Nel post dedicato al "Dizionarietto (illustrato) della lingua italiana lussuosa" di Giampaolo Barosso, è comparsa la nobile figura del lumachista (s. Chi si diletta di lumache, chiocciole e simili). Ne inserisco qui a fianco l'immagine piccola, ma potete sempre farla diventare grande. Giuliano ha fatto immediatamente l'outing, dichiarandosi lumachista pure lui, e ha fatto un figurone, perché essere lumachisti quando le lumache ti mangiano l'insalata nell'orto è indizio di vera generosità. A questo punto, non posso tirarmi indietro, e mi dichiaro lumachista anch'io (anche perché l'orto non ce l'ho). Dedico quindi questo post a tre lumachisti insigni: Searle, Kley e Bartoli.
Le immagini dedicate a Ronald Searle le traggo dal piccolo grande libro a lui dedicato, edito dalla Garzanti nel 1973, che naturalmente ha le pagine un po' ingiallite, ma in modo tollerabile. Searle, nato a Cambridge nel 1920, già a quindici anni aveva mostrato il suo talento per il disegno, solo che gli toccò passare sotto le armi ben sette anni, di cui la metà prigioniero di guerra dei giapponesi. Una esperienza durissima, spero che diversi ricordino il film "Il ponte sul fiume Kway". Searle dovette lavorare alla costruzione della ferrovia in Birmania, proprio nella zona del fiume Kway.
Qui sotto metto la prima serie di immagini.
Le lumache di Searle, come si vede, possono essere impiegate utilmente in settori assai diversi. Trovo molto gustosa la lumaca con la bicicletta, non ho capito bene se la bicicletta serve alla lumaca al posto della chiocciola o serve ad un ciclista che vuole andare, appunto, a passo di lumaca.
Nel 1945, al ritorno dalla prigionia, Searle aveva fatto centinaia di disegni sulla sua dura esperienza, ma ne pubblicò la maggior parte solo nel 1986. Va ricordato che il nome con cui si chiamava usualmente quella ferrovia in Birmania era Death Railway.
Oltre ad essere usate come oggetti (tromba, bicicletta etc) le lumache di Searle praticano altre attività: scendono nell'arena al posto del toro (il torero è molto impressionato), e scalano le cime più alte delle Alpi.
Searle non dovette aspettare molto per avere successo, già all'inizio degli anni Cinquanta era notissimo. Lavorava regolarmente per il famoso Punch, ma era ben presente anche su Life, Holiday, Sunday Express, New Chronicle e l'ugualmente famoso New Yorker.
Le lumache non la pensano allo stesso modo dal punto di vista della moda, qui sopra si vede una che si veste solo capi di alta sartoria mentre l'altra è più casual, o forse ha i vestiti rattoppati.
Nel 1961 Searle si trasferì definitivamente a Parigi, probabilmente per la fine del primo matrimonio e l'inizio del secondo. Mentre negli anni Cinquanta aveva fatto di tutto, anche un lavoro di cartoni animati per Hollywood (e pubblicità, poster etc), a Parigi si concentrò quasi esclusivamente sulle vignette che gli pubblicavano regolarmente le testate più note e sull'edizione di libri che raggruppassero sistematicamente le vignette.
Le lumache galanti hanno un'aria da Settecento libertino. Fra le immagini metto quella originale in bianco e nero da cui fu tratta quella a colori per la copertina del libro edito da Garzanti (questa l'ho messa ad apertura di post).
Searle non ha certo disegnato solo lumache, ha disegnato di tutto. Spero di riuscire a mettere un secondo post nei Fumetti 2008, perché Searle, oltre allo splendore dei disegni a china, è ricchissimo di idee tutte sue, assolutamente inaspettate, spesso sarcastiche e a volte con un retrogusto di cinismo. Il suo stile è del tutto personale, una specie di Searle touch inconfondibile.
Nel 2007 gli è stata conferita la Legione d'onore.
