Al Massir, di Youssef Chahine (1997) Sceneggiatura di Youssef Chahine, Khaled Youssef Con Nour El Sherif, Laila Eloui, Mahmoud Hemida, Safia El Emari, Mohamed Mounir, Khaled Nabawy, Seif El Dine Musica: Yehia El Mougy, Kamal El Tawil Fotografia: Moshen Nasr (135 minuti) Rating IMDb: 7.3
Giuliano
Un musical sul filosofo Averroè: il cinema non finisce mai di stupire. Un film così esiste davvero, è un meraviglioso apologo contro l’ignoranza e l’intolleranza, ed è anche un bel film. Lo ha girato il regista egiziano Yussef Chahine nel 1997, e ne è protagonista un attore eccellente e molto piacevole nell’aspetto e nella recitazione, che a seconda dei momenti mi fa tornare in mente Philippe Noiret o Romolo Valli: il che non è poco, ne converrete.
L’azione comincia in Linguadoca, nel sec. XII, poi si trasferisce in Andalusia. Le prime immagini si riferiscono al rogo come eretico di Gérard Breuil, cristiano e amico di Averroè; poco prima di morire, a Carcassonne, l’uomo grida al figlio di andare via subito, per salvarsi. E infatti Joséph, figlio di Breuil, si trasferisce in Andalusia, dallo zio, e inizia a frequentare la casa di Averroè. Si mangia bene, a casa di Averroè: e ci si sta bene, al filosofo piace stare in compagnia, con la famiglia e gli ospiti, divertirsi, e vivere in pace. Joseph diventa Yussef, fa amicizia con arabi, cristiani, ebrei, gitani, e conosce altri due giovani come lui, i figli del califfo: Nasser e Abdallah. Al minore, Abdallah, piace ballare: e ciò è decisamente sconveniente per il figlio del califfo.
L’Andalusia arabo-spagnola dell’anno Mille è spesso ricordata come un angolo di paradiso in un’epoca oscura, dove tutte le fedi convivevano in pace e c’era posto per tutti; a guidarla era il califfo Al-Mansur (Almansor, detto alla spagnola), e qui ne incontriamo i discendenti. Averroè, oltre che medico, scienziato e filosofo, è anche giudice supremo, e come tale ha una frequenza quotidiana col califfo.
Ma, al punto in cui inizia la storia, anche nel califfato si sta insinuando il tarlo del fanatismo religioso: è la setta dello sceicco Riyat, che prende piede e che riesce a coinvolgere anche Abdallah, il figlio minore del califfo. Il califfo lì per lì se ne compiace: stai a vedere che quello smidollato di mio figlio diventa finalmente un uomo... Solo l’intraprendenza del gitano Marwan, che lo considera come un figlio, riuscirà a portar via Abdallah dal campo di addestramento dove si è cacciato; ma l’impresa gli costerà la vita in una vendetta successiva. Spero di aver reso bene l’idea: sono argomenti che conosco appena, e che ho imparato man mano seguendo il film e svolgendo qualche piccola ricerca. Nel film ci sono anche molte donne, e il loro ruolo è da protagoniste; se mi limito a questo accenno è solo per non complicare troppo il mio riassunto.
I libri sono i veri protagonisti del film. Per Averroè i libri sono più importanti della sua vita stessa: quelli di Aristotele soprattutto, al quale sono dedicati i suoi commenti più famosi, studiati per secoli anche nelle nostre università. Averroè è islamico e cita il Corano, ma la sua è piuttosto una religione del buon senso, più che di questo o di quel credo; e in questo modo diventa una religione universale, perché in tutto il mondo le persone di buon senso desiderano prima di ogni altra cosa di vivere in pace e in accordo col proprio prossimo. Il film inizia con un rogo e finisce con un rogo, meno cruento perché a bruciare sono i libri e soprattutto perché le copie dei libri sono già in salvo, in Egitto. Il califfo ha ripreso il controllo (dei figli, della sua testa, e dell’Andalusia), anche se non ha potuto evitare qualche provvedimento contro Averroè; e si è inventato un crudele contrappasso per lo sceicco integralista: visto che tiene tanto al combattimento, sarà lui a guidare la carica contro la cavalleria cristiana, così da incontrare finalmente la tante volte invocata morte in nome di Allah...
