
Giuliano
La storia è semplice. Così semplice che si rischia di non capirla, perciò cedo la parola all’autore:
« (...) Più avanti, nel film, c'è una scena in cui Sanshiro va in città e si mette nei guai bevendo e litigando. Allora, il suo maestro Yano Shogoro lo fa chiamare per sgridarlo. Fujita si lamentò che era una crudeltà castigarlo due volte, ma poteva dar la colpa solo a se stesso. Fu bravissimo, in quella scena. Questa scena mi fa venire in mente una cosa che vorrei precisare. Nel film accade questo: in reazione alla lavata di capo che riceve Sanshiro protesta che è disposto a tutto, anche a morire per il maestro, e d'impulso si getta dalla finestra nello stagno sottostante. Pur di non chiedere scusa, è disposto a passare l'intera notte nell'acqua fredda, aggrappato a un palo; ma all'alba assiste a un evento magico: sotto i suoi occhi si schiudono dei fiori di loto con un leggero fruscio. Anni dopo incontrai l'attore Fujita che mi riportò le critiche di un collega: secondo lui i fiori di loto non si aprono di notte e non fanno nessun rumore. Ma io sapevo bene quello che facevo. Nel film è l'alba quando Sanshiro osserva lo strano fenomeno dei fiori che si aprono, non la notte. Quanto al misterioso fruscio dei petali, ne avevo sentito parlare: così una mattina mi ero alzato prima dell'alba ed ero andato a fare un giro nello stagno di Shinobazu, a Ueno. Quel rumore meraviglioso - un sorta di esplosione in miniatura - l'avevo sentito per davvero.
Un vecchio stagno
Una rana si tuffa
Rumore dell'acqua.
Se uno lo legge e pensa: «Be', è naturale che se una rana salta nello stagno fa un rumore», semplicemente non ha sensibilità per gli haiku. La stessa cosa vale per la scena del mio film: se uno trova strano che Sanshiro senta un suono meraviglioso quando si schiudono i fiori di loto, semplicemente non capisce il cinema. C'è della gente così anche tra i critici. A volte dicono delle cose talmente a sproposito da dare l'impressione di essere posseduti da qualche demone. Per i critici immagino non ci sia niente da fare, ma trovare gente simile tra i cineasti sarebbe davvero il colmo.
(Akira Kurosawa, Quasi una biografia: L’ultimo samurai, ed. Baldini Castoldi, pag.170)
La storia è semplice: siamo nel 1902, sul confine tra Russia e Cina, nel distretto del fiume Ussuri. Un capitano dell’esercito russo sta facendo rilievi topografici, e si imbatte in un ometto che da quel momento in poi gli farà da guida; tra i due nasce una forte amicizia e, quando l’ometto sarà troppo vecchio per continuare la sua vita di cacciatore, il capitano lo porterà a vivere a casa sua, in città, con sua moglie e suo figlio; e ci sta bene, ma continuerà a sognare la vita che faceva prima.
Ecco, tutto qui. L’ometto – un piccolo cacciatore di stirpe mongola, della tribù dei Golt, di età indefinibile – si chiama Dersu Uzala; è lui il protagonista del film. Dersu è stato descritto dal vero capitano Arseniev in un libro di memorie, e da questo libro è stato tratto il film.
Dersu indica il sole al tramonto: “Questo è omo forte”; poi indica la luna: “Ecco altro omo forte”. Ma “òmini” sono anche il fuoco, il vento, l’acqua: sono òmini cattivi, se si arrabbiano fanno molto male. E “òmini” sono anche la volpe, il tasso, gli animali della foresta: “Ma per te sono tutti uomini?” gli chiedono ridendo i soldati. Probabilmente è solo un problema di passaggio da una lingua all’altra (Dersu traduce con “uomo” ogni singolo essere vivente, forse nella sua lingua è normale), ma c’è molto di più, c’è l’elemento animista. Ogni cosa ha la sua anima, per il piccolo uomo della taiga; e la sua idea di caccia è ben lontana da quella dei signori delle nostre parti, ed è molto simile a quella dei nostri vecchi di quell’epoca, quelli che nel 1902 andavano ancora a caccia con rispetto, e solo per bisogno. Infatti, quando è costretto a sparare alla tigre Amba, Dersu si sente perduto. Ora interverrà lo spirito Kanga, e arriverà altra Amba a portarlo via... Ma non è Amba che arriva, è la vecchiaia, letale per un cacciatore che vive nella taiga: o forse è la stessa cosa, solo che noi le chiamiamo con nomi diversi
Ottimi gli attori, che ruotano tutti attorno al Dersu di Maksim Munzuk; e Juri Solomin è il Capitano che gli fa da spalla. E una parola va spesa per il doppiatore di Dersu Uzala: pensavo che fosse stato scelto uno straniero, per via dell’accento particolare e delle invenzioni linguistiche, e invece è italiano: si chiama Antonio Piovanelli e una menzione se la merita di sicuro, menzione con lode.
7 commenti:
Dispiace che le immagini non rendano giustizia a questo film. Nessun fermo immagine può rendere la magia delle immagini di Kurosawa, così come nessun fermo immagini potrà mai rendere la pioggia di Rashomon.
Si fa quel che si può: ma raccomando a tutti la scena shakespeariana della tempesta sul lago ghiacciato.
Il film citato da Kurosawa è il suo primo film, del 1942: si intitola “Sugata Sanshiro”, cioè cognome e nome del protagonista. Credo che in Italia non si sia mai visto.
I vostri post sono la mia enciclopedia del cinema, che altro dirvi? Grazie e buona serata :-) Annarita
Cara Annarita, il tuo sito è un bel posto di ristoro, non si fa fatica a leggerlo come il nostro...
grazie
Giuliano
Giuliano, stavolta non sono del tutto d'accordo con te. Certe innagini singole di film hanno un valore di per sé, non sono una immagine fra altre migliaia di immagini. Di esempi ne potrei fare molti, ma te ne faccio uno che credo convincente. Per il film "Tess", quattro su cinque immagini le ho tratte direttamente dal DVD, solo quella col bambino l'ho trovata in rete. Non per merito mio, ma per fortuna, quella di inzio col gallo e quella finale in cui Tess scrive una lettera, reggono molto bene, a loro modo spiegano diverse cose del film, ma hanno un valore di per sé, come quadri, e come tali vanno considerate, non solo come un corollario del film. Adesso sono ancora alle prese con problemi di lettura e di capture delle immagini, ma visto il risultato persisterò, perché l'immagine, quando è così, dice anche più del testo di spiega.
Annarita, in un certo modo ti do ragione, perché i primi ad apprendere cose nuove siamo noi che scriviamo. L'ambizione, più che di una enciclopedia, sarebbe quella di un mazzo variegato di chiavi di tutti i tipi che servano a chi legge a mettersi in uno stato di attenzione non passiva ma partecipante al film che guarda, che così diviene anche suo.Però Giuliano, nel dire che il tuo angolo è un posto di ristoro non la dice tutta: occorre attenzione per seguire tutto e di ciò ti siamo grati: con la fretta senza attenzione non si va da nessuna parte, occorre sapersi fermare, che è un'arte difficile, provare per credere a fermarsi di fronte ad un quadro per più di due minuti.
grazie e saludos
Solimano
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Caro Solimano, il mio discorso sul fermo immagine si riferisce solo a Kurosawa, per il resto sono d'accordo con te: i "fermi immagine" di Barry Lyndon sono meravigliosi.
Ma con Kurosawa, e soprattutto con Dersu Uzala, siamo proprio su un altro mondo: è l'estetica dell'immagine in movimento...
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