Solimano
Nel 1957, quando scoppiò l'affaire Zivago, me ne interessai politicamente ed umanamente. L'anno prima, da studente liceale, avevo sfilato nel centro di Parma nelle manifestazioni di protesta contro l'invasione russa dell'Ungheria, fra gli insulti delle fruttivendole iscritte al PCI del mercato della Ghiaia, le cui figlie oggi saranno presumibilmente berlusconiane. Nella storia in generale, e nelle storie piccole delle persone in particolare, si annida una componente ironica che è bene cogliere, aiuta a capire.
Il libro non lo lessi, non scegliendo di non leggerlo, ma perché avevo le mie priorità: i classici greci, latini ed italiani. Una scelta con un certo risvolto negativo: la mia pedanteria accademica che ancora fa capolino, spero non troppo spesso, ma una scelta che sono contento di aver fatto, perché mi fanno sorridere un po' amaro, i giovinetti e le giovinette di oggi, che si innamorano dell'ultimo romanzetto uscito senza aver sfiorato, ad esempio, le "Lettere familiari a' suoi tre fratelli" del Baretti o "Della geografia trasportata al morale" del Bartoli. Ma a vent'anni può essere già tardi, e la colpa non è loro, è degli insegnanti, che non sono a loro agio con il barocco e con l'illuminismo, e che usano il romanticismo come refugium peccatorum, un luogo in cui si può dire tutto e il contrario di tutto. Non il Romanticismo, grande periodo storico, ma suvvia, Johannes Brahms è scomparso nel 1896 e siamo del 2007!
Leggevo i poeti, questo sì, ma fu un altro motivo per stare lontano da Zivago. Avevo letto una antologia di poeti russi, e conosciuto ed amato Majakovskij ed Esenin, Chlebnikov, Achmatova e Blok. C'era anche Pasternak, ma non mi sembrava di quel livello, forse sbagliavo.
Però nel 1966 il film di Lean lo vidi e mi piacque. Avevo tre motivi: una mia propensione a favore di David Lean sulla base di altri film suoi che avevo visto, una disponibilità victorhughiana (ah! I miserabili...) verso tutte le opere larghe e lunghe, e lo spettacolone dei paesaggi e dei volti di cui il film trabocca. Attori, più che personaggi, a parte il solito discorso della recitazione nel cinema, Julie Christie e Rod Steiger, Tom Courtenay e Omar Sharif, Alec Guiness e Rita Tushingham, Ralph Richardson e Geraldine Chaplin (c'è perfino Klaus Kinski!), cha avevano una componente divistica, ma di tipo versatile, non si portavano dietro il loro personaggio, sempre quello, alla Gary Cooper o Marlene Dietrich.
Poi, il mito della Grande Russia. Paesaggi sconfinati, fiumi, foreste, le due città, Pietrobugo e Mosca, fra loro diversissime. Passioni spettacolose e spettacolari, quindi -ancora- lunghe, larghe ed alte. Anche basse, perché no. Ancora dieci anni fa, al Conservatorio di Milano, quando arrivavano orchestre russe (o genericamente slave), di strumentisti bravissimi ed affamati, il commento ricorrente era che quella sera toccava prenderci la Mazzata Slava. Battuta irridente, però con un che di ammirativo.
Però capisco il successo del film, che ha tanti pregi, malgrado tutto. E' dovuto al fatto che è comodo e gratificante vedere le onde del mare in burrasca stando nella sicurezza della spiaggetta consueta, magari con ombrellone e due lettini (le sedie a sdraio, comodissime per leggere, non fanno fino). Però, se si deciderà di portare i grandi film nelle multisale, Il dottor Zivago di Lean dovrebbe essere uno dei primi: dispiace vederlo ridotto ad una strisciata sullo schermo TV. Se poi qualche eversore togliesse il Tema di Lara dalla colonna musicale, ancora meglio. Infierisce dall'inizio alla fine, lo senti dentro che sta per arrivare, tre o quattro secondi prima dici a te stesso: "Arriva di sicuro!" Eccolo, difatti, per la diciassettesima volta, 'sto Tormentone de' Tormentoni!
Occorre ricordare sempre la terribilità della censura persecutoria (verso i libri e le persone): il Dottor Zivago è stato ufficialmente stampato in Russia solo nel 1988, trent'anni dopo. E Bulgakov? "Il Maestro e Margherita" ci ha messo quarant'anni ad essere conosciuto, ed è certamente uno dei libri su cui si regge il Novecento.