E’ notevole cogliere le somiglianze tra la setta dello sceicco Riyat e quello che siamo venuti a sapere su Al Qaeda (che nel 1997 non era ancora così famosa). Non so bene quali siano le fonti di Chahine, se abbia voluto lanciare un avvertimento o se davvero le cose andassero così già mille anni fa, ma l’addestramento dei seguaci dello sceicco avviene proprio come per i talebani dell’Afghanistan, per Al Qaeda e per i suoi kamikazen: per indottrinamento in campi sperduti nel deserto, e per sfinimento con marce, digiuni, eccetera.
La sequenza che più mi è rimasta in mente, e che trovo toccante, è quella di Joséph che cerca di porre in salvo i libri di Averroè ricopiandoli e portandoli in Francia di nascosto: ma il viaggio è lungo e pericoloso, quando il ragazzo arriva a destinazione scopre che i libri, caduti in acqua, sono ormai illeggibili. I libri del filosofo arabo-spagnolo si salveranno ugualmente, ma in Egitto: vi verranno portati dal figlio maggiore del califfo. E, tra le piccole curiosità, metto il cannocchiale con le lenti ad acqua (siamo nel 1100), che si vede a un’ora circa dall’inizio, e Averroè che fa dei lavori manuali, perché era abile anche nel costruire panieri o nel lavorare come tutti gli altri comuni mortali.
Della parte musicale, cospicua, e delle danze, non so cosa dire: a me sembrano canzoni di musica leggera, ma siamo proprio in un terreno che mi è estraneo, magari chi mi legge ne saprà qualcosa in più. Preferisco sorvolare e mettere in chiusura la parte finale della sentenza di Averroè, emessa come giudice supremo, relativa ai due giovani che già all’inizio avevano provato ad uccidere Marwan. Marwan, che ha una brutta ferita, viene salvato proprio dall’opera di Averroè come chirurgo; Averroè come giudice sosterrà che ai due giovani è stato fatto il lavaggio del cervello (anche se nel 1100 questa frase non esisteva, il concetto è chiaro e si riferisce all’oggi), e li fa assolvere. Purtroppo, però, questo non basterà.
« Alcuni giovani credono che la religione sia ignoranza; alcuni anziani fanno dell’ignoranza una religione. Poiché i giovani accusati si sono persi nell’eresia inconsapevolmente, potremmo anche dire che vi sono stati forzati senza che se ne siano resi conto. Ma l’islam nella sua grande equità si rifiuta di condannare colui la cui ragione sia stata sviata o annullata. La corte, nella sua clemenza, risparmia quindi a loro la pena capitale. »
giovedì 13 dicembre 2007
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5 commenti:
Il destino, di Yussef Chahine
L’unico mio incontro con Averroè, prima di questo film così piacevole, è stato un difficilissimo racconto di Jorge Luis Borges: ne riporto l’inizio.
La ricerca di Averroè
S'imaginant que la tragédie n'est autre chose que d'art de louer... [Ernest Renan: Averroès, 48 (1861)]
Abulgualid Mohammed Ibn-Ahmed Ibn-Mohammed Ibn-Rushd (un secolo avrebbe impiegato questo lungo nome a divenire Averroè, passando per Benraist e per Avernriz, per Aben-Rassed e Filius Rosadis) stendeva l'undicesimo capitolo dell'opera Tahafut-ul-Tahafut [Distruzione della distruzione] nel quale si afferma, contro l'asceta persiano Ghazali, autore di Tahafut-ul-Falasifa [Distruzione dei filosofi] che la divinità conosce solo le leggi generali dell'universo, quel che si riferisce alla specie, non all'individuo.
Scriveva con lenta sicurezza, da destra a sinistra; l'esercizio di formare sillogismi e di concatenare vasti paragrafi non gl'impediva di sentire con benessere la fresca e spaziosa casa che lo circondava. Il meriggio risuonava del roco tubare di amorose colombe; da un patio invisibile si levava il rumore d'una fontana; qualcosa nella carne di Averroè, i cui antenati venivano dai deserti d'Arabia, era grato al fluire dell'acqua.
