Cat on a Hot Tin Roof, di Richard Brooks (1958) Dal dramma di Tennessee Williams, Sceneggiatura di Richard Brooks, James Poe Con Elizabeth Taylor, Paul Newman, Burl Ives, Jack Carson, Judith Anderson, Madeleine Sherwood Musica: Charles Wolcott, Fotografia: William Daniels (108 minuti) Rating IMDb: 7.9
Solimano
Ha senso, rivedere “La gatta sul tetto che scotta” quarantanove anni dopo? Secondo me sì, ma prima è meglio fare un po’ di pulizia. Con Tennessee Williams innanzitutto, perché ora non andrei a vedere in teatro i suoi drammi neppure se mi pagassero. Va avanti per archetipi, sempre quelli: il Sud caldo, torbido, torpido eppure vitale, con la bandiera dei Confederati da far sventolare anche ai bambini, il paterfamilias che vorrebbe comprarsi l’amore dei sottomessi (in primis i familiari) a colpi di generosità prepotente e sgarbata, la donna matura e vogliosa, la donna giovane vogliosa pure lei, il figlio minore che non combina nulla di serio, però è più amato del figlio maggiore ossequiente e noioso, i neri di casa amati e saggi, le liti reali per la roba, però lubrificate da compleanni ed anniversari… Su tutto ciò, delle tentate soluzioni in fondo moralistiche e generiche, quindi non credibili. Williams ha una sua forza furbissima, girando attorno a temi che sarebbero tutti seri: il denaro, il potere, il sesso, la morte. E l’omosessualità, forse il tema più sentito e meno detto. In tutto c’è un vitalismo sospetto, paradossalmente di tipo mortuario, perché in quel vitalismo c'è più paura della morte che amore per la vita. Col sesso esprime il desiderio, mai l’appagamento.
Un talentaccio che ebbe un successo clamoroso ma provvisorio, già negli anni Sessanta la furia per Tennessee Williams era passata. Eppure ha un grande merito: degli ottimi film sono stati fatti sui suoi drammi caduchi, e non solo i film di Elia Kazan. Uno è questo, che regge benissimo anche oggi, facendo un po’ di pulizia anche con Richard Brooks, il regista, che nascose l’omosessualità ancor più di Williams nel dramma ( ma eravamo nel 1958, e il pubblico del cinema era diverso da quello teatrale). Senza la componente omosessuale del rapporto fra Brick (Paul Newman) e Skinner, l'amico morto suicida, non si capisce la ritrosìa di Brick alle continue profferte di Maggie (Elizabeth Taylor), ammettendo pure che Maggie sia andata una volta con Skinner. Su questo Brooks è ancor più ambiguo di Williams, nel film sembra che sia stato tutto un equivoco, che Maggie non sia andata con Skinner e che questi si sia ucciso perché Brick gli ha riagganciato il telefono.
Però, che forza di presenza recitante! Per gustarla al meglio, consiglio di vedere il film in inglese con i sottotitoli in italiano, perché questi vanno avanti con l’americano parlato (spesso gridato), sintetico e velocissimo. In italiano si attenua la violenza continua con cui si esprimono il molto odio ed il poco amore del film. Elizabeth Taylor qui è al massimo della bellezza, ancor prima che della recitazione, e basta il suo modo di essere bella a scardinare le sapienti trovate di Williams e di Brooks, e il tema omosessuale, quello che probabilmente interessava di più Williams, inevitabilmente si volatilizza. La parte di Paul Newman diventa così molto ingrata, a volte quasi ridicola (quando si chiude in bagno per sottrarsi alla Taylor) ed acquista uno spessore ed una centralità solo quando in cantina dialoga finalmente in modo aperto con Big Daddy Pollitt (Burl Ives), che è potente e fragile. In cantina, fra le millanta carabattole costose che Big Daddy ha comprato a Big Momma (Judith Anderson) durante il viaggio in Europa, al posto dell’amore che non c’è mai stato.
