Klassenverhaltnisse, di Danièle Huillet e Jean-Marie Straub (1984) Dal romanzo "Amerika" di Franz Kafka, Sceneggiatura di Straub-Huillet Con Christian Heinisch, Nazzareno Bianconi, Mario Adorf, Laura Betti, Harun Farocki, Manfred Blank, Reinald Schnell, Klaus Traube, Herman Hartmann, Gérard Semaan Fotografia: Caroline Champmetier, William Lubtchansky, Christophe Pollock (126 minuti) Rating IMDb: 6.3
Giuliano
“Rapporti di classe” è Amerika di Franz Kafka. Kafka ne esce in modo memorabile e impressionante, quasi letterale, anche se ci sono dei tagli (inevitabili), anche se un elicottero passa dietro alla Statua della Libertà, i treni e i telefoni non sono quelli del 1914, e anche se il signor Pollunder non è grassottello come sta scritto nel libro. Siamo quasi alla perfezione nel tradurre un romanzo per il cinema; a “Rapporti di classe” mancano solo l’umorismo e il senso del grottesco che ci sono nel romanzo, e in tutto Kafka, e che certamente avrebbe messo Fellini – molto interessato, per anni, ad un adattamento del libro - ma Fellini sarebbe stato meno preciso (meno tedesco?). A Fellini sarebbe andata a meraviglia la parte del Libero Teatro di Oklahoma, dove ognuno troverà il posto che gli compete, ma quella parte Kafka non l’ha scritta: è lo scenario su cui apre quello che viene ritenuto il finale del libro, ma il libro è incompiuto.
E’ impressionante la perfetta coincidenza tra romanzo e film. La storia del sedicenne Karl Rossmann, costretto a partire per l’America per una sua terribile colpa (è stato sedotto da una serva che ha il doppio dei suoi anni, e ne ha avuto un figlio), è raccontata con un’esattezza che non mi sarei mai aspettato di vedere. Karl Rossmann e i due lestofanti sembrano letteralmente uscire dalle pagine del libro, e anche la nave egizia del quadro sulla cabina del Capitano, mentre parla Karl, non è certo lì per caso, e va a toccare alcune corde nascoste del libro. Nel cast ci sono solo due attori famosi, Mario Adorf e Laura Betti. Adorf è lo zio di Karl, impressionante; ma è soprattutto la Betti, che impersona la cantante Brunelda, a dar senso e corpo a pagine che non avevo mai capito.
I due registi francesi girano “Amerika” in un modo che avevo visto fare solo nel Pinocchio di Comencini. Ovviamente il tono è diverso, molto più severo e drammatico, ma le analogie tra “Amerika” e il libro di Collodi ci sono, e sono notevoli; Straub-Huillet sembrano volerle rimarcare, ma lasciando tutto sottotraccia. La Capocuoca è la Fata Turchina, Robinson e Delamarche il Gatto e la Volpe, Mario Adorf sembra Mangiafoco, e il Libero Teatro di Oklahoma promette di essere circo dove si esibirà il ciuchino Pinocchio.
Karl Rossmann però appare arrogante, scostante: non lo ricordavo così nel libro. Leggendo, lo avevo sempre trovato più ingenuo, naif; Straub-Huillet (ed è un’interpretazione più che legittima) ce lo mostrano metre pensa di poter indirizzare la sua sorte, il suo futuro, mentre altre persone lo rimandano sempre “al suo posto”, al posto che è predisposto per lui. «Lei è testardo, le si vorrebbe far del bene, e lei resiste con tutte le sue forze. » dice la Capocuoca a Karl. Ma poi gli offre un posto di lavoro molto misero, da lift in un albergo, e non lo difenderà quando sarà necessario farlo. E’ qui che nasce la differenza con Kafka, e con Pinocchio, ed è qui che si vede l’interpretazione che sottintende ad una messa in scena così fedele.
Alcuni, come la Capocuoca, spingono Karl a “stare al suo posto” per il suo bene; altri per pura cattiveria o per temere di vedersi soppiantati; ma Karl è così arrogante da pensare di poter decidere da solo quale è il suo posto. Sono appunto questi i “Rapporti di classe” di cui parla il titolo del film, e che sono ben spiegati a Karl dall’irlandese Robinson, nel lungo discorso sul balcone della cantante Brunelda.
