Roby
Curiosando in rete per documentarmi meglio su questo film (compagno, come altri qui "raccontati", dei miei pomeriggi di faccende domestiche), ho scoperto che nell'anno in cui uscì -il 1947- ebbe sul pubblico un impatto clamoroso, visto il tema trattato: quello dell'antisemitismo strisciante e congenito nella società americana del tempo. E' stato un piccolo choc anche per me scoprire l'esistenza di un sentimento anti-ebraico così forte proprio nella grande America paladina della giustizia e dell'uguaglianza sociale, fresca reduce dalla vittoria sul nazismo, xenofobo fino allo sterminio di massa. Come si possono conciliare l'orrore per i forni crematori di Auschwitz, l'arresto dei criminali di guerra, il processo di Norimberga -pluricelebrato anche dal cinema a stelle e strisce- con gli atteggiamenti ipocriti e falsamente perbenisti illustrati dal film? Che sarà pure datato nella leziosità di certe situazioni (tipo gli stucchevoli dialoghi fra Peck e la McGuire), ma rispecchia comunque una realtà di quel periodo che io neppure lontanamente sospettavo. Gregory Peck è un giornalista d'assalto, che ha la bella trovata di fingersi ebreo per poter scrivere con maggior cognizione di causa un pezzo sull'antisemitismo. Dorothy McGuire è la sua fidanzata, signorina di ottima famiglia che si professa antirazzista convinta, salvo poi trovare tutte le scuse per non aiutare l'amico Davide (John Garfield), di fede israelitica, a trovare casa in città per sè e per la sua famiglia: già, perchè negli USA del 1947 pare succedesse come qui da noi adesso, quando un extracomunitario cerca un appartamento in affitto e -come per magia- le case sono già tutte "occupate". Senza contare il rifiuto -ben mascherato dalla scusa del "tutto esaurito"- di fronte alla richiesta di prenotare una camera al Grand Hotel ("Vede, signore" si giustifica il direttore "la nostra è una clientela scelta...") o il pestaggio da parte dei compagni di scuola del figlio di Peck , che torna a casa piangente e subito chiede al padre: "Ma noi siamo ebrei?" con la faccina spaurita di chi spera in una risposta negativa. Questa era l'America della fine degli anni '40, che aveva appena mostrato al mondo, grazie ai reporter di guerra, l'abominio dei campi di concentramento, risultato estremo dell'odio razziale. Possibile? Mah... Del resto, lo stesso regista, Elia Kazan, tanto impegnato professionalmente nella denuncia sociale, nella vita reale fu attivo nella crociata anticomunista di McCarthy: quindi, di cosa mi sto meravigliando??? E pensare che, all'inizio di "Barriera invisibile", il personaggio del vecchio scienziato ebreo spiega sorridendo agli amici "cristiani" che parlare di "razza ebraica" è una colossale sciocchezza. Lo sapeva bene Einstein il quale, riempiendo i documenti per il visto di entrata negli Stati Uniti, alla voce "razza" scrisse -con fulminante ironia- "UMANA".
3 commenti:
CHE SODDISFAZIONE!!! Sono riuscita a "postarmi" da sola un film!!! Mi si apre tutto un mondo di possibilità... E ho persino aggiunto l'immagine -molto somigliante, garantisco- al mio profilo! Bene: per oggi, mi sembra abbastanza!
Buona serata!
Roby
Garantisco che Roby non somiglia affatto alla immagine che ha inserito nel suo Profilo Utente. Roby è molto meglio, per quanto con una immagine così (comunque simpatica) ci vuole poco. Lo posso assicurare perché una volta ci siamo incontrati nella vita reale, e ci incontreremo un'altra volta a metà giugno, insieme agli altri componenti della combriccola.
saludos
Solimano
P.S. Del film parlo dopo, devo ancora cenare.
E' difficile riuscire a parlare obiettivamente dei film di Kazan, specie dopo che "he named names" negli anni '50, quindi qualche anno dopo questo film. Ci sono due cose certe. La prima è che egli poteva fare a meno di dire i nomi, fra l'altro li avevano già. La seconda è che non era più comunista da molti anni. In questo drammatico caso si vede però la serietà profonda che c'era nella cultura americana rispetto a quella italiana: poco prima della morte gli fu conferito un Oscar alla carriera ed ancora il pubblico presente si divise fra applausi e fischi, cinquant'anni dopo la sua delazione.
Da noi, occorse un libro scritto da Zangrandi: "La lunga marcia attraverso il fascismo", per evidenziare fra la sorpresa generale quanti intellettuali fossero stati coinvolti - lieti di esserlo - nel fascismo. Il caso più eclatante fu quello dei professori universitari che avevano provveduto alla stesura delle leggi razziali e a dare a queste leggi un sostrato ideologico che voleva parere scientifico: tutti regolarmente ancora in cattedra.
Si può capire il meno che ventenne che si butta dalla parte sbagliata, ma non docenti universitari che per anni, dopo, fecero finta di niente. Il sistema aveva chiuso occhi, nasi, orecchie non si poteva pretendere che fossero proprio loro a portare la propria vergogna in piazza. Ricordo come fu osteggiato il libro di Zangrandi (da tutte le parti) e quali incredibili nomi vi apparissero: per quindici anni tutti avevano taciuto.
saludos
Solimano
Posta un commento