giovedì 20 settembre 2007

Lamerica

Lamerica, di Gianni Amelio (1994) Sceneggiatura di Gianni Amelio, Andrea Porporati, Alessandro Sermoneta Con Enrico Lo Verso, Michele Placido, Piro Milkani, Carmelo Di Mazzarelli, Elida Janushi Musica: Franco Piersanti Fotografia: Luca Bigazzi (115 minuti) Rating IMDb: 7. 6
Giuliano
Uno dei lamenti più comuni è che in Italia non si fanno più i film che toccano gli argomenti dell'oggi. Non è mica tanto vero, o meglio: è vero ma fino ad un certo punto. E' vero perché oggi l'industria cinematografica è più che altro televisiva, e di conseguenza è nelle mani di gente che pensa come prima cosa agli spot, e quindi sceglie sempre i soggetti e gli stili più facili, quelli che il pubblico già conosce e ha già visto (guai a rischiare!); inoltre, le sale cinematografiche e la distribuzione sono nelle mani dei soliti pochi, a noi ben noti.
Ma poi viene da dire che non è vero, perché i film che toccano profondamente l'attualità italiana, e nei suoi aspetti più drammatici, ci sono stati e ci sono ancora. Tre esempi: "Lamerica" di Gianni Amelio (1993) , “Un’anima divisa in due” di Silvio Soldini (1993), e "Il toro" di Carlo Mazzacurati (1994). Tre film molto belli e ben recitati, che toccavano argomenti di enorme attualità, e sui quali è caduto subito (subito, e anche prima che subito) un silenzio tombale. Nessuno ne ha più parlato, non sono mai citati, quando si elenca la carriera dell’uno o dell’altro regista su questi film si sorvola. Come mai?
Certo, si tratta di film che qualche difetto narrativo ce l’hanno, ma sono tre film molto belli. Difetti che peraltro condividono con film di grande successo (la lunghezza, per esempio: come "Titanic"). Ma il loro difetto più grosso, in realtà, è quello di non seguire il “sentire comune della gente”. Amelio in “Lamerica” (tutto attaccato, così come scrivevano i nostri emigranti di cent’anni fa) raccontava, subito dopo gli sbarchi di Otranto seguiti alla caduta del Muro, l'arrivo degli albanesi in Italia. Ma lo raccontava visto dalla loro parte, e cioè dalla parte degli albanesi, paragonati agli italiani emigranti che cercavano, appunto, Lamerica. Mazzacurati raccontava di un operaio licenziato che ruba un bene dell'azienda, un magnifico toro da riproduzione, e cerca di rivenderlo in un paese dell'Est; un film di viaggio e di situazioni, tutt'altro che banale. Soldini parlava degli zingari, senza remore ma senza razzismo. Tutti e tre i film hanno avuto qualche successo di pubblico, al tempo della loro uscita; mi ricordo le sale piene quando sono usciti. Ma oggi sono scomparsi, e se vengono mandati in onda (ovviamente su retequattro) è solo dopo le tre di notte, per non turbare i sonni degli italiani e degli inserzionisti pubblicitari.