12. I cavoli di Mosca
L’albergo era imponente. Portoni, scale, sale, camere, bagni, finestre, tutto fatto col pantografo. Dopo ogni rampa, un tavolo vasto e massivo riservato alla responsabile di piano, una donna anziana dagli occhi duri che se ne stava lì seduta tutto il giorno, impartendo ordini e scrutando i turisti, raggruppati in comitive. Sì, la Russia (URSS per l’esattezza) si poteva visitare, ma con viaggi organizzati. Comandava la trojka: Breznev, Kossighin, Podgornj. Alla sera si cenava in albergo, e non c’erano solo i turisti, anche la nomenklatura in contemplazione di se stessa. Massicci gli uomini, pienotte le donne. Gli uni, con vestiti dei grandi magazzini Gum, tutte le variazioni possibili fra il grigio scuro e il nero chiaro, camicia bianca e cravatta con il triangolone del nodo a scapino, ormai sparito in occidente. Le altre, con abiti neri, maestosi e dozzinali al tempo stesso, castano-bionde con pendagli alle orecchie. Su un palco, l’orchestra, che più tardi avrebbe accompagnato la cantante quarantenne con le romanze nostalgiche e tonanti. Fra i tavoli, sotto lo sguardo di capi occhiuti, frotte di camerieri portavano il cibo, più o meno uguale per tutti: carne di porco, broda, verdure scotte, specie cavoli. Abbondantissimo, la nomenklatura ne godeva visibilmente, noi turisti molto meno. Ci si nutriva, tutto qui, stanchissimi dopo i giri della giornata, pianificata all’estremo. Il porco, la broda e il cavolo mischiavano i loro odori, già molto simili, che salivano fumando dai grandi piatti di portata ancora mezzi pieni, che i camerieri avevano lasciato sui tavoli in nostra facoltà. Non ne approfittavamo, piuttosto guardavamo le varie gerarchie della nomenklatura, quelli più uguali degli altri li si riconosceva dalla centralità delle loro donne, che gogolianamente tenevano banco. L’acme dell’odore c’era quando cominciavano le grida commosse della musica e del canto, amori fra guerre, foreste e fiumi, questo sembrava di capire dalle vocali prolungate all’impossibile, dai vezzi delle formose mani ingioiellate, dagli applausi a piena palma degli alti burocrati, qua e là intervallati da ufficiali di Stato Maggiore, gli unici realmente eleganti. Un odore forte, duro, con una sgradevolezza obbligata a cui non restava che obbedire. L’odore di un potere che veniva da lontano, destinato a durare ancora per due decenni. Il mattino seguente, ad uno di noi sembrò di riconoscere dal pullman l’edificio della Università Lomonosov, ma durante la giornata in giro per Mosca ne vedemmo altri sette di edifici così, in scala diversa - dal grande all’immenso - ma tutti uguali, figli del medesimo progetto. La sera a teatro, le coreografie di Igor Moisseev, formidabile incontro fra folklore e classicità, natura e politica. Ma avevamo cenato in un beriozka -ristorante per turisti- per godercele meglio.
5 commenti:
Ho letto a fatica "Il dottor Zivago". Non mi è piaciuto per niente. Anche se conoscevo a menadito la storia tormentata del romanzo e del suo autore (che occupa molte pagine di "Senior Service", scritto dal figlio di Feltrinelli) tutto questo NON è servito a farmi amare il romanzo.
Il film l' ho visto, ma tutta quella balalaika mi aveva fatto diventare nevrastenico... Come il recente "Nightwatching" di Greenway... che volendo poteva essere un ottimo film se non c' era quella insopportabile colonna sonora fatta di due al massimo tre motivi che eternamente ritornano in tutto il film... :-(
Sì,Oyrad c'è pure la storia della balalaika, dall'inizio alla fine del film: da Zivago piccolo (l'attore si chiama Tarek Sharif, sta a vedere che fosse il figlio di Omar Sharif)che ricorda che la madre la suonava, alla figlia di Lara, che nella centrale idroelettrica cammina col moroso e balalaika a seguito, è lì finisce il film. Il messaggio è: la vita è una balalaika!
Riguardo a Greenaway, mi dispiace. Forse ha ragione Giuliano, che pensa che sia un grande talento che si spreca da solo.
Però robe belle ne ha fatte.
saludos, ci vediamo giovedì a Brera!
Solimano
Zivago l'ho letto tanti anni fa, assieme a tutti i russi (a diciott'anni queste cose si fanno, poi diventa dura).
Mi era piaciuto molto questo alternare poesia e prosa, che per me era una novità; e ancora adesso mi ricordo quei versi sull'erba che non si vede quando cresce, eppure un giorno la vedi, e prima non c'era...
E' per questo che mi sono sempre rifiutato di vedere il film!
Quanto a Bulgakov, è straordinario. Nessuno ha l'invenzione continua di Bulgakov.
Forse è per questo i film tratti da Bulgakov sono sempre deludenti, dal Cuore di cane di Lattuada (con Cochi ma senza Renato) al Maestro e Margherita con Tognazzi.
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