domenica 31 agosto 2008

Enric Siò

Solimano
A Enric Siò (1942-1998), catalano di Barcellona, ho già dedicato un post nella precedente serie sui fumetti. Le richieste per pagina di questo post non sono molte, ma neppure sporadiche, e provengono generalmente dall'estero. Una fama piccola, costituita da appassionati a cui appartengo anch'io. Nel numero 121 di Linus dell'aprile 1975, c'è un breve articolo di O.d.B. (Oreste Del Buono) dedicato ad Enric Siò, che così racconta di sé:

"Ho scelto una casa di Barcellona che potesse servire bene ai miei personaggi, volevo che la casa esistesse. L'ho fatta fotografare e rifotografare. Poi nei miei disegni ho cominciato ad abitarci dentro con i miei personaggi. Ci sono pochi uomini nella mia storia e non ci sono genitori. Prevalgono una nonna e dei bambini. E' proprio la storia della mia infanzia narrata in una favola...".

Siò parla di Rito, una storia breve che fu pubblicata proprio in quel numero di Linus e di cui metto due immagini verso la fine del post.
Tutte le altre immagini provengono da una storia lunga, che è la più famosa di Siò: Aghardi, e le ho trovate nel supplemento al numero 72 di Linus, che uscì nel marzo 1971 col nome di Marzolinus. Già nell'immagine di apertura del post si vede quanto l'erotismo di Siò sia diverso da quello di Crepax: Siò è mosso, istantaneo, privilegia un altro tipo di bellezza femminile. Ma ci sono differenze forse più importanti.



Siò è un luminista che costruisce i disegni utilizzando frequentemente zone di nero profondo da cui le figure scaturiscono sorprendenti, inattese, reali eppure fantastiche. Le sue ombre scurissime non sono vaghe, ma plastiche, nelle zone in chiaro è evidente la somma maestria nell'utilizzo del disegno a china. Una maestria con in più, rispetto a Crepax, uno sprezzo elegante. Crepax indugia, rischiando una perfezione ammirevole ma ripetitiva, Siò va di corsa, al tempo stesso coerente ma diverso, disegno per disegno. La differenza fra le due donne della seconda delle tre immagini qui sopra non potrebbe essere più grande: quella in secondo piano costruita tutta in punta di penna, mentre in quella in primo piano (che trovo ammirevole) prevale l'espressività degli scuri profondi.




La storia di Aghardi è un singolare miscuglio di extraterrestri e civiltà precolombiane, di avversione politica alle dittature sudamericane e di magie contemporanee che iterano un passato mai finito: presente, passato e futuro tutti ugualmente inquietanti. Le tavole che Siò dedica alle architetture e ai bassorilievi sono oniriche, fantastiche eppure concretissime. Una rappresentazione pulsante, come se una divinità malvagia stesse per invadere il nostro oggi.


Ecco due immagini tratte da Rito, la storia a cui allude Siò nelle frasi che ho riportato. Era uno sperimentatore che non ragionava per vignetta, ma per tavola. Anche Crepax faceva così, ma le modalità di organizzazione degli spazi dei due artisti sono differenti, basta guardare la seconda tavola tratta da Rito, un singolare polittico in cui i particolari sono concreti, ma come visti troppo da vicino. Gli scomparti del polittico, uno per uno, sono comprensibili, ma l'effetto dell'insieme è di misteriosa minaccia. Il guaio, con Enric Siò, è uno solo: produsse poco, pochissimo. Veniva dall'illustrazione di libri e lì tornò dopo pochi anni, per fortuna lasciandoci storie come Rito, Mara, Sita e Aghardi.

