lunedì 1 ottobre 2007

Lagaan

Lagaan: Once Upon a Time in India, di Ashutosh Gowariker (2001) Sceneggiatura di Kumar Dave, Sanjay Dayma, Ashutosh Gowariker, K.P. Saxena Con Aamir Khan, Gracy Singh, Rachel Selley, Paul Blackthorne, Suhasini Mukay, Kulbhusan Kharbanda Musica: A.R. Rahman Fotografia: Anil Metha (224 minuti) Rating IMDb: 7.9
Giuliano
Mi piacciono molto i film indiani, quelli di oggi e non solo quelli di Satyajit Ray. Mi piace Bollywood, la Hollywood di Bombay, con i suoi film lunghi, colorati, film d’amore, pasticciati, pieni di musica, di canzoni e di danze.
Purtroppo ne ho visti pochi, e devo ammettere che capisco sì e no la metà di quello che vi succede, e non so nemmeno che cosa sono per davvero quelle canzoni lì, se sono l’equivalente del nostro Sanremo (probabile) o se hanno qualche motivo d’interesse in più; però l’insieme è sempre fresco, piacevole, con bei personaggi. Non mi stupisce affatto che piacciano, anche perché – bisogna ammetterlo – come “prodotto medio” i film indiani sono nettamente superiori alla nostra triste mediocrità e banalità televisiva degli ultimi vent’anni. Intanto, sono film veri, e non telefilm camuffati: ed è già una gran bella cosa, rivedere qualcuno che pensa in grande, in questo inizio di millennio. Oggi parlo di Lagaan, un film che ho iniziato per puro caso e che poi ho voluto vedere fino alla fine. C’erano tremila motivi per non guardarlo: è un film sul cricket (che roba è il cricket?), è un film lunghissimo (tre ore abbondanti), è un film in costume (cose indiane, India dell’Ottocento, periodo coloniale), i personaggi sono stereotipati e si sa già fin dall’inizio come andrà a finire (con la vittoria dei nostri all’ultimo secondo, insperata, alla faccia dei cattivi), per di più con lunghi inserti ballati e cantati non so nemmeno in che lingua... E invece sono stato contento, guarda un po’ che roba, e alla fine mi è dispiaciuto abbandonare tutti questi personaggi, cattivi compresi, e avrei voluto che durasse ancora un po’.
Sembra un film di Walt Disney anni Sessanta, di quelli con Hayley Mills e Dean Jones e Jodie Foster da bambina: una sfida a cricket tra il truce governatore coloniale inglese e un giovane del villaggio. Gli indiani del villaggio non sanno nemmeno che cos’è il cricket, non hanno la minima attrezzatura e anche sforzandosi non si arriva nemmeno al numero minimo di giocatori necessari, bisogna chiamare anche i vecchi e gli zoppi: ma in palio c’è tutto un anno di tasse da pagare all’odiata Britannia. Per fortuna, ecco arrivare un imponente sikh con la barba e il turbante, che a cricket ci ha giocato per davvero, da professionista. Si mette al servizio della squadra, ed ecco che... Beh, è inutile che io stia qui a raccontare: penso che sia già tutto ben chiaro, compresa la “fronda” della gentile donzella inglese, la storia d’amore del protagonista con la sua giovane e bella fidanzata, l’handicappato che diventa un punto di forza, e così via.

Ma è tutto molto bello, luminoso; e quando un film è così ben fatto il resto non conta, nemmeno il soggetto verrebbe da dire. A ciò si aggiunga che il cricket è molto fotogenico, a differenza di quasi tutti gli altri sport. Non è frenetico come il baseball, di cui è l’antenato, croce e delizia di molti film americani: qui la pallina non schizza via a velocità supersonica, c’è il tempo di ragionare e di trasmettere qualche emozione in più.
Tra gli inserti musicali, numerosi e generosissimi, ho trovato molto bello il numero musicale sull’amore tra Krishna e Radha, un amore idealizzato che mi ha riportato al nostro Cinquecento, con le divinità mischiate agli umani, con la pastorella gelosa di Mirtillo, con Tirsi e Clori, come in Guarini e come in Monteverdi...

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