Passo al secondo lumachista, Heinrich Kley. Non devo raccontare la storia artistica di Heinrich Kley, perché gli ho già dedicato alcuni post che sono nel blog. Ricordo solo che per una strana catena causale Heinrich Kley influì moltissimo, anche se indirettamente, sullo stile del primo gruppo di disegnatori di Walt Disney.
Il domatore di lumache che fa rizzare la lumaca come se fosse una tigre, la lumaca-elefante, il lumacone che si dà da fare per una specie di ratto delle Sabine: una l'ha presa, l'altra per il momento è riuscita a scampare. Soprattutto la gara di corsa fra le lumache. Le lumache percorrono sette metri all'ora, e meno male che secernono la bava che le aiuta a lubrificare il percorso, così non si feriscono.
Sono le tipiche idee di Kley. Nel confronto con Searle si vede come sono diversi i due modi come fantasia, creatività e segno. Trovo Searle ricco di acutezze, mentre avverto la potenza ed il respiro lungo di Kley. Gioca anche la nazionalità: Kley tedesco, Searle inglese, anche se per lui qualcuno ha fatto persino i nomi di Grosz e Daumier. Forse Kley disegna soprattutto per sé, Searle per un pubblico con cui misurarsi ogni giorno, con i pro ed i contro delle due situazioni.
Vengo al terzo lumachista (speriamo che non si offenda!). E' il padre gesuita Daniello Bartoli, che nacque nel 1608 e morì nel 1685. Fra poco scriverò abbastanza a lungo del Bartoli, che Giacomo Leopardi chiamava il Dante della prosa italiana.
Non molto tempo fa, in un dibattito nel blog di Remo Bassini si discuteva sui vari autori che chi scrive dovrebbe tenere presenti. Io mi sono permesso di citare tre nomi: il Cellini, il Bartoli e il Baretti. Silenzio pressoché assoluto, come se non avessi detto niente, salvo uno che ha scritto due righe su Benvenuto Cellini. Ci sono rimasto male finché non mi sono reso conto del vero motivo del silenzio: nessuno di quelli che commentavano nel blog aveva letto quegli scrittori, forse alcuni non li avevano mai sentiti nominare. Mentre sapevano tutto o quasi su libri, libroni, libretti appena usciti e sui premi letterari.
No, così non va bene. Non credo ai naif, meno ancora ai naif di tipo furbo. Ci vuole tempo, fatica e lettura di autori, se si vuole scrivere almeno decorosamente.
Una volta, in un altro blog, avevo scritto che preferisco Fenoglio a Pavese, e qualcuno era lievemente inorridito. Quello che stupisce è che pare che non si pongano il problema. Non ci sono scorciatoie in queste cose.
Quindi sono contento di mettere qui il lumachista Daniello Bartoli con un brano che è uno dei più belli che siano mai stati scritti nella letteratura italiana: "le chiocciole" tratto dal suo libro "La ricreazione del savio" I.11.
Le immagini, sono particolari di nature morte di due pittori contemporanei del Bartoli: Abraham Mignon fiammingo e Giovanni Battista Ruoppolo napoletano. Guardatele bene. Io di lumache ne ho contate cinque, ma forse ce n'è qualche altra. Comunque, leggendo Daniello Bartoli, le immagini arrivano in noi da sole.
