lunedì 15 ottobre 2007

I triangoli nel cinema: La fornaia di Monceau

La Boulangère de Monceau, di Eric Rohmer (1963) Con Barbet Schroeder, Claudine Soubrier, Michèle Girardon Narrateur: Bertrand Tavernier Fotografia: Bruno Barbey, Jean Michel Meurice (23 minuti) Rating IMDb: 7.5
Solimano
A Parigi, fra maggio e giugno, un giovane studente universitario (Barbet Schroeder) di cui non sappiamo il nome, passeggia di frequente nei boulevards del quartiere di Villiers con un amico, per prendere aria durante la preparazione assidua degli esami. Gli accade di incrociare spesso lo sguardo con una ragazza che gli piace, Sylvie (Michèle Girardon) che cammina nelle stesse strade; i due si incontrano quasi tutti i giorni ma non si sono ancora parlati. Il giovane fa un piccolo piano per conoscerla ma il loro primo incontro è del tutto casuale: si urtano ad un semaforo senza essersi visti in faccia, lui si gira per chiedere scusa e vede che è lei.

Scambiano poche frasi sufficienti al giovane per chiederle un appuntamento per il giorno stesso, Sylvie rifiuta perché quel giorno è impegnata, ma dice con chiarezza che potrebbero vedersi in uno dei prossimi giorni: "Tanto, è da tempo che ci vediamo ogni giorno", aggiunge, dal che il giovane capisce che l'attrazione è reciproca, e la saluta tranquillamente, piuttosto contento. Non le chiede neppure il numero di telefono e l'indirizzo, sarebbe un farsi avanti di cui non c'è nessun bisogno.
Ma il giorno dopo non la incontra e neanche il giorno dopo ancora, così comincia a cercarla. Fortunatamente riesce a dare con successo l'esame che aveva preparato, e dedica il suo tempo a camminare per Parigi nel quartiere di Villiers, sempre senza incontrare Sylvie, poi estende le sue ricerche al quartiere Monceau. A passeggiare viene appetito, e casualmente un giorno si ferma in una panetteria/pasticceria piuttosto piccola in via Lebouteux per prendere un sublis, che gli piace, e il giorno dopo, sempre durante le sue ricerche di Sylvie - ancora infruttuose - ci si ferma ancora. Diventa una piacevole abitudine quotidiana.

La boulangèrie è gestita da una donna matura, ma lui viene sempre servito da una commessa, una ragazza che ha meno di vent'anni, che si chiama Jacqueline (Claudine Soubrier). Cominciano a scambiare qualche parola, non più di tanto perché la padrona non è amichevole, ma il giovane capisce che Jacqueline lo trova interessante, difatti è alto, ben vestito, riservato senza essere timido. Il giovane, sempre deluso nella sua ricerca di Sylvie, ne è lusingato, quel poco tempo nella boulangèrie è sempre più gradevole, si possono dire delle cose senza parlare, anche soltanto dandosi un sublis o scambiandosi del denaro. Finché la incontra per caso in strada, con la cesta da fornaia, e la invita a fermarsi a parlare con lui sotto un voltone.

Jacqueline si ferma volentieri, pur dicendogli che di tempo ne ha poco, perché la padrona l'aspetta. Aggiunge che ha fatto domanda ai magazzini Lafayette e che spera che la assumano, lì dov'è si annoia per la mancanza di compagnia e la padrona è un po' pesante da reggere. Il giovane le chiede di uscire insieme una sera, ma lei non accetta subito, anche se dice che quando esce è con un gruppo, ma il ragazzo non ce l'ha. Il giovane decide di venirne ad una, siccome la vede esitante ma anche propensa, e le dice: "Domani, quando verrò, ti chiederò un sublis, se la risposta è no, me ne darai uno, se la risposta è sì me ne darai due, e ci troveremo alle otto di sera al ristorante Cupole".