“Lamerica” racconta una storia semplice, senza troppi arzigogoli; e lo fa per immagini, cosa rara nel cinema moderno. Un “furbetto” italiano, interpretato da Michele Placido, apre un calzaturificio in Albania; e manda a dirigerlo un giovanotto suo amico, interpretato da Enrico Lo Verso (che veniva dal grande successo di “Il ladro di bambini”, sempre con Amelio). Ma, appena intascati i soldi delle sovvenzioni statali, il furbo italiano scompare e non è più reperibile. La polizia albanese si rivolge quindi al responsabile in loco, cioè Lo Verso: che non ne sa niente, non è al corrente, si è fatto fregare anche lui. La polizia lo ascolta, prende nota, non lo arresta ma gli sequestra tutto (in primis i documenti) e gli impone di non lasciare il paese. Che fare? Il povero ragazzo si ritrova senza passaporto, senza soldi, senza possibilità di comunicare con l’Italia, ed è anche malvisto da chi si aspettava un lavoro onesto e invece si ritrova al punto di partenza. L’unica possibilità di un rientro veloce in Italia è trovare un passaggio su una delle tante carrette del mare, e così riesce a fare. Lo Verso si mescola agli albanesi, ed è un viaggio spettrale – per fortuna breve. Gianni Amelio ci mostra la nave strapiena di poveracci, e per farlo usa una pellicola di grande formato, quasi un cinemascope, così che lo schermo del cinema pare traboccare, affollato all’inverosimile.
Oggi il flusso dall’Albania è quasi finito; non è però cessato il traffico delle carrette del mare, e nemmeno i morti annegati (dieci, venti, cento?) fanno più notizia; tranne quando qualche deputato del Parlamento italiano si sveglia e propone di affondare quelle navi a cannonate (per fortuna, sono solo parole al vento – fino ad oggi, almeno). L’Albania non è quindi più di grande attualità, non se ne parla più, si parla solo degli albanesi che sono già qui; ma non è questo il punto. Il punto è che se volete fare un film di successo, oppure avete voglia di mettervi in piazza, o al bar, e farvi applaudire e sentirvi dire bravo, bisogna dire "ma chi li ha fatti entrare, e perché li fanno entrare, che vadano a casa loro e che non portino qui le loro famiglie, e che stiano qui solo il tempo necessario e poi raus". E un consiglio a Gianni Amelio: per avere successo e farsi premiare ancora, la prossima volta faccia un film dove il protagonista è un parà che spara felice sugli immigrati, invece di farne un disgraziato da mischiare con loro...

4 commenti:

mazapegul ha detto...

Caro Giuliano,
grazie per la segnalazione: cercherò il DVD. Mi pare incredibile che la vecchia regola dei mari -soccorrere i naufraghi- sia stata addirittura impugnata contro alcuni capitani rei perciò di favorire l'immigrazione clandestina. Mentre nel Mediterraneao migliaia -decine di migliaia?- di corpi giacciono da pochi anni sui fondali.
A volte mi piacerebbe che qualche produttore coraggioso ci facesse su un kolossal. Sul naufragio dei vinti (della Provvidenza) Verga ci aprì il più riuscito dei suoi romanzi.
Atsalùd,
Nicola

Anonimo ha detto...

Caro Giuliano, speriamo che Amelio continui a fare film così e che non segua il tuo consigli.. Ciao Giulia

Solimano ha detto...

Me lo ricordo bene, il periodo in cui gli albanesi migrarono a decine di migliaia.
La complicazione quasi insuperabile fu che l'Albania veniva da cinquant'anni di dittature bieca e di chiusura pressoché totale a quello che capitava negli altri paesi. Quindi ci fu una invasione mediatica delle TV italiane, e sorsero i bar Berlusconi e poi le piramidi finanziarie. In quei cinquant'anni persero ogni tipo di valore sia religioso (cristiani e musulmani erano perseguitati) sia civile (si spiavano tra di loro). Generalmente non erano disposti a lavori specifici, mentre prima i polacchi, dopo due mesi di lavavetri trovavano qualche cosa d'altro. E la situazione è ancora difficile. Non aiuta il fatto che si faccia di ogni erba un fascio: quelli dello Sri Lanka sono diversi dai filippini, i peruviani diversi dagli equadoregni ed egiziani, tunisini, algerini, marocchini sono diversi e sono propensi ad attività diverse. Un approccio di generico volontarismo non aiuta, ci dovrebbe essere una specificità per etnie.

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

In tema di emigrazione, io ho apprezzato moltissimo "Nuovomondo" di Emanuele Crialese per lo stile asciutto e nel medesimo tempo onirico con il quale ha reso la storia. Bravissimi anche Vincenzo Amato e l'affascinante Charlotte Gainsbourg. I vostri post sono come le ciliege, uno tira l'altro e si leggono sempre con grande piacere! Buona serata. Annarita.