mercoledì 12 dicembre 2007

I Vicerè


I Vicerè, di Roberto Faenza (2007) Dal romanzo di Federico De Roberto, Sceneggiatura di Roberto Faenza Con Lando Buzzanca, Alessandro Preziosi, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Biagio Pelligra, Lucia Bosè, Franco Branciaroli Musica di Paolo Buonvino Fotografia di Maurizio Calvesi (120 minuti) Rating IMDb: 7,1
Roby
Sabato pomeriggio, 8 dicembre. Un tempo da lupi. E -come un lupo in gabbia- il mio consorte si aggira per casa, nervoso forse per cause metereopatiche. "Basta!" sbotta alla fine "Ho bisogno di uscire: andiamo al cinema!". La scelta, dopo una breve scorsa al giornale, cade su I Vicerè, di cui tanto si è parlato sia come del nuovo Gattopardo, sia perchè tratto da un romanzo di De Roberto, censurato -dice il trailer- per cent'anni. In realtà, di questa censura pare non vi sia traccia: e quanto al paragone con Visconti, lo stesso Faenza se ne è opportunamente dissociato. Dell'interpretazione di Buzzanca come inflessibile pater familias ho letto un gran bene, e quindi confido di non restar delusa, mentre la presenza di Preziosi ex-Rivombrosa e della Capotondi ex-Orgoglio mi lascia un po' perplessa. Dunque, eccoci nella platea di un cinema sui viali, un tempo -ricordo- grande e bellissimo, ed oggi diviso in due sale così piccole che quasi mi sembra di essere ospite nel salotto altrui, davanti ad una TV 40 pollici: mi aspetto, da un momento all'altro, di veder comparire la padrona di casa con pasticcini e caffè... Lo schermo, intanto, si illumina, e la proiezione inizia.
Siamo subito trasportati nella Catania del 1850, accesa di sole e di passioni, per seguire l'educazione del dodicenne Consalvo Uzeda, rampollo di stirpe principesca, che il padre Giacomo alleva con studiata crudeltà ("E' l'odio che ci fa forti, non l'amore" spiegherà più tardi all'ultimo nipotino, che lo osserva tra lo scettico e l'intimorito), attenuata in parte dal tenero affetto della madre, destinata a morire ancor giovane, e dalla complicità della sorella minore, Teresa. Consalvo, secondo la visione distorta del superstiziosissimo signor padre, sarebbe responsabile della malasorte che affligge la famiglia, e per questo viene allontanato inviandolo in seminario, nel monastero dei benedettini dove già studia il cugino Giovannino. Consalvo, Giovannino e Teresa costituiscono la triade intorno a cui ruota la vicenda, nell'arco di quasi trent'anni, sotto lo sguardo spietato del principe, crudele demiurgo delle loro esistenze. Tutto intorno, si dipana la storia della nascita di una nazione, la nostra, e dei rivolgimenti politici che l'accompagnano, impressionanti per la loro attualità. «Scusate zio, perdonatemi. Voi siete di destra, no? Il Presidente del Consiglio non è di sinistra?», chiede Consalvo in visita -a Roma- allo zio Duca, divenuto deputato dopo l'unità d'Italia. «Consalvo mio, gli risponde questi, ma non ti hanno insegnato proprio niente a te! Destra, sinistra, oggi non significano più niente! Di questi tempi tutto cambia talmente velocemente che non possiamo più stare appresso alle etichette». Riflettendo sul fatto che queste parole sono state scritte da Federico De Roberto circa un secolo fa, c'è davvero poco da stare allegri! Eppure, nel film non mancano spunti più leggeri, ironici e talvolta grotteschi, come nel personaggio di Don Blasco, il monsignore gaudente e libertino che getta la tonaca per abbracciare la prosperosa sigaraia; o come nel ritratto dell'ossuta zia Lucrezia, innamorata persa dell'avvocaticchio Giulente, aspirante sindaco di umili natali. I due alfine si sposeranno (il principe Giacomo darà il sospirato consenso alle nozze della sorella dopo il cambiamento post-unitario, per il bene della famiglia minacciata dai socialisti), ma il matrimonio d'amore finirà, anni dopo, a insulti e schiaffoni.