Le fa ripetere la sua proposta per vedere se ha capito, ma Jacqueline è sveglia, ha capito benissimo, e il giorno dopo di sublis gliene darà due, come il giovane si aspettava. Non gli resta che attendere le otto di sera, e continua a passeggiare. Così, incontra Sylvie, che cammina appoggiandosi ad un bastone. Parlano, lei gli dice che si era slogata una caviglia il giorno dopo che si erano trovati. Lui deve decidere in pochi secondi, e fa una scelta che interiormente definisce "morale": "Potremmo vederci questa sera stessa", le dice. Sylvie, molto diretta, è d'accordo, e camminano adagio affiancati in via Lebouteux. Il giovane non si volta, spera che Jacqueline non esca per strada, visto che piove. La sera, in un ristorante - non quello concordato con Jacqueline - ad un tavolo a due ci sono il giovane e Sylvie, si capisce che tutto va per il meglio. Lei dice che era preoccupata che tutte le paste che prendeva non gli facessero male, lo vedeva infatti dalla finestra. Sei mesi dopo, già sposati - quanta fretta! - un giorno entrano nella boulangèrie per una pasta, c'è solo la padrona, Jacqueline sarà stata assunta ai magazzini Lafayette.

P.S. Il film è narrato in prima persona dal protagonista, il giovane di cui non viene fatto il nome. La voce del narratore è quella di Bertrand Tavernier, il ben noto regista che aveva allora ventidue anni. I tre attori ebbero una storia molto diversa.
Claudine Soubrier (Jacqueline) aveva certamente meno di vent'anni, e ha fatto solo questo film, la sua presenza nel mondo del cinema è iniziata e finita in ventitrè minuti.
Michèle Girardon (Sylvie) aveva venticinque anni ed era una attrice già nota, aveva partecipato a più di dieci film, alcuni anche significativi, come Les Amants di Malle, Hatari! di Hawks e Le Signe du Lion dello stesso Rohmer. Negli anni successivi lavorò intensamente, più di venti film in otto anni, ma dal 1971 non ci sono più film suoi. Scomparve per suicidio da barbiturici nel 1975.

Per Barbet Schroeder (il giovane), che aveva ventidue anni, questo fu il primo film di una buona carriera di attore. Ma soprattutto, nei decenni successivi, fu il produttore di film importanti, specie di Rohmer, ma anche di Rivette. E' sposato da decenni con Bulle Ogier, che molti ricordano per la presenza nei film di Bunuel, di Chabrol e di Rivette.
Questo film, a parte la ammirevole capacità di esprimere idee e sentimenti attraverso una storia di per sé piccola, dura solo 23 minuti. I tempi, la stagione ed i luoghi in cui si svolge sono scanditi da Rohmer con esattezza coerente e quasi matematica, il controllo - in apparenza morbido - è ferreo, ma ne racconterò un'altra volta, probabilmente ne I luoghi del cinema.
P.P.S. Questo è un post che è anche un esperimento: raccontare un film con l'ausilio di alcuni fermo-immagine in forte integrazione col testo e che in un certo modo ne rappresentino delle sintesi visive. Non credo sia una soluzione praticabile spesso, ma in questo caso penso che valesse la pena di provarci: pochi personaggi, film molto breve, storia lineare. Vedrò in futuro se sarà il caso di insistere, ogni tanto, naturalmente. Sono al di fuori la prima e l'ultima immagine, che costituiscono un mio omaggio a Jacqueline e Sylvie, ed anche a Claudine Soubrier e a Michèle Girardon. A loro ho sempre voluto molto bene, sia alla mora che alla bionda, con i loro mirabili visi di persone normali.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Vi dico soltanto che vi seguo con molta attenzione e che il vostro blog è diventato per me davvero un riferimento.Non so se questo vi faccia piacere, ma perchè non dire cose belle? E' un blog su cui si può studiare. Grazie Giulia

Solimano ha detto...

Giulia, mi auguro che sia come tu dici. Studiare sul serio è fatica, ma dà anche piacere. Lo tocco con mano quando debbo scrivere di un film, studiare è necessario, se non altro perché altrimenti verrebbero fuori troppe sciocchezze. Però c'è il gusto della scoperta!

saludos
Solimano