Trovo una corrispondenza visiva fra Siò ed un regista pittoricamente colto: Michelangelo Antonioni. Ho trovato alcune immagini di Blowup (1966) in bianco e nero, e due le inserisco qui sotto (con David Hemmings e Veruschka von Lehndorff). C'è un altro film di Antonioni che conferma la corrispondenza: Professione reporter (1975). Dove si svolge buona parte di questo film? Proprio a Barcellona, con la presenza costante delle architetture e delle sculture di Antonio Gaudì, che sicuramente affascinavano anche Siò.


venerdì 29 agosto 2008

Millemosche innamorato

Solimano
Stabilire il dare e l'avere fra i due film su Brancaleone di Monicelli e le Storie dell'anno mille di Luigi Malerba e Tonino Guerra parrebbe facile, perché i due film sono della metà degli anni Sessanta mentre le Storie sono del 1970, quindi alcuni anni dopo. Ma non è così semplice, perché lo stesso Monicelli disse che era stato influenzato da un film di Luigi Malerba, Donne e soldati, del 1955. I due film di Monicelli sono già nel blog, ora metto alcune immagini di Adriano Zannino tratte dal Millemosche innamorato, che fu edito da Bompiani nel 1971. A commento delle immagini inserisco le parole del testo di Guerra e di Malerba a cui le immagini si riferiscono. I personaggi sono quattro: i tre amici Millemosche, Pannocchia e Carestia e la bella Menegota, di cui Millemosche si innamora e che con la sua presenza è causa di litigi fra i tre amici. L'immagine di apertura è la controcopertina del libro, e sono presenti i Saraceni, che c'erano alla fine de L'armata Brancaleone. Ho inserito anche una immagine di doppia pagina, me ne scuso, ma ci voleva proprio.

-E' una noce.
-E adesso cosa facciamo?
-Con una noce non si può fare niente. Stuzzica la fame e dopo è peggio di prima.
-Si butta via.
-Piuttosto che buttarla via è meglio darla ad un poveraccio.
-Quale poveraccio?
-Non lo so. Io per esempio sono un poveraccio.
-Per carità non facciamo i furbi con la noce. Che cos'è una noce? E' quasi niente.
-Un quasi niente buono da mangiare però.

-Va bene ma non ci metteremo a litigare per una noce, adesso. Per me conta più l'amicizia.
-L'amicizia non si mangia.
-L'amicizia no, ma l'amico sì, se uno ha molta fame.
-Che cosa vorresti dire?
-Che ti conviene darmi la noce. Dammela.

-Millemosche è scappato.
-Come mai?
-Secondo me si è fregato la noce.
-Che cosa facciamo?
-Che cosa vuoi fare? Se scappa bisogna corrergli dietro.
...
Il mondo è pieno di gente che scappa, soprattutto quando c'è qualcuno che gli corre dietro.

Pannocchia e Carestia allora si mettono a mangiare l'erba come l'avrebbero mangiata le pecore se ci fossero state. Radicchi rughetta zampe di gallo e lingua di cane.

-Che cosa vorresti fare?
-Fammi passare che adesso tocca a me.
-No, non tocca a nessuno dei due. Menegota è mia.
-Guarda che Menegota è di tutti e tre.
-Chi la tocca lo ammazzo.
-Ma stai diventando matto?
-Sì, sono matto da legare.

-Una donna come Menegota voi non potete capire.
-Abbiamo capito che hai perso la testa.
-Ho perso la testa per Menegota, è vero, ma mi trovo bene così, con la testa persa. Vedo dappertutto dei fiori, tanto per dire. Voi li vedete i fiori?
-No.
-Io come mi guardo intorno non vedo altro che fiori, rossi blu viola bianchi celesti, di tutti i colori.

-Che cosa fai?
-Canto.
-Chi ti ha insegnato
-Lei.
-E ti piace cantare?
-Moltissimo. Cantiamo sempre, invece di parlare cantiamo.
-Cacchio, dev'essere bello vivere così.
-Bellissimo.
-E lei è contenta?
-E' sempre lì che mi aspetta con le gambe aperte, come un angelo sopra l'altare.