Ma anche la famiglia di Gooper (Jack Carson), il fratello maggiore di Brick, regge benissimo, con i cinque figlioletti –tutti senza collo, dice Maggie- sempre a far feste fasulle a Big Daddy guidati dalla madre Mae (Madeleine Sherwood), che ispira una antipatia talmente forte da desiderare che ricompaia spessa. Poveretta, ha fatto cinque figli -il sesto è in arrivo- e si trova a competere con una cognata bellissima come Liz Taylor ed a volere la roba, tutta la roba di Big Daddy, perché le spetta in quanto Reginetta di non so che. Le toccherà finire il film rimossa da tutti, persino da Big Momma e dal marito Gooper. Brutta la sorte dei brutti, anche delle brutte. A me infine è diventata quasi simpatica, con quel suo lavorìo per la festa, i bambini schierati con strumenti e bandiera, l’ascoltare di notte i litigi di Brick e Maggie che sono nella camera a fianco, il trafficare con torte e carte.
Quella che vince è Maggie: avrà un figlio da Brick , racconta infatti che è incinta e una bugia del genere bisogna trasformarla in verità, avrà la roba di Big Daddy, che per tutto il film stravede per lei, e prima del film è riuscita a risolvere lo spinoso caso Skinner, mettendolo contro Brick. Una ragazza povera che sa aiutarsi con la bellezza, ma soprattutto con il senso delle opportunità, che gioca la carta giusta qundo è il momento, alla faccia di tutte le Reginette nate ricche nel Sud. Eppure, chiedetelo in giro, quelli che hanno visto il film vi parleranno di Maggie come del personaggio positivo e di Mae come dell’inferno in terra. La vita è ingiusta, non è detto che premi il merito, ma non c’è niente da fare: non solo gli spettatori, ma anche le spettatrici sono con Maggie, la vera furba, non con Mae, la formica paziente che va avanti ad astuzie quotidiane, che basta una mossa a sorpresa per schiodarle.
Ma non c’è niente da fare: il film, di primo impulso ci si decide di guardarlo per un motivo: Elizabeth Taylor, com’era in quei pochi anni in cui fu al vertice. A proposito… nel film bevono in continuazione, ho il sospetto che quello che hanno nei bicchieri sia proprio alcool ad alta gradazione. Salvo che per Paul Newman, che ufficialmente è il bevitore incallito, ma che è costretto a mantenersi lucido, per reggere una Maggie di tal fatta. I premi che gli diedero se li meritò tutti, deve essere stata una gara dura per lui.
Solimano
Ha senso, rivedere “La gatta sul tetto che scotta” quarantanove anni dopo? Secondo me sì, ma prima è meglio fare un po’ di pulizia. Con Tennessee Williams innanzitutto, perché ora non andrei a vedere in teatro i suoi drammi neppure se mi pagassero. Va avanti per archetipi, sempre quelli: il Sud caldo, torbido, torpido eppure vitale, con la bandiera dei Confederati da far sventolare anche ai bambini, il paterfamilias che vorrebbe comprarsi l’amore dei sottomessi (in primis i familiari) a colpi di generosità prepotente e sgarbata, la donna matura e vogliosa, la donna giovane vogliosa pure lei, il figlio minore che non combina nulla di serio, però è più amato del figlio maggiore ossequiente e noioso, i neri di casa amati e saggi, le liti reali per la roba, però lubrificate da compleanni ed anniversari… Su tutto ciò, delle tentate soluzioni in fondo moralistiche e generiche, quindi non credibili. Williams ha una sua forza furbissima, girando attorno a temi che sarebbero tutti seri: il denaro, il potere, il sesso, la morte. E l’omosessualità, forse il tema più sentito e meno detto. In tutto c’è un vitalismo sospetto, paradossalmente di tipo mortuario, perché in quel vitalismo c'è più paura della morte che amore per la vita. Col sesso esprime il desiderio, mai l’appagamento.