In basso erano i giardini, l'orto; in basso, il Guadalquivir percorso da imbarcazioni e l'amata città di Cordova, non meno illustre di Bagdad o del Cairo, simile a un complesso e delicato strumento, e intorno (anche questo sentiva Averroè) si ampliava fino alle frontiere la terra di Spagna, nella quale sono poche cose, ma dove ciascuna sembra starvi in modo sostanziale ed eterno.
La penna scorreva sul foglio, gli argomenti si intrecciavano, irrefutabili, ma una lieve preoccupazione offuscò la felicità di Averroè. Non la causava il Tahafut, lavoro fortuito, ma un problema d'indole filologica, connesso con l'opera monumentale che lo avrebbe giustificato davanti al mondo : il commento di Aristotele. Questo greco, fonte di tutta la filosofia era stato dato agli uomini affinchè insegnasse loro tutto ciò che si può conoscere (...)
(Jorge Luis Borges, dal volume “L’Aleph”)
A me il film è piaciuto, un bello spaccato di quel periodo. Giulia
Giuliano, tu dici il buonsenso, ed hai ragione. Nei monoteismi é sempre a rischio, il buonsenso, perché i postulati (o assiomi?) di partenza contrastano il buonsenso: così il "Io sono il signore dio tuo non avrai altro dio fuori di me", così la scelta del "popolo eletto", così il sacrificio richiesta ad Abramo, il "non desiderare la donna d'altri" simigliante al "non desiderare la roba d'altri".
Si tratta di postulati maturati in ambiente nomade e conservati successivamente malgrado l'evidente arcaicità. La provvisoria salvezza è stata nell'incoerenza, ad esempio del cattolicesimo, che con i santi, ognuno con la sua specializzazione, ha inserito una dose di politeismo che fa da audit in genere benevolo. Ma il baco è sempre lì, magari latente ma presente. E con i laici non è che le cose vadano meglio, c'è sempre una "Dea Ragione" o nel migliore dei casi, la genealogia dei freudiani come discendenza analitica da Freud, a coprire ul vero obiettivo: dominare, senza dire che si domina, ma dicendo qualcos'altro che giustifichi il dominio. E i primi a pagare sono quelli che credono al buonsenso. Speriamo nell'incoerenza! Almeno finché non si decidano a chiamare col nome giusto quello che è all'origine dei monoteismi.
saludos
Solimano
A Yussef Chahine piacciono moltissimo le donne. Le donne dei suoi film sono vitalissime, prorompenti, forti, belle: al loro confronto i maschi sembrano sempre un po' delle patate lesse, con due eccezioni nel film: Averroè e Marwan, oltre che Joseph.
Le donne sono: la moglie di Averroè (moglie amatissima e solidale, nonché vera padrona della casa), la gitana Manuella, moglie di Marwan (per loro Abdallah è come un figlio, ma sarà proprio Abdallah a causare la morte di Marwan), più le ragazze, giovani, che oscillano tra l'amore di uno o dell'altro dei ragazzi.
Non ne ho parlato perché il film è già molto complicato di suo, ma sono tutte donne molto toste e determinate, un gran bel vedere - soprattutto in un film che viene da un paese islamico.
Giuliano, la natura provvede ad una strana compensazione: proprio nelle situazioni in cui le donne sono più sottomesse ed emarginate, scatta, quasi automaticamente, un meccanismo di compensazione generalmente inconsapevole. Nell'antichità, le donne più libere ed ascoltate furono quelle di Sparta, dove le leggi di Licurgo addirittura toglievano i bambini di sette anni alle madri perché vivessero nelle loro caserme e prendessero i pasti assieme. Eppure i mariti ed i figli di Sparta se ne sentivano dire di ogni tipo da mogli e madri, e generalmente obbedivano.
Col che non sostengo certo che certe cose vadano mantenute, penso proprio il contrario, dico soltanto che dove l'uomo pretende di imporre cultura (o sottocultura...) a natura, quest'ultima inevitabilmente si prende la giusta rivincita. Il guaio è che i pretacci di ogni tipo insistono in saecula saeculorum, hanno molto da nascondere, sotto quelle tonache.
Penso infine che il mestiere di Chaihne sia bello, difficile e pericoloso.
saludos
Solimano
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