-Che cosa volete sapere? fate delle domande e io vi rispondo.
-Parlaci dei peli.
-Sono neri.
-E poi?
-Lucidi.
-Lunghi?
-Mi ci perdo dentro come in una boscaglia.
-Cacchio.
-Non dire cacchio quando si parla di Menegota.
-Dicci qualcosa d'altro.
-Adesso basta se no divento geloso.
Millemosche si alza sui piedi e fa due o tre salti per sgranchirsi come chi ha fatto un viaggio a cavallo. Non si è mai sentito così cavaliere come adesso che ha Menegota, altro che cavallo.

Pannocchia si volta appena e vede una cosa che lo fa restare secco di meraviglia. Sotto un gigantesco fiore di zucca c'è Menegota completamente nuda che gli sorride.
...
-Vieni Pannocchia.
-Dove?
-In un posto molto bello.
-Perché non stiamo qui? E' bellissimo.

giovedì 28 agosto 2008

Mr Crocodile Dundee & soci

Roby
Il Mitch Dundee di Paul Hogan mi ha conquistato alla prima occhiata, laggiù dalle parti di Walkabout (Giringiro) Creek, nel profondo deserto aborigeno. Mr Crocodile Dundee -parlo dell'episodio iniziale, perchè i sequel sapevano francamente di poco- è stato e resta uno dei miei film preferiti: il modo con cui l'ingenuo (?) cow-boy australiano maneggia alligatori, serpenti e bufali inferociti ha del mirabile, così come il candore col quale affronta i pericoli della metropoli newyorkese.


"Dagli i soldi" gli suggerisce, impaurita, la bella Linda, davanti ad una banda di giovani quanto minacciosi teppisti suburbani. "E perchè?" fa lui, serafico. "Perchè ha un coltello!". Risata di Dundee: "Quello??? Quello NON è un coltello!". Dopodichè, sguainando una specie di scimitarra ricurva: "QUESTO è un coltello!" esclama soddisfatto, provocando la fuga precipitosa degli aggressori e l'ammirazione imperitura della bionda. Ammirazione che condivido senza condizioni, accomunata in questo a migliaia di altri cine e telespettatori patiti dell'avventura con la A maiuscola.

Paul Hogan e Linda Kozlowski, partners sullo schermo e nella vita


Il successo del personaggio di Hogan, sorta di buon selvaggio capace di venire a contatto con la civiltà rimanendo immune ai suoi veleni - non meno che a quelli dei rettili più letali- è certamente la causa primigenia della nascita di tutta una serie di Mr Crocodile in formato ridotto, che da tempo proliferano sul piccolo schermo. Uno dei più noti è stato Steve Irwin, ragazzone robusto e rubicondo, la cui massima aspirazione pare fosse, fin da bambino, andarsene in giro ad abbracciare coccodrilli di varie dimensioni, non sempre ricambiato in simili effusioni dalle inquietanti bestiacce.

Steve Irwin, il Mr Crocodile televisivo scomparso di recente




La passione era tale che il bravo Steve s'inventò persino un parco acquatico per grandi e piccini con annessi caimani voraci, da lui nutriti ad orari fissi per la gioia del pubblico pagante. Nè disdegnava, il nostro, di percorrere foreste e savane alla ricerca dei cobra più velenosi e dei più muscolosi pitoni, inseguiti con ammirevole pervicacia nei più segreti anfratti, fino ad acchiapparli allegramente per la coda nell'intento di porli in favore di telecamera, affinchè anche da casa si potesse vedere quanto sono belli...



Dài e dài, tra guadi insidiosi in torrenti infestati da piranha e rilassanti passeggiate tra le sabbie mobili, il povero Steve è infine riuscito nell'intento -non a tutti concesso- di chiudere la propria esistenza facendo ciò che più amava: circa un anno fa, infatti, ha messo (inavvertitamente?) il piede su di un pesce fornito di veleno fulminante, ed ha così interrotto per cause di forza maggiore le sue mirabolanti performances.
Rettili, anfibi, aracnidi e fauna ittica varia dei cinque continenti hanno tirato un sospiro di sollievo, rinfrancati all'idea di non doversi più guardare le spalle -o la coda- ad ogni sortita in cerca di cibo, col rischio di trovarsi un umano grande, grosso ed esagitato che ti rincorre per afferrarti il didietro....