Un talentaccio che ebbe un successo clamoroso ma provvisorio, già negli anni Sessanta la furia per Tennessee Williams era passata. Eppure ha un grande merito: degli ottimi film sono stati fatti sui suoi drammi caduchi, e non solo i film di Elia Kazan. Uno è questo, che regge benissimo anche oggi, facendo un po’ di pulizia anche con Richard Brooks, il regista, che nascose l’omosessualità ancor più di Williams nel dramma ( ma eravamo nel 1958, e il pubblico del cinema era diverso da quello teatrale). Senza la componente omosessuale del rapporto fra Brick (Paul Newman) e Skinner, l'amico morto suicida, non si capisce la ritrosìa di Brick alle continue profferte di Maggie (Elizabeth Taylor), ammettendo pure che Maggie sia andata una volta con Skinner. Su questo Brooks è ancor più ambiguo di Williams, nel film sembra che sia stato tutto un equivoco, che Maggie non sia andata con Skinner e che questi si sia ucciso perché Brick gli ha riagganciato il telefono.
Però, che forza di presenza recitante! Per gustarla al meglio, consiglio di vedere il film in inglese con i sottotitoli in italiano, perché questi vanno avanti con l’americano parlato (spesso gridato), sintetico e velocissimo. In italiano si attenua la violenza continua con cui si esprimono il molto odio ed il poco amore del film. Elizabeth Taylor qui è al massimo della bellezza, ancor prima che della recitazione, e basta il suo modo di essere bella a scardinare le sapienti trovate di Williams e di Brooks, e il tema omosessuale, quello che probabilmente interessava di più Williams, inevitabilmente si volatilizza. La parte di Paul Newman diventa così molto ingrata, a volte quasi ridicola (quando si chiude in bagno per sottrarsi alla Taylor) ed acquista uno spessore ed una centralità solo quando in cantina dialoga finalmente in modo aperto con Big Daddy Pollitt (Burl Ives), che è potente e fragile. In cantina, fra le millanta carabattole costose che Big Daddy ha comprato a Big Momma (Judith Anderson) durante il viaggio in Europa, al posto dell’amore che non c’è mai stato.
Ma anche la famiglia di Gooper (Jack Carson), il fratello maggiore di Brick, regge benissimo, con i cinque figlioletti –tutti senza collo, dice Maggie- sempre a far feste fasulle a Big Daddy guidati dalla madre Mae (Madeleine Sherwood), che ispira una antipatia talmente forte da desiderare che ricompaia spessa. Poveretta, ha fatto cinque figli -il sesto è in arrivo- e si trova a competere con una cognata bellissima come Liz Taylor ed a volere la roba, tutta la roba di Big Daddy, perché le spetta in quanto Reginetta di non so che. Le toccherà finire il film rimossa da tutti, persino da Big Momma e dal marito Gooper. Brutta la sorte dei brutti, anche delle brutte. A me infine è diventata quasi simpatica, con quel suo lavorìo per la festa, i bambini schierati con strumenti e bandiera, l’ascoltare di notte i litigi di Brick e Maggie che sono nella camera a fianco, il trafficare con torte e carte.
Quella che vince è Maggie: avrà un figlio da Brick , racconta infatti che è incinta e una bugia del genere bisogna trasformarla in verità, avrà la roba di Big Daddy, che per tutto il film stravede per lei, e prima del film è riuscita a risolvere lo spinoso caso Skinner, mettendolo contro Brick. Una ragazza povera che sa aiutarsi con la bellezza, ma soprattutto con il senso delle opportunità, che gioca la carta giusta qundo è il momento, alla faccia di tutte le Reginette nate ricche nel Sud. Eppure, chiedetelo in giro, quelli che hanno visto il film vi parleranno di Maggie come del personaggio positivo e di Mae come dell’inferno in terra. La vita è ingiusta, non è detto che premi il merito, ma non c’è niente da fare: non solo gli spettatori, ma anche le spettatrici sono con Maggie, la vera furba, non con Mae, la formica paziente che va avanti ad astuzie quotidiane, che basta una mossa a sorpresa per schiodarle.