"Quante ne ho io vedute! Ancorché migliaia, non per tanto un nulla rispetto alle innumerabili che ve ne sono: e quante più vedute ne avessi, tanto men saprei dirne, per quello a che i nostri ingegni soggiacciono, d'impoverire nella troppa abbondanza e co' più nobili argomenti divenir mutoli per lo stupore. E non s'è egli mostrato sommamente ammirabile Iddio nel variare in cento e più diverse maniere il circolarsi e ravvolgersi d'una chiocciola in sé stessa? Puossi dir cosa più eguale, più determinata e più semplice, e pur nelle mani sue divenuta capevole di sì grand'arte? Alcune si girano con volute, campate l'una fuori dell'altra appunto come se si attorcigliassero intorno a un fuso: e procedendo in lungo assottigliano e fino in punta digradano con ragione. Altre, all'opposto, tutte in loro stesse ritornano; e dicami Archimede, che sì ingegnosamente ne scrisse: chi insegna loro a condurre una linea in ispira, sì perfettamente che in nulla non ismisuri? Dicammi gli architetti, che tanto penano a disegnar con regola le volute, e pur non mai altro che false, mentre, per più non sapere, le compongono d'alcuna parte di circolo, e circolo elle non sono, avvegnaché circolari: chi ne ha infusa la regola alle chiocciole, nate maestre in un'arte di cui essi ancor non si veggono buoni discepoli? Di queste poi, quelle che chiaman veneree, e le in parte lor somiglianti, nulla mostran di fuori come s'attorcano, ma, ricoverte d'un nicchio che parte s'inarca e parte spiana, quivi entro s'avviluppano sì che punto non pare.
Altre, da un grosso capo tutto incoronato o di merli o di pennacchini o d'una cresta che serpeggia intorno, van giù a poco a poco mancando fino a stringersi come un paleo. Altre covano alquanto, e sembra che portino cupolette e capannucci l'un sopra l'altro. Ve ne ha delle schiacciate, delle ritonde, delle increspate, delle distese e aperte, delle tutte in loro medesime aggomitolate. Ma in qualunque foggia diverse o, come sogliam dire, cavate di fantasia, tutte con decoro, con avvenenza, con garbo, tal che di mille che ne avrete davanti non saprete qual sia la più ingegnosamente foggiata: e dico anche, se pur è da dirsi, le lavorate ad opera strapazzata, ché quel medesimo in che sembrano incolte è negligenza ad arte, per far vedere una deformità con grazia, una rozzezza con maestà, un mostro, ma di bellezza.
…
Or finiamo con solamente accennare la varietà de' colori e la vaghezza degli ornamenti onde le chiocciole son sì belle. Eccovene in prima le vestite d'uno schietto drappo: argentine, bianche, lattate, grigie, nericanti, morate, purpuree, gialle, bronzine, dorate, scarlattine, vermiglie. Poi, le addogate con lunghe strisce e liste di più colori a divisa: e quali se ne vergano per lo lungo, quali per lo traverso; alcune diritto, altre più vagamente a onda. Ma certe, in vero maravigliose, lavorate a modo d'intarsiatura, con minuzzoli di più colori bizzarramente ordinati; o d'un musaico di scacchi, l'un bianco e l'altro nero, quanto alla figura formatissimi e alle giunture non isfumati punto, ma con una division tagliente, come appunto fossero alabastro e paragone strettamente commessi. Le più sono dipinte a capriccio, o granite, gocciolate, moscate; altre qua e là tocche con certe leggerissime leccature di minio, di cinabro, d'oro, di verdazzurro, di lacca: altre pezzate con macchie più risentite e grandi; altre o grandinate di piastrelli o sparse di rotelle o minutissimo punteggiate; altre corse di vene come i marmi, con un artificio senz'arte; o spruzzate di sangue in mezzo ad altri colori, che le fan parere diaspri. Ma la varietà e la bellezza degli ornamenti, e le mirabili lor partiture, non si può divisar tutta in brieve, né dirsene a lungo, perché noi non abbiam tanti vocaboli quanti esse hanno abbigliamenti per arredarsi e ben parere. Lascio le messe a scavature e risalti, scanalate, grinzute, rugose.
Che direm di quelle a cui su le giunture delle volute spiana una cornice di maraviglioso intaglio? Di quelle a cui, fra due corsi di spine delicatissime o fra due creste che alzano un po' poco, si distende un fregio di strane sì, ma graziose figure, o una che sembra intrecciatura di più catene? Di quelle che tutte son filze di perle e di gemme, l'una presso all'altra e in loro stesse rivolte, o a luogo a luogo tempestate a gocciole di cotali smalti che sembrano gioielletti? Di quelle che per tutto il corpo son seminate di scudetti, rosette, borchie, bisantini, con in mezzo, a chi un bottoncello che sopravanza, a chi un pennacchietto che ne spunta con grazia? Una ve ne ha, indiana, tutta intessuta di sottilissimi cordoncini, non solamente di più colori schietti, l'uno immediato all'altro, ma di certi, a ogni tanti di questi, di due fila diverse, violato e bianco, attorcigliate insieme; e miracolo che mai una volta fallisse il tornar sopra quel che dà volta sotto, alternandosi fedelmente l'un colore e l'altro: come lavoro di mani che aveano sopra una mente direttrice al muoversi con disegno e con arte".