Lo schermo torna a oscurarsi, le luci in sala (saletta!) si riaccendono. Nulla da eccepire, il film è bello, ben diretto, ben fotografato e misuratamente interpretato, soprattutto da Lando Buzzanca, ormai lontanissimo dalla figura di comico televisivo anni '70. Ancora un po' troppo legati alla partecipazione a fictions di successo restano invece Alessandro Preziosi (Consalvo) e Cristiana Capotondi (Teresa), l'uno sempre gradevole da ammirare per le signore, l'altra comunque meritevole di segnalazione per l'impegno profuso nel calarsi nella parte. Il tutto, però, rimane un tantino freddo, distante, quasi didascalico. Non a caso, all'uscita, leggo un avviso attaccato al vetro della cassa: "Gli insegnanti interessati a proiezioni scolastiche possono contattare il numero...". Ecco: è proprio ad una lezione di storia che mi pare di avere appena assistito, una bella lezione chiara, ampia e documentata. E se domani qualcuno m'interrogherà sulla materia, sono sicura: verrò promossa a pieni voti!

Ma la partecipazione emotiva, quella, è un'altra cosa.





8 commenti:

gabrilu ha detto...

Roby, non ho visto il film però ho letto il libro almeno tre o quattro volte in periodi diversi della vita e lo conosco praticamente a memoria. Tu parli di freddezza del film, ma anche il libro, pur bello ed accurato come ricostruzione storica di un certo periodo della storia siciliana, è molto freddo e non coinvolgente. Quelli che paragonano I Vicere a Il Gattopardo non sanno proprio di che parlano.
In quanto al fatto che il libro sarebbe stato censurato, so che questa supposta censura viene utilizzata nel battage pubblicitario... beh, io non ho mai trovato traccia, di questa censura. Al massimo si può dire che per molti anni, in particolare quando si era nel pieno del boom del Gattopardo, I Vicere non era molto venduto e letto e magari nelle librerie (nelle quali comunque c'è sempre stato) non era esposto proprio in prima fila o in vetrina ma su uno scaffale "fuori mano". Ma questo non certo per censura, e poi è cosa che capita ad un sacco di libri.
Sarei molto curiosa di conoscere l'origine di questa leggenda sui Vicere censurati....

Giuliano ha detto...

Cara Roby, qualcosa sui Vicerè la so dai tempi della scuola, ne devo anche aver letto qualche pagina; e quindi non sono così informato come Gabriella (ma essere informati come Gabriella non è mica facile !). Però mi sento di dire che sono allarmato di una proiezione nelle scuole, perché il timore è che alla fine passi solo il concetto che “destra o sinistra sono tutti uguali”.
Penso che non sia colpa nè di Faenza né di DeRoberto, ma è un po’ come accade col Gattopardo, del quale si sottolinea sempre la famosa frase “cambiare tutto perché nulla cambi”: così i due libri vengono trasformati in due manifesti del qualunquismo, il che a molti fa un gran piacere.
Capita a molti, anche ai più grandi: di Amleto, di tutto l’Amleto, a molti è rimasto in mente solo “Fragilità, il tuo nome è donna” (da dire sogghignando e sottintendendo) che in realtà è una frase che Amleto dice in un momento particolare e in un senso amaro, e drammaticissimo.
Idem per le due frasi del Gattopardo e dei Vicerè: sono due riflessioni dei protagonisti, che andrebbero riferite solo a loro e al contesto della situazione. Sarebbe quindi bellissimo avere degli insegnanti capaci di spiegare tutto questo, ma chi ci crede ancora? Alla fine passerà quel concetto lì, che “destra o sinistra fa lo stesso” e che “tanto, sono tutti uguali” – con buona pace di quelli che muoiono nelle fabbriche e nei cantieri e sulle strade per meno di mille euro al mese, e con contratti precari...
Ma è, come sempre, un discorso troppo lungo per farlo qui. Per I Vicerè di DeRoberto rimando a Gabriella, che ne ha già parlato sul suo Nonsoloproust, per Lando Buzzanca dubito molto che sia diventato un grande attore (ma se me lo dici tu posso avvicinarmi a crederlo), per la questione destra e sinistra riprendo una battutaccia di Luttazzi di qualche anno fa, quando Giorgio Gaber era ancora vivo:
“Quelli che si chiedono cos’è la destra e cos’è la sinistra, o sono di destra oppure hanno sposato Ombretta Colli.”
saludos
Giuliano

gabrilu ha detto...

Anche io sono molto scettica su Lando Buzzanca, ma chissà forse in un ruolo da padre padrone come mi pare sia questo può darsi che funzioni.
Cmq De Roberto fa un ritratto spietato di questa aristocrazia che appartiene al filone "spagnolo" della nobiltà siciliana. Lo fa talmente spietato che nel romanzo non c'è un solo personaggio --- dico veramente nemmeno uno -- che non si riveli prima o poi odioso o, nel migliore dei casi, grottesco. Al punto tale da risultare, alla fine, poco credibile. E' uno dei motivi per cui anche il libro risulta molto freddo e poco coinvolgente, il lettore o la lettrice non trovano nessun appiglio, nessun personaggio con il quale anche lontanamente identificarsi o per cui "tifare". Si respira in ogni pagina un'aria di grettezza, di avidità, di meschineria che alla fine risulta asfissiante.
Insomma secondo me De Roberto ha voluto strafare, ha calcato troppo la mano con il risultato di generare più scetticismo che partecipazione.
Ed ora giuro che non sproloquio più e magari andrò a vedere il film :-)

Gioacchino ha detto...

