sabato 3 novembre 2007

I soggetti nel cinema: l'aldilà può attendere

L'inafferrabile signor Jordan (1941)


Roby
Non mi vergogno a confessare che quanto state per leggere è frutto di una notte agitata, disturbata da risvegli improvvisi e da incubi angosciosi, tutti relativi ad un unico soggetto: la morte. Sarà forse il periodo dell'anno, tradizionalmente legato al culto dei defunti, o sarà il recente, notevolissimo contributo dato dalla mia famiglia all'incremento demografico dell'aldilà. Fatto sta che l'unico modo per ritrovare il sonno perduto è stato quello di riflettere sul tema, ripercorrendo mentalmente i film che conoscevo: et voilà! tempo mezz'ora, e dormivo di nuovo come 'na creatura! Dunque, tralasciando l'odiato genere horror, con zombie, morti viventi, spettri assassini e via dicendo, qui vorrei parlare soprattutto di come la commedia cinematografica ha immaginato la vita (?) nell'oltretomba. Uno dei più grandi registi dell'antichità, Omero, rappresenta gli spiriti dei defunti che si aggirano nel buio fumoso degli Inferi, con aria per lo più corrucciata, evidentemente non molto rallegrati dall'ambiente inospitale: nella Hollywood degli anni '40, invece, si fa strada l'idea dell'aldilà come di un grande aeroporto, collocato sopra una pista di soffici nuvole, dove angeli-steward e hostess alate (nel senso letterale del termine) accompagnano ordinate file di anime all'imbarco su candidi jet.


Il paradiso può attendere , di Warren Beatty (1978)

Qualche volta possono verificarsi problemi al check-in, specialmente se si scopre che un passeggero è stato inserito nella lista per errore, e allora si deve provvedere a rispedirlo a terra... ma fra il dire e il fare c'è di mezzo il paradiso!!!! Gli spettatori, tuttavia, vengono rassicurati circa la positiva soluzione dell'inconveniente dalla presenza di figure sornione ma tranquillizzanti, come Claude Rains o James Mason: che poi il diretto interessato si ritrovi reincarnato nel corpo di un altro, in fondo poco importa, visto che è comunque assicurato il lieto fine con la ragazza amata sia nella prima che nelle altre vite.



Il cielo può attendere, di Ernst Lubitsch (1944)

E il diavolo stesso, così come ce lo dipinge l'inarrivabile Ernst Lubitsch, ha un'espressione tanto accattivante che vien quasi voglia di combinarla grossa per essere sicuri di essere spediti a conoscerlo. Chissà che insolita esperienza, trascorrere un lungo periodo al calore della sua compagnia... senza contare che da quelle parti potremmo incontrare addirittura l'irresistibile Totò, negli abiti di scena del suo 47 morto che parla (1950), girato -per risparmiare sui costi degli effetti speciali- direttamente tra gli sbuffi solforosi dei Campi Flegrei.

Un discorso a parte merita, all'interno del medesimo soggetto, il tema degli angeli. Nell'iconografia cristiana classica, si sa, l'angelo non ha sesso definito (straordinario e quasi imbarazzante archetipo di individuo androgino): nella cinematografia moderna, invece, è per lo più decisamente maschio, tendente ad innamorarsi -spesso senza speranza- di femmine umane. Sarebbe un sacrilegio degno di scomunica non citare i due angeli de Il cielo sopra Berlino (1987), ma in questo caso siamo di fronte ad un film troppo serio (nel senso buono della parola) per essere ospitato in un post così leggerino. Il tipo di angelo che ho in mente, in realtà, è più simile all'indimenticato Spencer Tracy di Joe il pilota , che dopo la morte in un tragico incidente continua a vegliare bonariamente sulla fidanzata, sorvegliando a distanza ravvicinata il procedere della di lei nuova love story con l'amico Van Johnson.