P.S. Come chiusa, lascio spazio a due vere lumache impegnate in una attività piacevole per loro e importante per la specie.
8 commenti:
Mon cher Suleyman, nous qui sommes escargotistes...
(ai bambini piaceva sempre mettersi la chiocciola sul palmo della mano, anche alle bambine a cui le lumache fanno un po' schifo, e poi dire: lümaga lümaghein, tira fora i to curnein...)
E poi io so che tu in archivio hai anche questa cosa qui:
Snoda la sua via la chiocciola,
arditamente la sua strada esplora
si ferma si ritira e poi riparte ancora
sul suo binario di bava lei sdrucciola.
Spinge fuori le cornine ed esplora
pare che fiuti il vento e invece
eccola che avanza e vede
aiuto non serve né implora.
Ecco talvolta esitante
così la mia anima appare
ma il mio binario lucente
so che non devo lasciare
Sicuro e un po' lento scivolo
ho la mia via da tracciare.
Ragionando su Daniello Bartoli 8che io ho letto solo grazie a te, così come il Baretti), pensavo ancora una volta che siamo sempre più vicini ai monaci dell'anno Mille, che hanno conservato la cultura italiana ricopiando pazientemente tutti i testi, sacri e profani. Che è un bel paradosso, con tutti i mezzi che abbiamo oggi a disposizione: ma prevale sempre di più la mentalità da spot, per cui una cosa fatta ieri è già vecchia.
Va detto che Bartoli, così come Leopardi, non è mica facile da leggere; però io mi sono sempre stupito di aver letto alcuni autori che i diplomati del Classico e i laureati in Lettere non conoscevano neppure, ed anche questa è una cosa stupefacente.
Insomma, non erano copiatori... fedeli.
Cara Angela, c'è un bel film di Yussef Chahine (Il destino) dove - tra le altre cose, curiosamente è un film musicale pieno di canzoni - un ragazzo cerca di mettere in salvo le opere manoscritte del filosofo Averroè.
Ma nel viaggio i manoscritti si bagnano, e diventano illeggibili...
(per fortuna, c'era una bella biblioteca anche in Egitto).
Mi perdonerai spero se io ammetto con candida innocenza e un poco di vergogna che di Cellini, Bartoli, Baretti non ho letto nulla. Anzi, ti sarei grata se mi potessi indirizzare su cosa leggere per conoscerli.
Cara Silvia, qui se non ci fosse Solimano...
Anch'io ho imparato una montagna di cose da lui, in questi sei anni da che lo conosco.
Ci credo. Conoscervi è stata una delle poche cose positive di questa strana estate. Posso imparare un fracco di cose:)
Silvia, il punto vero non è aver letto o non letto, ma è l'atteggiamento. Non si può saper tutto, ma solo una piccolissima parte del tutto. Però è meglio essere curiosi, eccolo il punto. Molti non sono curiosi, se sentono una cosa che non sanno è sicuramente una stupidata, visto che non la sanno loro. Così si fregano da soli, hanno a disposizione un palazzo e se ne stanno in cantina, pure a lagnarsi. Non è un discorso moralico, è etologico: la curiosità e l'adattamento a situazioni diverse sono un plus evolutivo. Queste cose, appurate da decenni, andrebbero spiegate a scuola, ma le insegnanti, le sanno? E le praticano?
I ragazzi, di natura sono curiosi, col piccolo dettaglio che non bisogna annoiarli...
grazie e saludos
Solimano
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