mercoledì 23 maggio 2007

Sentieri selvaggi

The Searchers di John Ford (1956) Sceneggiatura di Alan Le May, Frank S. Nugent Con John Wayne, Jeffrey Hunter, Natalie Wood, Vera Miles, Ward Bond Musica: Max Steiner Fotografia: Winton C. Hoch (119 minuti) Rating IMDb: 8.0

Lodes
Ho amato questo film fin dalla prima volta che lo vidi. Non un semplice western, con gli indiani, con i cow boy che si contendono il territorio e che vedrà il popolo rosso soccombere. E’ un capolavoro che va oltre il genere western. Ford qui dà veramente il meglio di se stesso. E, utilizzando tutti gli ingredienti classici del western, ci racconta della “search”. Una ricerca che è vecchia quanto il mondo e che nel film è affidata a Ethan Edwars (John Wayne). Ancora una volta un uomo solitario che torna dopo aver combattuto nella guerra di secessione e dopo un lungo ed ignoto peregrinare. Ma qui non siamo di fronte al giustiziere solitario che errante raddrizza i torti e compie giustizia. Ethan è un uomo della sua terra, ma che guarda sempre verso l’orizzonte. Sente il peso di appartenere a quella terra che non gli lascia spazio, se non quello di combattere un nemico crudele che rapisce le donne. L’odio monta dentro di lui. Odio per quell’indiano (Scout) che lo ha costretto ad abbandonare la sua strada verso nuovi orizzonti. Allora la “search” diventa un intrico dentro il quale Ethan rischia di perdersi fino ad arrivare a voler uccidere la nipote (ormai donna) rapita da Scout. Ma Ford con un colpo di genio risolve la questione e in una inquadratura mitica sveglia i veri sentimenti di Ethan che alzata la ragazza al cielo quasi a simboleggiare il prossimo sacrificio la accoglie tra le sue braccia e le dice “andiamo a casa”. Sono state tante le accuse a Ford di razzismo, in realtà non c’è accusa più sbagliata, Ford ci descrive il tormento di Ethan e di un intero popolo che in mezzo a mille contraddizioni ha saputo esprimere anche grandi valori civili e sociali. Sarebbero tante le scene di cui si potrebbe parlare a lungo. Non mi sottraggo nemmeno io a richiamare l’inquadratura iniziale e quella finale. Semplicemente geniale nella sua poesia. Ancora oggi a distanza di tanti anni nel rivederle sento un brivido di emozione. In entrambe c’è tutto il mito del west, ci sono i grandi spazi, ci sono orizzonti lontani, c’è la storia che si apre si chiude si ripete in un susseguirsi di generazioni. Come dimenticare poi la scena della lettura della lettera che Martin invia alla fidanzata a cui non ha mai detto nulla del suo amore. Un disegno perfetto che dice tutto di quel mondo legato alla terra, che ne narra le piccole abitudini, le consuetudini: semplicemente magistrale. Il western dunque ancora una volta è il paradigma di una “search” dentro l’uomo, dentro un mondo che resiste alle mutazioni che provengano dall’est. Una “search” del proprio senso e del proprio destino. Non è più sufficiente scoprire nuove terre, dissodarle, strapparle agli indiani, Ethan cercherà ancora e se ne andrà verso la luce della prateria e la porta della casa e dell’oggi si chiude dietro di lui.
P.S. Diverse immagini si possono trovare qui:
http://www.dvdbeaver.com/film/DVDReviews8/the-searchers.htm

4 commenti:

Giuliano ha detto...

Non saprei dire di meglio. Si potrebbero muovere molte critiche, ma questo è sicuramente un gran film: anche Ford fa parte della categoria dei grandi narratori, le storie che racconta non hanno nulla di ideologico, sono storie di vita e questo dovrebbe bastare. Questo è uno dei film dove John Wayne riesce davvero a farsi voler bene.

Roby ha detto...

La predilezione per "Sentieri selvaggi" mi vede accomunata a Lodes e Giuliano, tanto da non aver nulla da aggiungere che loro già non abbiano detto. E pensare che in genere John Wayne mi risulta un po' pesantuccio: ma qui e in "Un dollaro d'onore" potrei rivederlo cento volte...

Roby

Manuela ha detto...

Caspita, Roby. "Un dollaro d'onore" è piaciuto anche a me. E' un concentrato di tutti i luoghi comuni sulle donne, ma è scontato in un western, genere in cui, come ho già avuto modo di dire, gli uomini celebrano se stessi; un bel film western è quello in cui gli uomini celebrano le loro migliori qualità (l'ansia della ricerca è una di queste, come insegna Ulisse).
Fa parte delle cose, in questo contesto, che l'uomo cerchi e la donna venga cercata. Per fortuna Ford, nel finale, scompiglia le carte, rifugge dal luogo comune e dà alla storia il suo significato migliore.

Solimano ha detto...

Roby, chi si prende Rio Bravo (Un dollaro d'onore) ha la fortuna che ci sono quattro immagini grandi in Wikipedia. A me non piacque molto, perchè Dean Martin non lo vedevo molto, se non con Jerry Lewis, altro bel filone di film...
Manuela, bell'argomento quello del rapporto dei registi con le donne. Per me, John Ford ha una sapiente ingenuità etologica che lo rende molto più vero di Fellini, di Woody Allen, di Visconti e di tanti altri. Anche in film come My Darling Clementine e Stagecoach. Ma quelli in cui le donne hanno centralità sono Bergman e Rohmer. Nel senso che si avverte che a loro interessa veramente come sono le donne, non la loro proiezione sul come vorrebbero che fossero.
Non capisco cosa sia migliore o peggiore, le donne, come gli uomini, hanno opinioni diverse fra di loro. Non esiste un politicamente corretto per generi, guai se no. Fra i registi italiani attuali ce ne sono due, Piccioni e Soldini, che scelgono spesso la donna come protagonista.

saludos
Solimano