domenica 28 ottobre 2007

Fiorile


La prima volta che ho visto Fiorile mi era piaciuto moltissimo. Sarà perché lo vidi a tarda notte, e a quei tempi la solitudine era merce rara e preziosa, così come il silenzio. Starsene da sola davanti alla tv a guardare un film non commerciale era un lusso che poche volte mi potevo permettere.
L’ho rivisto poche sere fa, e, in generale, mi è piaciuto ancora. E’ una felice idea fare degli ideali di libertà e uguaglianza i protagonisti che, subito uccisi, riaffiorano via via nella storia familiare e sociale attraverso un secolo e mezzo. E’ felice l’idea di consegnare la sopravvivenza di questi ideali alle donne, che li coltivano, anche se più per propensione sentimentale che per intelletto. Ma gli uomini, anche loro, la calpestano, più per avidità e interesse che per scelta razionale. Tutto questo rivisitato attraverso il racconto di un padre a due bambini curiosi della storia di una famiglia a loro del tutto ancora sconosciuta.
Bella l’ambientazione, bella, anche troppo, la cura del particolare che sfiora l’estetismo; e già questo incomincia a disturbarmi, come mi disturbano l’eccesso di richiami e di simmetrie, che rendono la storia un po’ troppo intellettualistica. Ma più di tutti mi disturbano i tempi, dilatati fino allo spasimo, il lungo indugiare della camera su un’inquadratura, i silenzi, oh i silenzi… che sembra quasi che gli attori abbiano dimenticato la parte, e invece magari c’è un significato recondito che noi, poveri normali spettatori, non riusciamo a individuare.
E del resto sono gli stilemi tipici di un certo “film d’autore” italiano: geniale sotto certi aspetti, per altri talmente estetizzante da rendere il racconto di difficile sopportazione. E sì che la storia è intrigante, e si vuole sapere come continua e come finisce. Se solo finisse un po’ più alla svelta, ecco.
E poi, quando la fine arriva, come spesso succede è deludente; la mia impressione (mi capita spesso con autori italiani) è che i registi non trovassero il modo di finire il film, e l’abbiano strascicata in lungo in modo artificioso, caricandola sempre più di simboli e significati, ma in realtà scendendo a capofitto in una quasi ghost-story. E comunque si inserisce nel filone dei finali aperti, tanti cari a certi registi; non è chiaro se l’idea di libertà e di uguaglianza possa avere ancora un posto fra le colline toscane, o se se ne andrà definitivamente oltralpe: ciascuno decida per sé. Ma il nome “Fiorile” scritto da mano ignota sul finestrino dell’auto - che dovrebbe, credo, essere simbolo di futura speranza - mi sembra un escamotage degno di più dozzinali produzioni. O magari non ho capito proprio niente.

P.S. La locandina è stato tutto quello che sono riuscita a trovare sul film. Lascio il compito a Solimano, che certo è più esperto di me, di trovare immagini che rendano giustizia a quelle, bellissime, del film

2 commenti:

Roby ha detto...

Quella degli attori che sembra abbiano dimenticato la parte è davvero una bella battuta. Che condivido in pieno per quanto riguarda un certo genere di film "impegnati". Non ho visto Fiorile, ma certo, Manu, la tua critica non mi invoglia a farlo...

[:->>>]

Popcorn&abbracci

Roby

Anonimo ha detto...

Salve Manuela,
io il film lo vidi tantissimi anni fa. Allora mi era piaciuto. Ne conservo un ricordo confuso a parte un'immagine che, ne ignoro il motivo, è rimasta nitida e affascinante perché sul confine tra l'ingenuità e la follia: Galatea Ranzi che cerca d'imparare a nuotare, vestita di tutto punto, stesa a terra nel salone di casa.
Un caro saluto
Laura