, ti consiglio di vederlo, prima o poi. E' una esperienza unica nel suo genere, c'è solo un altro film che lo richiama. Quando sarò pronto, lo inserirò, così ho più carte in mano per insistere con te perché tu lo veda eh... eh...
saludos
Solimano
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