domenica 27 maggio 2007

Alessandro Manzoni al cinema (1)

Giuliano
No, Alessandro Manzoni al cinema non c’è mai stato, e sappiamo tutti perché (è inutile nascondersi la verità). Però nella prefazione al “Conte di Carmagnola” ha lasciato scritto degli ottimi principi, che spesso ci dimentichiamo di applicare:
« Pubblicando un'opera d'immaginazione che non si uniforma ai canoni di gusto ricevuti comunemente in Italia, e sanzionati dalla consuetudine dei più, io non credo però di dover annoiare il lettore con una lunga esposizione de' principi che ho seguiti in questo lavoro. Alcuni scritti recenti contengono sulla poesia drammatica idee così nuove e vere e di così vasta applicazione, che in essi si può trovare facilmente la ragione d'un dramma il quale, dipartendosi dalle norme prescritte dagli antichi trattatisti, sia ciò non ostante condotto con una qualche intenzione. Oltrediché, ogni componimento presenta a chi voglia esaminarlo gli elementi necessari a regolarne un giudizio; e a mio avviso sono questi: quale sia l'intento dell'autore; se questo intento sia ragionevole; se l'autore l'abbia conseguito. Prescindere da un tale esame, e volere a tutta forza giudicare ogni lavoro secondo regole, delle quali è controversa appunto l'universalità e la certezza, è lo stesso che esporsi a giudicare stortamente un lavoro: il che per altro è uno de' più piccoli mali che possano accadere in questo mondo. Tra i vari espedienti che gli uomini hanno trovati per imbrogliarsi reciprocamente, uno de' più ingegnosi è quello d'avere, quasi per ogni argomento, due massime opposte, tenute ugualmente come infallibili. Applicando quest'uso anche ai piccoli interessi della poesia, essi dicono a chi la esercita: siate originale, e non fate nulla di cui i grandi poeti non vi abbiano lasciato l'esempio. Questi comandi che rendono difficile l'arte più di quello che è già, levano anche a uno scrittore la speranza di poter rendere ragione d'un lavoro poetico; quand'anche non ne lo ritenesse il ridicolo a cui s'espone sempre l'apologista de' suoi propri versi. (...) »
La prefazione prosegue, parla di temi strettamente teatrali, e penso che sia piuttosto facile da reperire per chi volesse leggerla tutta (è molto interessante, ne vale la pena). Ma a me piace, visto che bene o male un po’ di critica la facciamo anche qui, fermare una frase: “ ogni componimento presenta a chi voglia esaminarlo gli elementi necessari a regolarne un giudizio; e a mio avviso sono questi: quale sia l'intento dell'autore; se questo intento sia ragionevole; se l'autore l'abbia conseguito.”
Ecco, quando si guarda un film (o si legge un libro, o si ascolta una musica, o si chiacchiera con qualcuno) questa frase andrebbe tenuta ben presente. Poi, ognuno è libero di dire il suo “mi piace, non mi piace”, perché qui si entra nella questione del gusto personale e de gustibus, per l’appunto, non est disputandum; ma un film (un libro, un parere) può non piacere ed essere comunque di livello altissimo, ed ogni tanto è bene dirlo perchè è una massima così ovvia che si corre sempre il rischio di dimenticarla.

9 commenti:

Solimano ha detto...

Giuliano, ho letto quel che ha scritto il Manzoni, e continuo a comprendere sempre di più i motivi per cui per decenni e decenni non scrisse più nulla di apprezzabile, dopo i Promessi Sposi. Dico apprezzabile dal punto di vista artistico.
Nella sua impostazione, nei tre passi che consiglia manca la parola creatività, o una parola che in qualche modo ci si apparenti.
Dico creatività, non dico ispirazione che è parola sospetta, creatività è una possibilità dei nostri neuroni, con tanti se e tanti ma. Ridurre tutto ad un intento, a un modo per raggiungerlo e al conseguimento finale, pensare che le cose si svolgano in questo modo, vuol dire rimuovere da sé ogni rischio creativo (parlo di roba che si mangia, non faccio del romanticume).
Difatti, già nei Promessi c'è il voluto: il Cardinal Federigo, l'Innominato etc etc... Per fortuna ci stanno Tonio e Gervaso, Perpetua ed Agnese, Don Ferrante e Donna Prassede, Don Abbondio!
Ma ci torneremo su. Resta il fatto, grande come una casa, che il Manzoni dopo i Promessi non è che smise di scrivere, ma scrisse tanto; sono cose che leggono solo gli specialisti, e il motivo c'è tutto.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Questi sono i consigli per i critici, per chi commenta e dovrebbe rispettare le intenzioni dell'autore (nel mio piccolo sono stato un autore anch’io, difendo la causa). E' più che naturale, per chi legge o guarda un film, sovrapporsi alle intenzioni dell'autore: è naturale ma non è che sia tanto giusto, soprattutto quando siamo di fronte ad un Autore (con la A maiuscola: scrittore, pittore, regista, filosofo, musicista...) dovremmo pensare un po' prima di partire con i “mi piace, non mi piace” o gli “io non avrei fatto così, io quel finale lì non lo avrei mai messo” o magari il terribile “non si capisce niente”: non è facile ma ci si può provare. E poi della creatività Manzoni ne parla, anche nel frammento che ho messo qui: non nei termini in cui ne parleremmo noi, anche perchè Manzoni ha poco del Romantico e il termine “creatività” a uno che viene dal Settecento sarebbe sembrato strano.
Parlando del Manzoni come autore, a me viene in mente Bruckner, un altro che passò la vita riscrivendo venti volte le stesse sinfonie (è un musicista che ammiro moltissimo e che non smetto mai di ascoltare).

