domenica 11 novembre 2007

Yes, Giorgio

Yes, Giorgio, di Franklin J. Schaffner Sceneggiatura di Anne Piper e Norman Steinberg Con Luciano Pavarotti, Kathryn Harrold, Eddie Albert, Paolo Baroni, James Hong, Beulah Quo, Norman Steinberg, Karen Kondazian Musica: Michael J. Lewis e tante tante romanze e canzoni: Verdi, Rossini, Donizetti, Ponchielli, Leoncavallo, Puccini, Schubert... Fotografia: Fred J. Koenekamp (110 minuti) Rating IMDb: 3.6
Giuliano
Luciano Pavarotti ha girato un film da protagonista, come attore. E’ successo nel 1982, la cosa può far sorridere e in effetti il film ce lo siamo già dimenticato tutti; ma Pavarotti aveva come suo modello un altro grandissimo tenore: Beniamino Gigli. Come Pavarotti, Gigli non sapeva recitare; ma di film ne ha fatti parecchi – tutti da dimenticare, a parte la simpatia e la bonomia dell’uomo. Di quei film rimane, per gli appassionati d’opera, poco più della curiosità di vedere muoversi e parlare uno dei più grandi tenori di tutti i tempi. Per Pavarotti le cose non stanno così: ai tempi di Gigli non c’era la tv, che oggi è onnipresente, ed era complicato anche registrare i dischi, per tacere di filmare un’opera sul palcoscenico mentre si recita, cosa pressoché impossibile negli anni ’30 e ’40 e oggi normalissima.

Pavarotti (25 anni) al mare a Santa Margherita Ligure
A sinistra, la mamma Adele, a destra la sorella Gabriella

Ma Pavarotti ci teneva, e certamente qualcuno ha pensato che poteva essere un affare: proviamoci, chissà mai che funzioni... Le cose erano state fatte per bene, in quel 1982: regista Franklin J. Schaffner, quello di “Papillon”, di “Patton generale d’acciaio”, del “Pianeta delle scimmie”; protagonista femminile una cantante molto bella e molto giovane della quale si è però persa notizia, Kathryn Harrold; e uno stuolo di buoni comprimari. Io l’ho visto, in anni lontani: vi posso dire che Pavarotti interpreta la parte di un tenore italiano che si chiama Giorgio – e il resto penso che sia facile immaginarlo.
Parlare di Pavarotti al passato mi fa impressione. E’ stato grazie a Pavarotti, e a una sua incisione dal “Guglielmo Tell” di Rossini, che ho scoperto definitivamente che il mondo dell’opera lirica meritava di essere esplorato. Ho avuto la fortuna (e la perseveranza, perché trovare i biglietti non è mica facile) di vederlo e ascoltarlo diverse volte, a partire da una Tosca del 1980, alla Scala (io in loggione, lui sul palcoscenico).

Con Mirella Freni

Per questo, prendendo come scusa “Yes Giorgio”, mi permetto di dire qualche parola di ricordo. Una delle prime cose che si imparano, con l’opera lirica, è di guardare le date di registrazione: sul retro dei dischi di solito ci sono, magari scritte in piccolo. La Callas, per esempio, è grandissima dal 1948 al 1956: un arco di tempo veramente breve. Dopo, per varie ragioni, comincia l’usura della voce; e il ritiro dalle scene giungerà presto. Con Pavarotti va molto meglio: per almeno vent’anni, dal debutto del 1961, la sua voce è meravigliosa, e spesso anche miracolosa. Perciò, il Pavarotti degli anni ’60 è tutto di qualità altissima; quello degli anni ’70 è quasi tutto di qualità altissima. Dopo il 1980, quando Lucianone ha alle spalle più di vent’anni di carriera, comincia a venir fuori qualche ruga. Dagli anni ’90 in poi, il tenore modenese comincia con le iniziative che lo renderanno celebre anche al di fuori dell’opera: ma su queste cose anche chi non capisce niente di opera lirica può arrangiarsi da solo. Pavarotti non è stato famoso per caso. La sua voce è rimasta sempre bella, anche a settant’anni: ma provate a paragonare i faticosi “Vincerò”che avete ascoltato in questi giorni alla tv con le prodigiose registrazioni di quarant’anni fa, e poi sappiatemi dire. Non è un caso che, stando a quello che hanno riportato i giornali, Pavarotti abbia dettato come sue ultime parole “Ricordatemi per quello che ho fatto come tenore d’opera”: è lì la sua vera grandezza, e non nei concertini con questo e quello.