Austin Stevens, l'erede di Irwin


...ma la pacchia è durata poco, perchè sul set è comparso un certo Austin Stevens, ancor più euforico -se possibile- del defunto Irwin, ed ancor più determinato a rompere sistematicamente le scatole alle specie animali pacificamente residenti negli angoli più remoti del globo. Grazie a Missione Natura, su La7, ho potuto assistere ad alcune delle sue frenetiche cacce, miranti soprattutto ad acchiappare boa, serpenti a sonagli e vipere cornute (le quali, già dal nome, avranno sicuramente avuto i loro giramenti personali ancor prima di incontrarlo!) .


Ho visto così con i miei occhi Stevens e i suoi accoliti non darsi pace finchè non avessero accerchiato, bloccato e narcotizzato -non ho capito bene a quale scientifico scopo- un paio di giganteschi coccodrilli, chiedendosi poi con fanciullesca curiosità di che sesso fossero gli esemplari in oggetto. "Difficile stabilirlo a occhio nudo" spiegava una graziosa biologa presente nella compagnia "perchè hanno gli organi genitali chiusi in una specie di guaina ventrale". Dopodichè, con grazia eterea, la stessa damigella -messi a pancia in su i grossi rettili- infilava la mano fino al polso nella guaina suddetta, frugando abilmente fino a sentenziare "Ecco, questo è maschio e questo è femmina!".

Non parliamo poi dei disgraziatissimi draghi di Komòdo, oggetto di particolare trasporto da parte di Austin, che neppure vivendo in zone decisamente inospitali sono riusciti a sottrarsi alle sue straripanti dimostrazioni di affetto! Ad onore dei bravi animali va detto che il loro comportamento è stato impeccabile, e che neppure una volta hanno tentato di divorarlo in un sol boccone, malgrado alcuni di essi raggiungano la rispettabile lunghezza di più di 2 metri. Anche in questo caso , come in altre sempre più frequenti occasioni, la natura ci fornisce un magnifico esempio di rispetto, di tolleranza e di pacifica convivenza...

...peccato, ahimè, che l'esempio in questione non venga da rappresentanti della razza umana!!!



NB: chi volesse approfondire la questione del Walkabout aborigeno -argomento tutt'altro che peregrino- è caldamente invitato a rileggersi il post di Giuliano (1 luglio 2008) sull'omonimo film di Nicholas Roeg!!!

mercoledì 27 agosto 2008

Guido Crepax

Solimano
Guido Crepax
(1933-2003) forse fu troppo esaltato, ma sicuramente oggi è troppo dimenticato. Lo chiamavano il Raffaello dei fumetti, definizione con cui al tempo stesso denigravano Raffaello e i fumetti. Sarebbe come dire il Manzoni del Premio Strega o lo Stravinskji del cinema, roboanti frasi ad effetto che non significano nulla.
Le immagini le ho tratte da diversi numeri di Linus e di Alterlinus, salvo quella a colori di apertura che è tratta dalla copertina del libro dedicato a Crepax nella serie I classici del fumetto di Repubblica, uscito nel 2004.
Per capire Crepax, va ricordato che si laureò in architettura nel 1958 e che per molto tempo disegnò felicemente le copertine dei dischi, e magari qualcuno le ha recuperate, perché chi le ha viste ne parla benissimo. Era di casa, con la musica, figlio di un violoncellista e fratello di un produttore discografico, e la musica che gli piaceva compare nei suoi fumetti: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, John Coltrane, Art Blakey, George Brassens.