Solimano ha detto...

Giuliano, il Manzoni, dalla conversione in poi, scelse di non essere più un uomo del Settecento ma qualcosa d'altro, un religioso-liberale-romantico, un mettere insieme le cose come amava fare in tutto, compreso il risciacquare i panni in Arno per la lingua, e il dara ragione a tutti i due nipoti che stavano litigando.
Può essere che ci siano stati dei risvolti positivi sul piano umano (ho qualche dubbio) certo non positivi sul piano Autore, come dici tu, perché non è un mio assioma che il Manzoni dopo i Promessi e l'Adelchi non scrisse più nulla di apparezzabile dal punto di viata artistico: un silenzio durato decenni, mica brusculini.
Parlo di creatività non certo dal punto di vista romantico, ma dal punto di vista biologico-riduzionista, come una facoltà che esiste in tutti come possibilità, in alcuni da latente si fa manifesta (senza nessun mistero, è lo stabilire il raccordo a bassa probabilità fra percezioni molto diverse).
Credo che tutti gli Autori vadano affrontati in modo problematico, nel caso del Manzoni quello che veramente sostengo è che la sua conversione non abbia agevolato me infine molto limitato le sue capacità d'arte: con i miti falsi succede così. Per fortuna nostra i Promessi Sposi stanno sul crinale in cui ancora il grande mondo del '700 vitale, picaresco, pieno di umori, scintillante di ironia ed autoironia, non aveva ceduto armi e bagagli alla necessitata coerrenza della conversione, che finì per occuparlo tutto. Così, negli anni in cui scrivevano Stenhal, Balzac, Flaubert, Baudelaire (e Carlo Porta!) lui non aveva nulla da dire. Siccome era un uomo molto saggio, non ci provò neppure.
La liaisons di Laclos furono scritte decenni prima dei Promessi, trovo strano che lui avesse da dire solo "la sventurata rispose".

saludos
Solimano

Manuela ha detto...

Credo di essere d'accordo con Solimano, per quanto riguarda la riduzione dell'estetica a puro utilitarismo. Non mi pare che le regole di Manzoni possano davvero servire a dare criteri di giudizio per le opere d'arte. Posso avere l'intenzione di costruire un pollaio, il mio intento può essere ragionevolissimo e tale intento essere ben conseguito e il pollaio essere un bel pollaio. E tuttavia resta un pollaio, e il Centre Pompidou resta il Centre Pompidou, e resta anche la differenza.
Credo che il giudizio su un'opera d'arte si basi, al contrario, anche sul sovrapporsi - e talvolta identificarsi, tal completamente discostarsi - alle intenzioni dell'Autore. Credo che vi sia una sorta di "riconoscimento" del sé nell'opera d'arte; se questo manca, si può apprezzare l'aspetto formale dell'opera stessa, ma probabilmente non la si ama. Credo che sia per questo che la Primavera di Botticelli mi sembra solo una bella ragazza, ma potrei perdermi nei Bleu di Mirò.
Ma dopotutto Manzoni scriveva prima di Freud, e tenta, con pochi mezzi, di razionalizzare il problema del giudizio estetico. Francamente non lo prenderei molto sul serio, così come non lo sopravvaluterei nemmeno come autore. Dopotutto la sua opera migliore è un romanzo storico e bigotto, nello stesso secolo in cui in Europa scrivevano autori come Balzac e Tolstoj e Dickens, che con le loro opere scuotevano e graffiavano la società contemporanea.
Come Giuliano sa benissimo, il ruolo del grande romanzo, in Italia, l'ha avuto il melodramma.

Giuliano ha detto...

Quando siamo davanti ad un Autore vero, bisogna sempre chiedersi che cosa ha voluto dire lui.
Poi siamo liberi di decidere, di lasciarlo perdere, eccetera. Io ho letto Proust tanti anni fa, non mi è piaciuto e l'ho abbandonato; ma non mi sognerei mai di mettere in dubbio la sua poetica né di dire "caspita, ma quante pagine ha scritto???" (purtroppo, è il metro di giudizio più comune e più usato).
Invece il mio percorso è stato con Beckett, con Joyce, ma anche con Lewis Carroll e Achille Campanile, con Calvino e Buzzati, e con Primo Levi. Si fanno delle scelte, ma prima sarebbe meglio capire.

Solimano ha detto...