Siamo davanti ad un’interpretazione molto politica. Anche qui, come sempre nei loro film, Straub e Huillet rimangono più che fedeli al testo, che viene letto integralmente (i dialoghi sono gli stessi che troviamo sul libro): ma il lavoro sottotraccia non può passare inosservato, e del resto è un lavoro che non va mai contro al testo di Kafka, ma anzi apre nuovi orizzonti di interpretazione.
Ho sempre avuto una grande ammirazione per Straub e Huillet, fin da quando mi capitò di vedere uno dei loro film, “Morte di Empedocle” (1987, su testo di Hölderlin). Il testo veniva recitato, a memoria, da attori non professionisti disposti a cerchio, all’aperto. Il suono in presa diretta, l’inquadratura fissa, gli attori non professionisti, la radura in cui era ambientata la lettura, tutto rimandava ad un ricordo ben preciso: gli uomini libro di Fahrenheit 451. Ed è appunto questo il loro stile e il loro credo poetico (e politico), dal quale si sono leggermente discostati, facendo film “normali”, rare volte, come in questo “Rapporti di classe” e in “Conversazione in Sicilia” di Vittorini, un altro capolavoro di regia (che per noi ha il vantaggio di essere recitato in italiano) uscito nel 1999 con il titolo “Sicilia!”.
Tutti e due francesi, ma italiani d’adozione, Jean Marie Straub e Danièle Huillet, classe 1933 e 1936, hanno girato molti capolavori, a partire da “Cronaca di Anna Magdalena Bach” (1968). Alla musica, e soprattutto ad Arnold Schoenberg, si sono dedicati a più riprese: un autentico capolavoro è “Moses und Aron” (1975), forse l’esempio più alto di come si possa tradurre un’opera lirica per il cinema.
I due registi facevano coppia, nella vita e nel lavoro; i loro lavori sono firmati Straub-Huillet, col trattino, come se fossero una persona sola. E io mi sono spesso chiesto come hanno campato in tutti questi anni, se avessero altre fonti di reddito, perché certo questo genere di cinema di soldi non ne procura, a chi lo fa. Cercando su internet ho scoperto che Danièle non c’è più, dal 2006. Ho anche trovato una bella intervista, sul sito Cineboom, completa di fotografie. E’ un’intervista molto dura e diretta, ma da conoscere. Siamo al filmstudio, gennaio 2005; l’intervista completa la trovate sul sito, qui ne porto alcuni estratti che mi hanno colpito, taglio e incollo facendo conto che si tratti di una voce sola, come forse a loro sarebbe piaciuto.
« Noi crediamo che il nostro sia un cinema semplice. E' indubbio che per apprezzare al meglio i nostri film bisogna avere degli interessi: il cinema innanzitutto, l'arte e la letteratura. Ma soprattutto bisogna avere delle idee sul mondo. In tutto questo non mi sembra ci sia nulla di elitario. Il nostro è l'unico cinema semplice, sono gli altri a realizzare film retorici, in cui davvero non si capisce di cosa si parla. (...) Dopo aver visto "Cronaca di Anna Magdalena Bach", un funzionario della TV francese si rifiutò di produrre un nostro film dicendo che, se lo avesse fatto, non avrebbe più potuto far vedere le loro altre produzioni perché, nonostante costassero molto di più, erano qualitativamente inferiori alle nostre. (...)La cultura è una truffa, una menzogna, una bugia, perché non esiste più, perché prodotti artigianali come i nostri non hanno più il diritto di essere mostrati. (...) Una storia non può essere illustrata, la narrazione è ben altra cosa. La narrazione è evocazione. (...) »
2 commenti:
Un altro tasselo da aggiungere alla conoscenza di Kafka, non conoscevo né il film, né i registi. Molto interessante! Buona giornata.
Annarita
Kafka è molto difficile da rendere al cinema, basta vedere il film di Orson Welles dal "Processo"...
Questo non è un film facile, però è già molto meno duro degli altri film di Straub-Huillet, che sono sempre esigentissimi verso chi decide di guardare i loro film.
Ho detto degli "uomini-libro" di Fahrenheit 451: ecco, Straub-Huillet sono proprio gli uomini-libro.
Cara Annarita, quanto a tasselli, anche tu ne hai messi tanti!
Posta un commento