Lavorava nella grafica, nella illustrazione di libri e soprattutto nella pubblicità, ricevendo la Palma d'Oro nel 1957 (quindi giovanissimo) per la pubblicità per la Shell.
Nel 1958 cominciò a lavorare anche per la rivista Tempo Medico, un lavoro che continuò fino al 1980.
Tutto questo per dire che gli abbinamenti Crepax-Valentina e Crepax-erotismo dicono una verità parziale. Il personaggio di Valentina Rosselli nacque nel 1965 come un personaggio secondario di un altro fumetto in cui il protagonista era il critico d'arte Philip Rembrandt , che aveva anche poteri da supereroe, e allora si chiamava Neutron. Valentina era la fidanzata di Philip, che infine sparì, mentre Valentina durò trent'anni, fino al 1995.

Nei primi anni, il tema dell'erotismo non era in primo piano. Si trattava di storie di fantascienza, sogni, spionaggio, fantasy in generale. Tutti sanno che Valentina si ispirava alla attrice Louise Brooks, un'icona cinematografica fra cinema muto e cinema sonoro. Il nesso con l'erotismo quasi sicuramente era implicito nel riferimento a Louise Brooks, da cui fu affascinato anche lo scrittore Adolfo Bioy Casares per il suo libro "L'invenzione di Morel".
Le critiche che si rivolgevano a Crepax non riguardavano certo la capacità di disegno, ma le storie e i dialoghi. Erano critiche giustificate, perché è evidente la differenza di livello fra i disegni ed i testi. Facendo una ipotesi per assurdo, sarebbe stato meglio se Crepax avesse lavorato con uno scrittore o uno sceneggiatore, cosa che è successa non di rado nel mondo dei fumetti: Pericoli e Pirella, Lob e Pichard, Wolinski e Pichard.



Ho trovato sorprendenti le immagini che inserisco qui sopra, si tratta di un fumetto sui fumetti: Flash Gordon, Li' l Abner ed una foto di gruppo in cui è possibile riconoscere alcuni personaggi.
A parte i dialoghi e le capacità narrative, le storie che raccontava Crepax oggi sono inesorabilmente datate. Storie e modi che piacevano all'ambiente culturale della Milano degli anni Sessanta e Settanta, un ambiente di cui Crepax faceva parte.
Anche l'organizzazione delle pagine a volte soffre di un manierismo eccessivo, di una pienezza che fa perdere il gusto di leggere. Quindi ho scelto di puntare non su una storia, ma sulla qualità eccelsa di immagini singole, in cui le capacità di disegno a china di Crepax sono evidenti, come nell'affollata animalistica dell'immagine che metto qui sotto.

Il tema erotico divene poi dominante nella produzione di Crepax, con una progressione inarrestabile, perché, a parte Valentina che praticamente non si vestiva mai, o si vestiva solo per spogliarsi, Crepax traspose nei fumetti dei celebri libri erotici: Emmanuelle, Justine, Venere in pelliccia, Histoire d'O.
Non ho niente contro l'erotismo, esistono degli autori di fumetti che hanno fatto splendidi fumetti erotici. Trovo però l'erotismo di Crepax ossessionato e ossessionante, si era creato una specie di circolo vizioso fra lui ed i suoi lettori.
Per fare degli esempi del talento vero di Crepax quando si serviva dell'erotismo e non ne era asservito, metto qui sotto tre sue splendide tavole, di cui la "Caduta angeli" su Venezia è forse la più nota.



Ogni tanto, Crepax sapeva essere lieve, come in questa versione in minore della celebre Olympia di Edouard Manet, il quadro di cui Napoleone III disse che offendeva il pudore. Dal suo punto di vista aveva perfettamente ragione, è ben altra cosa il ritratto nudo di Victorine Meurent, che sembra sfidare chi la guarda, rispetto alle centinaia di dee e di ninfe nude che i pittori accademici sfornavano per i Salon. Il quadro di Manet è del 1863 ed attualmente è al Musée d'Orsay di Parigi.