Joe il pilota (1943)

Probabilmente sarò un tipo all'antica, oppure sarà colpa della mia generica antipatia per i belloni, ma io, se dovessi scegliermi un innamorato-fantasma, opterei decisamente per lui, lasciando di buon grado alle brame di altre signore e signorine lo spettro fin troppo corporeo di Patrick Swayze in Ghost. Tengo fede alla mia fama di stroncatrix (il copyright è di Brian) rivelando che i lacrimoni cristallini di Demi Moore mi infastidiscono e che la celebre scena del tornio non mi dà pruriti erotici, ma sintomi di orticaria. Salvo invece il personaggio di Woopy Goldberg in qualità di tramite fra questo mondo e l'altro. Mi piacerebbe fare due chiacchiere con lei, per chiederle di sintonizzarsi sulle frequenze di un paio di viaggiatori di mia conoscenza, partiti di recente per l'ultimo volo: magari potrebbe dirmi subito in chi o in che cosa si sono trasformati, adesso, per risparmiarmi la fatica di cercarli ancora, incessantemente, in ogni soffio di vento, in ogni squillo del telefono, in ogni colpo di tosse per strada, alle mie spalle...

...ma forse il bello della trama, in questo particolarissimo genere di film, sta proprio tutto qui.
Ghost (1990)

8 commenti:

Giuliano ha detto...

Una bella parata di spiritacci! Complimenti.
A me piace soprattutto il diavolone in frac di Lubitsch, ma non ho mai imparato il nome dell'attore. Invece il primo in alto con Mr. Jordan è E.E.Horton, una sagoma (c'è in quasi tutti i film belli di quel periodo, è anche il manager di Fred Astaire in Cappello a cilindro).

E poi c'era quella commedia di Eduardo, come si chiama? "De Pretore Vincenzo", mi pare.
Questi post qui ti fanno venire in mente un sacco di cose...
E quindi ringrazio Roby perché a questo punto sto pensando a Bulgakov e al Maestro e Margherita, ma qui mi fermo se no arrivo al Faust di Goethe e poi riparto per Nonsodove
saludos
Giuliano

PS: O Solimano, ma quando si parte col Roby Fans Club?

Anonimo ha detto...

Come diceva monsieur De La Palisse? un attimo prima di morire, era ancora vivo...

Cara stroncatrix, bel tema questo. Anche nel genere "laterale" degli studentelli che si inducono la morte artificale, per vedere dove si arriva, come ne Linea Mortale con Julia Roberts.

E la scena del tornio, come poterla dimenticare? Erotismo zero, anzi utile come effetto antistupro al posto dello spray al peperoncino.

Roby ha detto...

GIULIANO, è vero, quell'Horton è proprio forte: una di quelle facce mitiche del cinema di una volta, che a poco a poco ti diventano familiari anche se non ti ricordi il nome...
Accipicchia, la commedia di Eduardo mi è sfuggita!!! Lo vedi? Non me lo merito proprio un fans club!!!

BRIAN, del film con Julia Roberts a cui accenni ho visto solo un pezzetto in Tv, e poi (coniglia come sono) ho dovuto cambiare canale perchè già mi venivano le palpitazioni. Però non doveva essere malaccio, vero? Confermi? A proposito, con la battuta dell'effetto antistupro neppure tu scherzi, nel campo delle stroncature!!!

Ave&vale a entrambi!!!!

Roby

Gioacchino ha detto...

Se si fa il "Roby Fan Club", mi iscrivo di corsa. Non è affatto leggerino il genere di post che hai scritto: è una prova di resistenza: a divagare sono bravi tutti (persino, modestamente, il sottoscritto), ma a centrare il bersaglio senza sbagliare come fai tu, a recitare il mantra dei film "di genere", regalando spesso sorrisi e bei ricordi, non sono bravi tutti.
Personalmente, anzichè pensare alla Moore (che non è male, quando non recita) o alla Tatcher (sono troppo giovane), se devo farmi passare la voglia provo a ricordare tutti i film sulla reicarnazione, per restare in tema: ce ne sono di pessimi, con cani e cavalli parlanti. Ti ricordi di quel film con Robert Downey Jr. e ben 4 angeli? Che ne pensi? Quanti film brutti sui fantasmi! Ciao,

Gioacchino

Giuliano ha detto...