Ecco, lo sapevo, un altro film che non vedrò per ragioni puramente "letterarie". Con tutto il rispetto per Faenza, certi film tratti da romanzi o vengono benissimo o è meglio lasciarli stare in pace, magari invecchiare sotto la polvere. Perché a me "I Vicerè" (il romanzo) è piaciuto, e non starò qui a parlarne, ma vorrei dire quanto male faccia alla letteratura una visione acritica e astoricistica dei suoi contenuti. Per non parlare delle qualità squisitamente artistiche dell'opera. Qui non si parla di tradurre in film un best-seller o un romanzo di genere (giallo, horror, commedia, ecc.). la materia dei Vicerè, come i suoi personaggi e le sue atmosfere sono troppo complesse perché una riduzione (in senso letterale) cinematografica possa comprenderli. C'è una sapienza nell'intreccio dei vari ingredienti e un'atmosfera quasi surreale, grottesca, che veramente stento a immaginare le semplificazioni attuate nel film. Senza considerare la grande maestria di Visconti, "Il gattopardo" cosituiva una materia più semplice da trattare, più leggera. Non dimentichiamoci che tra i due romanzi intercorre un lasso di quasi 60 anni, un abisso per quell'epoca. A proposito di storicità...

Ciao,

Gioacchino

Gioacchino ha detto...

Per chi fosse interessato a una lettura combinata delle due opere, "I Vicerè" e "Il Gattopardo", segnalo questa breve recensione sul sito di Italialibri: http://www.italialibri.net/opere/vicere.html

mazapegul ha detto...

Questo e' l'altro film che ho visto quest'anno, assieme a Centochiodi. Ne sono uscito pensando di aver sprecato la mia occasione semestrale.
Si capisce dal film che i personaggi hanno avuto delle evoluzioni che li portano, per esempio, da una giovinezza "contro" alla maturita' "dentro" il sistema familistico-nobiliare, ma queste evoluzioni non vengono narrate: sappiamo che prima era cosi', dopo era cosa'.
Non e' un film brutto, ma neanche bello. In alcuni punti sembra che il film prenda una via marxista-economicistica, con le interessanti notizie sulle eredita' e sulla primogenitura, ma queste notazioni rimangono a margine.
La voglia di dire qualcosa di attuale fa si che il film, appena uscito, sembri gia' un po' datato.
Buzzanca ha il pregio notevole di dare al film un suo elemento particolare, una recitazione inaspettata, che impedisce alla pellicola di finire nel calderone dei film europei in costume dell'ultimo ventennio, che s'assomigliano un po' tutti.

Roby ha detto...

Su Buzzanca confermo il giudizio positivo (sottolineando però che NON SONO UNA "CRITICA"!!!). Il libro non l'ho letto, ma Gabrilù (CIAO!!) e Gioacchino (grazie per la segnalazione!!) mi hanno fatto venir voglia di comprarlo...
Condivido i dubbi di Giuliano sulle proiezioni scolastiche (mia figlia si annoia regolarmente a morte in tali occasioni) e saluto caramente Maz: consòlati, fra sei mesi andrà meglio!!!!

[:->>>]

ROBY

Solimano ha detto...

De "I vicerè" di De Roberto lessi una quaranrina di pagine, poi smisi, non ricordo perché. Forse il motivo fu quello che dice Gabtilu: l'assenza di un personaggio positivo su cui potersi appoggiare. Ma non è un motivo concettualmente valido, il personaggio positivo non è obbligatorio come non è obbligatorio il lieto fine. Solo che quando si legge si ha bisogno anche di distensione, se non può essere troppo dura. De Roberto mi sembrò uno scrittore notevole, aspro duro e lucido, forse troppo analitico. Ma avercene, con tanti romanzi mollaccioni per compiacenza. Va detto che i siciliani che scrivono (non pochi ad alto livello) sono tutt'altro che mollaccioni, e neppure tristi: vadono proprio nero nelle persone e nell'esistenza in generale. Però è un bel nero, sberluccicante, pieno di bellurie che ti distraggono, ma intanto il nero scava, vedasi il grande Gesualdo Bufalino.

saludos
Solimano