In chiusura, veniamo a Louise Brooks. Ho trovato un disegno di Crepax che si ispira proprio direttamente alla Louise Brooks di Pabst, eccolo qui sotto.

Ho pensato di inserire delle fotografie della Brooks facendo qualcosa di diverso dal solito, perché la rete è piena di immagini di Louise Brooks in atteggiamento fatale. Le due fotografie qui sotto sono invece allegre e quotidiane, c'è Louise fotografata con amici ed amiche nel 1927. In entrambe le immagini (ingrandite, prego), Louise è la prima donna a partire da sinistra e c'è una curiosità: nella prima immagine, sulla sinistra, il giovane alto è Gary Cooper.


martedì 26 agosto 2008

I nomi della rosa


Roby
Ebbene sì: I NOMI. Siamo proprio sicuri, in effetti, che la rosa abbia solo un nome? Il fatto che lo abbia detto -e scritto- Umberto Eco non può essere, dopo tutto, una prova conclusiva. A mio modesto avviso, una rosa si presta ad essere chiamata, guardata e valutata in molti modi e da molti punti di vista, così come un libro, un film, un'abbazia, un attore...


Per esempio: Sean Connery, nel film di Annaud, interpreta Fra' Guglielmo da Baskerville o Sherlock Holmes in saio di juta? Il modo in cui dice al giovane diacono suo protetto "Elementare, mio caro Adso" farebbe propendere per la seconda ipotesi: non sembra anche a voi? In fondo, l'eroe di Conan Doyle si trova a tu per tu con un mastino omonimo del frate, senza contare che fra Adso e Watson (non sono la prima ad accorgermene) c'è persino una certa assonanza...


E poi, l'abbazia. E' reale? E' ricostruita? Il fuoco la distrugge veramente o è tutto un trucco, frutto dell'abilità di qualche mago della computer graphic? Una volta spento l'incendio, potrebbe presentarsi come le rovine di Jumiéges, in Normandia, che qualcuno definì -non a torto- il più bel rudere di Francia. Fosse rimasta integra, probabilmente, non avrebbe mantenuto lo stesso fascino sottile, lo stesso senso di maestosa decadenza perfettamente conservata.

Abbaye de Jumiéges, Normandie

Altro cambio di ottica, altra prospettiva: quella delle scale trompe-l'-oeil, intrecciate all'infinito, disegnate da Maurits C. Escher, che si riflettono e quasi combaciano con quelle attraverso cui Guglielmo e Adso cercano di orientarsi, nel labirinto su più livelli della biblioteca segreta. Quale prendere per trovare la stanza in cui è custodita l'ultima, preziosa copia della Poetica di Aristotele? E quale, invece, per guadagnare l'uscita, mentre le fiamme stanno ormai divorando quintali inestimabili di carta e pergamena?


Magari, imboccando la rampa sbagliata, si rischia di uscire all'aperto e di ritrovarsi da un'altra parte, in un altro luogo, ad un'altra latitudine. Forse ai piedi de La Sauvemajeure, uno dei più grandi complessi monastici di età romanica nei Midi-Pyrenées, circondato dai resti della foresta un tempo immensa (silva major) da cui trae il nome. Il suo campanile a base ottagonale, in fondo, non ha nulla da invidiare alla mole della finzione cinematografica!

Abbaye de La Sauvemajeure, Midi-Pyrenées


E' proprio vero: basta cambiare punto di vista, e si scoprono lati insospettati, angolature inimmaginabili. E' quello che deve aver pensato anche il mio vecchio, caro Sean, quando ha deciso -ancora in abito da frate dell'anno Mille- di prendere il posto del direttore di scena, piazzandosi dietro la macchina da presa. E ritornando di colpo al XX secolo ha evidentemente avvertito una sensazione di gelo improvviso, che lo ha indotto a calzare un curioso zucchetto di lana. Forse (chi può dirlo?) il soffio agghiacciante dei millenni trascorsi in un attimo, in un battito di ciglia... il tempo di un unico, rapido ciak.