Ma non c’è niente da fare: il film, di primo impulso ci si decide di guardarlo per un motivo: Elizabeth Taylor, com’era in quei pochi anni in cui fu al vertice. A proposito… nel film bevono in continuazione, ho il sospetto che quello che hanno nei bicchieri sia proprio alcool ad alta gradazione. Salvo che per Paul Newman, che ufficialmente è il bevitore incallito, ma che è costretto a mantenersi lucido, per reggere una Maggie di tal fatta. I premi che gli diedero se li meritò tutti, deve essere stata una gara dura per lui.
11 commenti:
Wow, che recenscion, Solimano! Un regalo di natale da rileggersi sotto l'albero illuminato.
Complimenti e abbondanti auguri, a te e a tutto lo staffilante staff di A.& P.C.!
Brian
Mi è sembrato di rivedere il film, tanto la tua desrizione è viva ed efficace. Però, anche Paul Newman, era bellissimo... (occhi di donna)... Tanti auguri Solimano a te e a tutti gli altri. Giulia
Eh, sì, caro Solimano: per credere davvero che Paul rifiuti le profferte di Liz, bisogna proprio pensare che nella sua parte ci sia una forte componente gay! Lei è STUPENDA... e lui è MAGNIFICO!!!!
Per la Senza-collo non c'è partita!
*B*U*O*N* *N*A*T*A*L*E* !!!!
Roby
Eccellente recensione per uno dei miei film preferiti.
Auguroni di buone feste, Paolo.
Per quanto mi riguarda vedere questo film una sola volta basta e avanza. E' vero, Liz è bellissima, ma non mi ispira alcun desiderio di somigliarle, come capita invece quasi sempre con Audrey (ed anche Katharine) Hepburn o, ancora di più, con la mia attrice preferita in assoluto: Ingrid Bergman.
In quanto a Paul Newman non l'ho mai potuto soffrire, a dispetto dei suoi celebri occhi azzurri da cui tante donne si sono lasciate affascinare. Vuoi mettere con il fascino irresistibile di uno Sean Connery in età matura? Ma queste sono considerazioni scherzose e terra terra che nulla tolgono alla mia ammirazione per questo bel post che meriterebbe un commento molto più articolato e profondo.
Buon Natale a Solimano, a tutti i collaboratori di Abbracci e pop corn, e ai loro tanti affezionati lettori.
H.
Beh, forse sbaglio, ma qui la bellissima Liz a me sembra già diversa rispetto ai suoi film precedenti, con un tocco di maturità fisica e attoriale in più. Qui recita in uno dei miei film preferiti... mi fa morire dal ridere ogni volta che urla contro i figli mostruosi della rivale brutta, grossa, grassa e chi ne ha più ne metta...
Rinnovo ancora, per tutti, i miei auguri di Buon Natale. Oy
L'aspetto divistico non va sottovalutato, perché riguarda tutti, non solo i cosidetti fans.
Tutti tendiamo ad immedesimarci o a mitizzare un attore o una attrice.
I casi più interessanti sono quelli che piacciono ambosessi e Sean Connery ne è un esempio.
Un altro aspetto è la durata nel tempo, più difficile per le donne che per gli uomini, ma Ingrid Bergman ed Isabelle Huppert sono felici eccezioni.
Elizabeth Taylor, qui, ed in altri tre o quattro film la trovo straordinaria: è molto difficile dire dove finisca la bellezza e cominci la bravura. Le signore capiscano noi maschietti: con la Liz di questo film farci i conti lucidamente è un po' difficile...
grazie e saludos, auguri a tutti!
Solimano (e Primo)
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