Con Joan Sutherland

PS: Ogni volta che ne parlo, mi rendo conto che molti non lo sanno: “Vincerò” non è una canzone. E’ un momento dalla “Turandot” di Giacomo Puccini, 1926. Il soggetto è tratto da una fiaba di Carlo Gozzi, commediografo veneziano del ‘700, e parla di una terribile principessa cinese che, a causa di un giuramento, non voleva sposarsi; ma l’Imperatore suo padre insiste per garantire la sopravvivenza della stirpe, e allora lei accetta ma ad una condizione, che è quella di sposare l’uomo che risolverà i tre enigmi che ella gli proporrà. Ma dev’essere un principe di sangue reale, e se non risolverà gli enigmi sarà decapitato; ed è con l’ennesima decapitazione sulla pubblica piazza che inizia l’opera. Il tenore risolve gli enigmi: ma la principessa la prende malissimo; e dunque lui le dà una possibilità: deve indovinare il suo nome (Calaf), che nessuno conosce perché è arrivato da molto lontano. Ecco dunque che, all’inizio del terzo atto, tutta Pechino è in subbuglio: “nessun dorma in Pechino” è stato l’ordine perentorio della terribile Turandot, perché bisogna sapere quel nome ad ogni costo, pena terribili tormenti per i sudditi. E Calaf, anche lui insonne, riprende queste voci: “Nessun dorma...” e conclude con il famoso “all’alba vincerò” ( ma sarà una vittoria triste e drammatica).

La principessa Turandot

4 commenti:

Roby ha detto...

Non ci posso credere! Non posso crederci!!!! Pensavo di essere la sola ad aver visto questo film durante un suo ormai lontano passaggio in TV: all'epoca, la love story Pavarotti-Mantovani era appena iniziata, ma il film sembrava in un certo senso preconizzarla. Chissà poi perchè la scelta del nome "Giorgio" ? Forse a causa di tutte quelle O e quelle G, che con le loro rotondità danno l'idea, da un lato, delle dimensioni di Lucianone, dall'altro della pienezza della sua voce...?

Un bel dì vedremo...

Roby

Solimano ha detto...

Giuliano, condivido quello che dici di Pavarotti. Per vent'anni è stato grandissimo, e quello rimarrà per nostra fortuna.
Per le immagini, a parte quella della Turandot, che ho preso da un manifesto, le altre due sono di un Pavarotti giovane e senza barba. Mi piacerebbe averne le date e capire chi è il terzo nella foto con la Sutherland, forse Herman Pray?

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

No, cara Roby, il film è di una decina d'anni prima di quello che pensi; e se non mi ricordo male, il nome Giorgio era un riferimento ad Armani. Non ricordo che fosse così male, solo che ci si chiedeva "sì, ma a che cosa serve?".
Il titolo è la risposta di chi dice sempre di sì al tenore, quasi una litania: "...sì, Giorgio...", e va inteso in chiave autoironica.
La foto all'inizio è la sequenza che più mi ricordo, bravo Solimano.

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, visto che è "La figlia del Reggimento" di Donizetti, penso che il terzo uomo sia Spiro Malas, lo stesso che c'è nel disco (ahinoi, che c'erano in giro Bruscantini e Panerai e mille altri...).
Le date sono intorno al 1966-67, al Metropolitan di New York se non ricordo male. "La fille du Régiment" (in francese, perché Donizetti la scrisse per Parigi) fu l'opera che diede a Pavarotti la sua grande fama. (Non è da tutti)