venerdì 4 maggio 2007

Toby Dammit

Toby Dammit di Federico Fellini (1968) Sceneggiatura di Bernardino Zapponi (da Poe) Con Terence Stamp, Salvo Randone, Anne Tonietti, Marina Yaru, Antonia Pietrosi, Polidor, Marisa Traversi, Milena Vukotic, Aleardo Ward Musica: Nino Rota Fotografia: Giuseppe Rotunno (37 minuti) Rating IMDb: 6.4 (ma il rating riguarda il film Tre passi nel delirio, in cui ci sono anche gli episodi di Malle e di Vadim)
Solimano
Poiché sono uno Spettatore, non conosco gente dell'ambiente del cinema: Produttori, Registi, Attori, Critici. Però mi è successo di vedere in azione due celebri registi. In azione nel senso che li ho visti tutti e due mentre mangiavano, più azione di così c'è solo il respirare. Uno è Bernardo Bertolucci, e l'ho raccontato in una Novelletta degli Odori, l'altro è Federico Fellini. Camminavo nel corridoio di una carrozza di prima classe mentre il treno correva, e in uno scompartimento pieno c'era Fellini con uno di quei sacchetti cibarie che da tempo non vedo più. Aveva estratto un pollo arrosto e se lo stava sgagnando con appetito vero. L'impressione, forse per il gesto, fu quella di un bell'uomo tranquillo con i piedi per terra, una impressione gradevole: niente di sognante, di poetico, di felliniano. Amo tutti i 37 minuti che dura Toby Dammit, perché ci trovo il Fellini che preferisco. A forza di girarci attorno, ci si dimentica che le sue visioni non sono acquerelli della domenica, sono come affreschi, sculture, musiche a piena orchestra. Poi, come facevano i grandi pittori, c'è il gusto per il particolare curioso, per la sorpresa, anche per la strizzata d'occhio alla ci intendiamo noi due! Aveva l'ansia di piacere - ce l'abbiamo tutti - solo che era diviso: piacere a se stesso o piacere agli altri? In Toby Dammit decise di piacere a se stesso, al se stesso forte. Che non vuol dire sicurezza di sé, ottimismo, progetto, vuol dire forza, come in Goya, che credo Fellini comprendesse ed amasse.
Un attore americano giovane e molto noto viene a Roma perché deve interpretare il primo western cattolico. Gli fanno festa tutti: monsignori, gente del cinema, anche donne, ma Toby Dammit è sempre sbronzo - difatti avrebbe dovuto essere Peter O' Toole, ma anche Terence Stamp non si tirava indietro col bere. Ha continue visioni affascinanti e tragiche, compresa una strana bambina che gioca con una palla, truccata da donna fatta. Toby maltratta tutti, è insofferente, manda in vacca premiazioni, interviste, feste. Si placa solo quando gli danno una Ferrari, che ama persino più della bottiglia, abbandona tutti e corre come il matto che è per le strade dei Castelli sgommando, accelerando, frenando di botto. Finché arriva ad un ponte crollato. Non si può andare di là, ma Toby non rinuncia, prende spazio spostandosi indietro. L'idea la capiamo, attraversare lo spazio profittando della velocità della Ferrari per poi proseguire la sua corsa alla faccia del ponte crollato. Accelera, la macchina va fortissimo, solo che non ha visto che c'è un robusto filo di ferro all'inizio del ponte. Il filo decapita Toby e vediamo nello spazio sotto il ponte la bambina che stringe a sé la sua testa. O ci gioca? Quello che voleva dirci, Fellini ce lo dice, in un modo talmente chiaro che non è traducibile in parole: è il Fellini che decide di profittare dei 37 minuti per piacere a se stesso, il Fellini potente.

1 commento:

Giuliano ha detto...

E' un capolavoro che rischia di passare inosservato, un po' come il Pasolini di "Che cosa sono le nuvole".
E d'obbligo il rimando ai nostri commenti per "La dolce vita": di Toby Dammit abbiamo già parlato molto.