Sul tema reincarnazione, il più bello è quello dove Stanlio e Ollio sono nella Legione Straniera. Alla fine hanno un incidente aereo, e solo Stanlio si salva. L'ultima sequenza è che Stanlio trova un cavallo coi baffetti e la bombetta, che parla con la voce di Ollio, ed è tutto contento...

Comunque sia, "Ghost" non è propriamente un bel film ma è ben fatto e la Goldberg è da Oscar.
Quanto a "Linea mortale", ci sto pensando da un bel po'...

Roby ha detto...

Porca miseria (esclamazione non troppo consona ad una signora)! Il post di Gioacchino mi ha richiamato indirettamente alla memoria un celeberrimo film italiano che mi sono dimenticata di citare... Mumble mumble... Grazie, Giò, ma dovrò prima o poi rimediare... Di contro, ahimè, non mi ricordo affatto del film con Robert Downey jr., e non mi ricordavo neppure del finale di Stanlio e Ollio nella legione straniera che cita Giuliano!! Comincio a perdere colpi...

Roby

PS: In ogni caso, BUONA DOMENICA!!!

Gioacchino ha detto...

Ciao, ho cercato il nome del film cui mi riferivo: "4 fantasmi per un sogno" (1993) di Ron Underwood. Qui angeli custodi e fantasmi si confondono nello stesso ruolo e c'è una sorta di missione da compiere prima di poter essere accolti in Paradiso (come in "Ghost"). Per questo l'ho citato. Un angelo c'è, in questo film: "raccatta" le anime con un autobus. Si addice al titolo del tuo post, ma fra angeli e fantasmi c'è una bella differenza. Quando le tue notti saranno libere da incubi (me lo auguro), potresti rivolgere la tua attenzione ai fantasmi. Ti abbiamo un po' portata lontano dai tuoi intenti. Perdono!

Gioacchino

Solimano ha detto...

Il cinema, pian piano, i conti col sesso li ha fatti, magari a volte confondendolo con la ginnastica o col Guiness dei Primati (intesi come scimmie), però nella sostanza ci sono molti film buoni, vivaci, veri, coinvolgenti, col sesso al centro della attenzione.
Il cinema i conti li ha fatti molto meno con l'amore, raccontando spesso un sacco di storie (intese come bugie) e mascherando desso amore in Amore, amoruzzo, amorazzo, amorone, amor cronico e via andare, ma a saper cercare, dei bei film d'amore - tanto più belli quanto più veri - esistono, e ne conseguono abbracci in platea ed in galleria.
Con la morte il cinema i conti li ha fatti assai meno: esistono molti morti (discorso indiretto) e poca morte (discorso diretto). Salvo alcune notevoli eccezioni: Bergman in generale ed alcuni francesi, in particolare Bresson, Tavernier, Sautet, Resnais.
Ma la colpa non è del cinema, è della persistenza di certi idola tribus per cui il dire che "la morte è il fenomeno terminale della vita" viene scambiata per una banalità alla Catalano, o si pensa che dire "quando sarò morto" e "quando non sarò" sia la stessa cosa.
Rimangono i vivi, di cui Laborit giustamente si preoccupa, dicendo che la morte dei cari è una parziale morte propria, a meno che non ci si accorga che chi non c'è più continua a vivere in noi, non in fotografie, nemmeno in lettere o in oggetti, ma nei nostri neuroni che conservano la memoria non liofilizzata, ma viva esattamente come la cosa che abbiamo percepito tre secondi fa. Se è così, non è rimpianto, è ricordo vissuto nel presente, nel qui e ora. Non vuole essere consolazione, ma esplicitazione di un fatto: la memoria di trent'anni fa o di dieci minuti fa ha la stessa sostanza neuronale. E' tutt'altro che poco, è molto di più che ipotizzare improbabili reincarnazioni od immortalità: abbiamo un capitale in testa, mettiamolo a frutto, stacchiamo giorno per giorno cedole inesauribili, una più bella dell'altra. Parlo per esperienza necessitata dalle circostanze della vita.

saludos
Solimano