Giuliano , il punto non è che uno convinca l'altro, è piuttosto che uno si esprima al meglio chiarendo ed approfondendo anzitutto con sé stesso. Il mantenere la propria convinzione con un dippiù di consapevolezza può essere un ottimo risultato derivante da un gioco a somma positiva, in cui il vantaggio è comune.
Ho letto I Promessi Sposi cinque volte, ho letto alcuni saggi notevoli, particolarmente il Russo e ho imparato che cosa successe quando uscirono I Promessi: rischiarono di essere messi all'indice dal Sant'Uffizio, perché non era tollerabile che ci fosse un prete vigliacco, un frate assassino, una monaca lussuriosa.
Oltre al Sant'Uffizio c'era la Restaurazione di Francesco Giuseppe e di Metternich. La situazione culturale italiana era drammaticamente arretrata rispetto ad altri paesi, persino rispetto alla Russia, in cui c'era una bieca autocrazia che però non riusciva a permeare l'alta società che parlava in francese.
In Italia tutto era assogettato, dal clero da una parte, dall'assolutismo dall'altra.
Persino l'eversivo Belli finì censore alle dipendenze del Papato.
Non so cosa avrebbe fatto il Porta, che morì piuttosto giovane. Solo Giacomo Leopardi fece fronte, senza mollare fino alla fine, anche lui giovane.
All'estero, tutti i grandi intellettuali lottavano, certe volte sulle barricate, come Delacroix e più tardi Courbet.
Il Manzoni fece una sua scelta di pessimismo cristiano (dicono alcuni), si potrebbe anche dire di disimpegno. Le conseguenze si videro: non è un caso che uno che era stato Autore non lo fosse poi più per decenni. La situazione di allora è tutt'altro che finita in Italia, oggi molti ragionamenti sembrerebbero incredibili a Bernanos, Peguy, persino a Claudel, per fare il nome di grandi intellettuali cristiani.
Faccio l'esempio di uno che queste cose le ha capite benissimo e che si batte come un leone, placido ma leone: Ermanno Olmi. Avrà sbagliato qualche film, ma io l'ammiro molto, come Uomo e come Autore, rara avis in Italia.

saludos
Solimano
P.S. Belli i brani di Umberto Eco, ci faranno gioco!

Isabella Guarini ha detto...

Anch'io ho letto e riletto i Promessi Sposi, perchè ritengo che sia un testo fondamentale per la lingua italiana. Inoltre, non riesco a fare a meno dei personaggi plasmati dal Manzoni, che s'incarnano ancora oggi nei grandi eventi come nella quotidianità. Quanti Don Abbondio abbiamo incontrato nella nostra vita? E i Don Rodrigo con i loro bravi,il Conte Zio, l'Azzeccagarbugli, eterno modello di avvocatura a servizio dei potenti? Di Perpetue, poi, è pieno il mondo. Insomma i Promessi Sposi siamo noi, noi e gli altri.

Roby ha detto...

Ricordo la mia professoressa di lettere del ginnasio, la quale, iniziando a commentarci il "Promessi sposi", ci ammonì: "Ragazzi, adesso leggerete per la prima volta questo romanzo, e ci troverete QUALCOSA; poi tornerete a rileggerlo fra qualche anno, e ci troverete QUALCOS'ALTRO; infine lo riprenderete in mano da adulti, e scoprirete ancora ALTRE COSE di cui non vi eravate accorti prima". Lì per lì, la considerai solo una frase ad effetto, ma mi sono dovuta ricredere: ho riletto il romanzo insieme a mia sorella B., di dieci anni più piccola di me, quando lei era in seconda superiore e io all'Università; poi l'ho ripreso nel 2004, aiutando mia figlia a scuola. E sono giunta alle seguenti conclusioni: 1). da adolescente non puoi non romperti dannatamente gli zibidei sciroppandoti tutte quelle lunghissime e minuziosissime decrizioni tipicamente manzoniane (che già Giannino Stoppani alias "Giamburrasca" dichiarava nel suo Giornalino di detestare); 2). da giovane non puoi non giudicare una vera lagna quella santerellina bigotta e tontolona di Lucia Mondella, uno dei personaggi letterari per me più falsi e insipidi di tutta la nostra letteratura; 3). da "vecchia" non puoi non ammettere che Don Abbondio, Perpetua, Agnese, Azzeccagarbugli, il conte Attilio ed una frotta di altri personaggi "minori" sono in realtà quelli che fanno grande la storia, e che rendono il libro degno di essere letto. Oltre, naturalmente, alla chiusa di don Lisander (che spesso faccio mia): "...ma se poi invece vi avessimo annoiati, sappiate che non s'è fatto apposta!"

Lustrissimi, i miei omaggi

Roby

Isabella Guarini ha detto...

Roby,con il tuo racconto hai trasformato il romanzo manzoniano in un filo rosso che segna le fasi della nostra vita. Molto bello.
Mi lancio in un see you later. Così metto a frutto i costosi corsi d'inglese, lingua che, in verità, non digerisco troppo.