Volevo solo dormirle addosso, di Eugenio Cappuccio (2004) Sceneggiatura di Massimo Lolli, Alessandro Spinaci Con Giorgio Pasotti, Cristiana Capotondi, Faju, Massimo Molea, Antonino Bruschetta, Jun Ichikawa Musica: Francesco Cerasi Fotografia: Gianfilippo Corticelli (96 minuti) Rating IMDb: 7.0
Giuliano
Ci sono persone che commettono crimini gravissimi, che fanno impressione: rubano, ammazzano, usano violenze fisiche. Queste persone sono normalmente oggetto della riprovazione generale, e in alcuni casi si invocano punizioni esemplari. E poi ci sono persone (ce ne sono tante) che esercitano una violenza molto più subdola, ma non meno grave: di queste persone si parla poco, e spesso si tende a giustificarle. Nella categoria metterei gli usurai, per esempio; ma anche quei dirigenti (capi del personale in testa) che si fanno un vanto di saper licenziare senza troppi peli sullo stomaco. Mi rendo conto che è un discorso troppo complesso per un film come questo, ma è di queste cose che il film parla e da qui volevo cominciare.
“Volevo solo dormirle addosso”, secondo quanto viene detto nel film, è la metafora odierna di quel che resta dell’amore romantico: scopare e dormirle addosso. Lo dice il protagonista, un giovane dirigente stretto nella morsa tra una fidanzata carina ma per la quale non prova nulla di davvero serio, e il carrierismo ossessivo che domina il mondo del lavoro, e del quale fa parte ormai integrante. E’ un buon film, diretto da Eugenio Cappuccio, tratto da un libro (di non so più chi) che ebbe un buon successo pochi anni fa. Gli manca qualcosa per essere davvero bello, ma tutto sommato è un’opera prima e si può ben chiudere un occhio sui difetti. Ricorda molto “Impiegati” di Pupi Avati: vent’anni dopo, ecco lo stesso carrierismo spietato da tritacarne, ma ancora più cattivo.
E’ la storia del giovane “tagliatore di teste” aziendale, scelto da “quelli di fuori” (un francese durissimo ma molto protettivo con il figlio, e una giovane cinese) per licenziare 25 persone ma senza far casino né provocare danni nelle relazioni con i sindacati. Il giovane accetta, e già questo è di per sè un patto con il diavolo: ovviamente, l’impresa è impossibile a meno di lasciarci l’anima. E infatti la venticinquesima testa a cadere sarà la sua. Cosa manca a questa storia per essere davvero grande? Ecco, forse è questo che manca al film: ci si perde nella descrizione di luoghi e ambienti, si cerca un po’ di macchiettismo, e si diluisce questa vena faustiana. Però sono difetti perdonabili, il film l’ho visto volentieri e senza stancarmi (mi capita, ah se mi capita...).
Un difetto da sottolineare, però, è che si lascino a mezz’aria personaggi e situazioni che potrebbero essere formidabili: l’incontro del giovane protagonista con la ragazza africana, un’attrice dalla recitazione molto naturale, che colpisce subito (si chiama Faju), e che meriterebbe di più nel finale; e la domestica sudamericana che ripete in continuazione “hombre de mierda” al disordinato Pasotti, ma poi gli rimbocca le coperte quando lo vede scoperto nel letto. Il protagonista è appunto Giorgio Pasotti, uno dei migliori attori del nostro nuovo cinema: bravissimo, ma gli si vuol bene subito. E quindi come personaggio che deve rendersi odioso non è molto credibile...
Nel complesso, un ottimo film, ben fatto e ben diretto, e ben recitato da tutti. Complimenti a Cappuccio, mi segno il suo nome e aspetto la prossima.
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1 commento:
Adesso che ci penso, la cinese del film è una “cinese de Roma”: se non sbaglio è di origine giapponese, ed è la protagonista di “Cantando dietro i paraventi”, un gran bel film sul teatro di Ermanno Olmi. (si chiama Jun Ichikawa).
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