Giuliano
Questa è un’altra delle scene più misteriose, e più suggestive, del film di Peter Brook. Un altro momento in cui si parla dell’aldilà, e del trascendente. Anche qui, vista l’enorme difficoltà dell’argomento, mi limito a riportare il lavoro di adattamento fatto dallo sceneggiatore Jean Claude Carrière.
Ci si avvale ancora una volta, all’inizio, della grande presenza scenica di Sotigui Kouyaté, che è forse il vero centro di tutta l’operazione tentata da Brook e da Carrière. Poi tutto il resto è lasciato ai primi piani, intensi e molto ispirati, degli altri due attori: il polacco Andrzei Seweryn che è Yudhìshthira, e il francese Ken Higelin, che quando fu girato il film aveva sedici anni, e forse per questo è così adatto alla parte. E’ una scena molto breve, basata tutta sulla suggestione delle parole e dei primi piani.
Yudhishtira, fratello maggiore di Arjuna e capo dei Pandavas, si sente in colpa dopo l’uccisione di Ghatokatcha, mandato da Krishna a sicura morte con l’inganno (l’ennesimo inganno) per togliere a Karna un colpo mortale, e si reca da Bhishma morente per chiedere ragione di tutto questo, e se ha senso continuare la battaglia. Bhishma, il grande guerriero, riferimento morale e spirituale di tutti i contendenti, è sul suo letto di morte, fatto di frecce. Colpito da Sikhandin (anzi, no: da Arjuna) sta lentamente morendo, mentre infuria la battaglia. Yudhishthira si reca da lui per chiedergli che senso ha tutta questa carneficina. Il vecchio guerriero si alza per un attimo dal suo letto di morte ed evoca “the deathless boy” , il ragazzo che non conosce la morte; a lui Yudishthira potrà rivolgere le sue domande. Il ragazzo appare.
Yudishthira: Sei tu il ragazzo che non ha morte?
Ragazzo: Sì.
Yudishthira: Sei tu che hai detto “La morte non esiste”?
Ragazzo: L’ho detto.
Yudishthira: Ma, se perfino gli dei compiono sacrifici per non dover morire...
Ragazzo: Entrambe le cose sono vere. I poeti rendono omaggio alla morte e la glorificano nelle loro canzoni; ma io ti dico che la morte è negligenza ed ignoranza, e che vigilare è l’immortalità. La morte è una tigre acquattata nei cespugli. Noi facciamo figli per la morte, ma la morte non può divorare chi si è scrollato la vita di dosso come polvere. La morte non ha potere davanti all’eternità. Il vento e la vita scorrono partendo dall’infinito. La luna beve il respiro della vita, il sole beve la luna, e l’infinito beve il sole. Il saggio si libra tra i mondi. Quando il suo corpo è distrutto, quando non ne rimane traccia, allora la morte stessa è distrutta a sua volta, e il saggio contempla l’infinito. (scompare)
Yudishthira: (tra sè) Per tutta la mia vita ho sentito i saggi che dicevano: “ Se il dharma è protetto, protegge; se è distrutto, distrugge.” Stiamo proteggendo il dharma?
Krishna (apparendo brevemente): Spesso, l’unico modo per proteggere il dharma è dimenticarlo.
La battaglia continua, ma ormai Drona è stato ucciso, Karna non ha più difesa, la vittoria dei Pandavas è certa. Ora Bhishma può morire.
P.S.: Riporto la definizione di “dharma”: così come appare nell’appendice al riassunto del “Mahabharata” fatto dallo scrittore indiano R.K.Narayan (editore Guanda):
dharma: ordine stabilito; giustizia, dovere, virtù; regola, legge (in campo sociale, morale e cosmico)
Dharma: il dharma personificato e divinizzato; identificato a volte con Yama.
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1 commento:
E’ uno dei momenti più oscuri e fascinosi del film, e del Mahabharata, sul quale è difficile intervenire. Una riflessione si può però fare sul fatto che Yudhishthira è figlio del Dharma e di Kunti.
Dopo aver abbandonato Karna, la giovane Kunti va in sposa al re Pandu, che ha anche un’altra moglie di nome Madri. Però il re Pandu durante una partita di caccia uccide un daino, nel quale si era trasfigurato uno spirito per potersi congiungere all’amata (è un soggetto che potrebbe stare in Ovidio). Lo spirito morente lancia una maledizione su Pandu: che egli non possa più congiungersi ad una donna senza morire.
A questo punto, Pandu – che non potrà avere eredi – consegna il regno al fratello cieco Dhritharashtra e va a vivere in luoghi lontani e selvaggi, in volontario esilio. Lo seguono le due moglie, ed è a questo punto che Kunti gli confessa il suo segreto, cioè di poter evocare un dio e di avere un figlio da lui. Pandu la prega di farlo, così’ da poter avere ugualmente una discendenza.
Il primo dio evocato è Dharma, che darà Yudhishthira; il secondo è il Vento, che darà Bhimasena, forte e inafferrabile; il terzo è Indra, re degli dèi, che darà Arjuna. A questo punto, Kunti si ferma: ritiene di aver già fatto molto.
Ma l’altra moglie, Madri, le chiede di passarle il mantra, e così viene fatto. Nasceranno i due gemelli Nakula e Sahadeva, che completano i cinque Pandavas.
In seguito, Pandu verrà colto dal desiderio per Madri, e ne morirà. Kunti torna alla reggia di Dhritharashtra, dove cresceranno i suoi figli insieme ai cugini.
Ghatokatcha è figlio di Bhimasena, fratello di Arjuna, e di un demone femmina: è potentissimo e fortissimo, arriva in aiuto del padre nella battaglia di Kurukshetra. Ma Bhimasena non è in difficoltà, si tratta di un trucco di Arjuna per farlo giungere in un momento delicato. Krishna sa che il ragazzo, mezzo demone e mezzo Bhimasena, andrà incontro a sicura morte, ma lo fa giungere lo stesso: così toglierà un’arma a Karna, e la strada verso la vittoria sarà spianata. Quando Ghatokathcha muore, dopo aver sterminato da solo mezzo esercito nemico, Krishna balla ed è contento: il suo contegno scandalizza ma lui spiega che è stato tutto necessario, e che adesso le cose andranno per il meglio.
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