Knights of the round table, di Richard Thorpe (1953) Sceneggiatura di Richard Talbot (basato sul romanzo "La morte di Artù") Con Robert Taylor, Ava Gardner, Mel Ferrer, Stanley Baker Musica di Miklos Rozsa Fotografia di S. Dade e F. Young ( 115 minuti) Rating IMDb: 6.1
Roby
Più vado avanti negli anni - e nei film visti- più mi convinco che sempre più spesso gli originali sono di gran lunga migliori dei remake. Qualche tempo fa ho commentato Il primo cavaliere, stroncandolo pesantemente: e di ciò non mi pento affatto, specialmente dopo aver rivisto proprio ieri la sua versione anni '50. Con ciò non intendo certo affermare che I cavalieri della tavola rotonda sia un capolavoro: ma sicuramente si tratta di un prodotto molto più dignitoso del lungo spot dedicato a Gere e Connery. Se non altro perchè questi ultimi dovevano accontentarsi -come Ginevra- della tenera Julia Ormond, mentre Bob Taylor e Mel Ferrer godevano della presenza di una REGINA con tutte le maiuscole al posto giusto: quella Ava Gardner che da sola basterebbe a giustificare la visione della pellicola. Gli sguardi che rivolge a Lancillotto costituiscono un richiamo sensuale irresistibile, a cui soltanto la granitica volontà dell'eroe per eccellenza è in grado di opporsi, benchè il suo cuore resti in eterno consacrato a lei. Vittime consapevoli, entrambi, di un superiore dovere verso il paese del quale sono responsabili.
Il matrimonio fra Ginevra (Ava Gardner) e Artù (Mel Ferrer)
Tra le mura del castello ritroviamo il vecchio caro mago Merlino, inspiegabilmente licenziato dalla produzione del Primo cavaliere, e c'è persino la fata Morgana, compagna fedele del perfido Mordred. Il quale non è, qui, lo spiritato e paranoico personaggio del remake -più simile ad un serial killer moderno che ad un'anima nera medievale- ma riesce, grazie all'interpretazione misuratamente malvagia di Stanley Baker, ad assurgere addirittura ad una sua forma di solenne dignità: tanto che Morgana, nel finale, si abbandona ad un pianto disperato e molto umano sul suo cadavere, dopo il duello risolutivo con quell'anima pura di Lancillotto. Scene, colori e costumi sono quelli tipici dell'epoca dei primi technicolor: il rosso del mantello del cavaliere buono è un rossso molto deciso, così come il nero nerisssimo di quello cattivo. Il grigio chiaro delle pareti di pietra del tetro maniero sembra appena steso con la pennellessa, e i fondali sono spesso chiaramente di cartone: eppure, benchè mancante degli effetti speciali del suo successore -dove Camelot appariva magicamente distesa, bianca e azzurra di torri, in una verde vallata di sogno- la scenografia mi è parsa più vera e più "seria", così come tutta la storia (con o senza iniziale maiuscola) mi è sembrata qui trattata con maggior rispetto, nel solco di una tradizione recitativa e cinematografica ormai sempre più rara. E della quale, personalmente, a volte sento un po' la mancanza.
4 commenti:
Roby, mio suocero aveva due miti, come attici: Esther Williams ed Ava Gardner. Solo che ai film di Esther Williams ci andava con la moglie e le figlie bambine, a quelli di Ava Gardner ci andava per conto suo...
saludos
Solimano
Cara Roby, quelle barbe fatte così ormai sono associate all'idea di medievale, almeno per quelli della nostra generazione (penso anche a Basil Rathbone nei film di Robin Hood).
Concordo su tutto, ma anche qui sarebbe interessante sapere cosa ne pensano gli under 20...
buona domenica
Giuliano
Nonposso che concordare con te... Giulia
Solimano, bel tipo, tuo suocero...!!!
Giuliano, per gli under 20 -mia figlia, beata lei, è fra quelli- risulta troppo ..."barboso" persino "Il primo cavaliere"! Loro prediligono -storicamente parlando- roba tipo "300", da cui la mia pargoletta afferma di aver addirittura imparato qualcosa...!!!
Il che, tutto sommato, può anche essere.
Giulia, ciao, grazie e sempre BENVENUTA (non perchè concordi con me, ma IN GENERALE!!!)
R.
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