Giuliano
Dopo quelli già inseriti tempo fa, inserisco alcuni altri brani tratti da “Il potere del mito” di Joseph Campbell, ed. Guanda.
Ricordo che il libro è in realtà una conversazione, della quale esiste un filmato, tra Campbell e il giornalista Bill Moyers – che si svolge, guarda caso, allo Skywalker Ranch di George Lucas, in Texas.
(...) Per quanto le tradizioni mitiche differiscano, notava, esse sono concordi nel richiamarci a una consapevolezza più profonda dell'atto stesso del vivere. Il peccato imperdonabile, secondo Campbell, è quello dell'inconsapevolezza, del non essere all'erta, non completamente desti.
Non ho mai incontrato nessuno che sapesse raccontare meglio una storia. Ascoltandolo mentre parlava delle società primitive, venivo trasportato nelle ampie pianure, sotto l'immensa cupola del cielo aperto, o nella foresta più fitta, sotto una volta di alberi, e cominciavo a capire come la voce degli dèi parlasse attraverso il vento e il tuono, e lo spirito di Dio scorresse in ogni ruscello montano, e la terra intera risplendesse come un luogo sacro - il regno della immaginazione mitica. E domandai: «Ora che noi moderni abbiamo spogliato la terra dei suoi misteri e abbiamo fatto - secondo la descrizione di Saul Bellow - 'un ripulisti generale delle credenze', come potremo nutrire la nostra immaginazione? Possono bastare Hollywood e i telefilm?»
Campbell non era pessimista. Credeva nell'esistenza di un «punto di saggezza al di là dei conflitti di illusione e verità attraverso il quale le vite possono essere ricondotte all'unità originaria». Trovare quel punto «è il problema fondamentale del nostro tempo». Nei suoi ultimi anni si era impegnato in una nuova sintesi di scienza e spirito. «Il passaggio da una visione geocentrica a una visione eliocentrica», scrisse dopo il primo sbarco sulla luna, «sembrava aver rimosso l'uomo dal centro, e il centro sembrava così importante». Spiritualmente, comunque, il centro si trova là dove si trova la vista. Stare su una vetta e vedere l'orizzonte. Stare sulla luna e vedere il mondo intero che sorge persino - attraverso la televisione - nel salotto di casa tua. Il risultato è un'espansione senza precedenti dell'orizzonte, una cosa che potrebbe egregiamente servire ai nostri giorni, così come un tempo le antiche mitologie servirono a depurare i canali della percezione e prepararli «alla meraviglia ad un tempo affascinante e terribile di noi stessi e dell'universo».
Sosteneva che non è la scienza ad averci separati dalla divinità o ad aver diminuito la nostra umanità. Al contrario, le nuove scoperte della scienza «ci ricongiungono agli antichi», permettendoci di riconoscere nell'intero universo «un riflesso amplificato e ingrandito della nostra più recondita natura; così che noi diventiamo davvero le sue orecchie, i suoi occhi, il suo pensiero, la sua parola – o, in termini teologici, le orecchie, gli occhi, il pensiero e la Parola di Dio».
L'ultima volta che l'ho visto gli ho chiesto ancora credeva noi come aveva scritto una volta - «che in questo siamo partecipi di uno dei più grandi balzi in avanti dello spirito verso una conoscenza più completa non solo della natura che ci è esterna, ma anche del nostro più profondo, più intimo mistero». Egli ci pensò su un minuto, poi rispose: «Più che mai! » (...)
(pag.18)
(...)
B.M. - Quindi i nuovi miti saranno al servizio delle vecchie storie. Vedendo Guerre stellari mi venne in mente un passo di san Paolo: «Io combatto contro forze e poteri del nemico». Perfino nelle caverne del cacciatore dell'età della pietra troviamo scene di lotta contro forze e poteri nemici. La lotta continua anche nei moderni miti tecnologici.
J. C. - L'uomo vorrebbe dominare i poteri che sono al di fuori di lui e non esserne schiavo. Il problema è riuscirci.
B.M. - Alla dodicesima o tredicesima volta che mio figlio andava a vedere “Guerre stellari”, gli ho domandato perché quel film gli piacesse tanto. La sua risposta è stata: «Per lo stesso motivo che ha spinto te a leggere e rileggere l'Antico Testamento». Era entrato in un nuovo mito.
J. C. - In “Guerre stellari” è sicuramente presente una valida prospettiva mitologica. Il film mostra lo stato-macchina e pone la domanda: «Questa macchina sta per schiacciare l'umanità o è pronta a servirla?» L'umanità non viene dalla macchina, ma dal cuore. In Guerre stellari ritrovo il problema del Faust: Mefistofele, l'uomo macchina, può darci ogni cosa, arrivando a determinare anche le nostre aspirazioni. Ma la caratteristica che permette a Faust di salvarsi è che egli non segue le aspirazioni della macchina. Smascherando il padre, Luke Skywalker ne elimina il ruolo-macchina. Il padre era l'uniforme: il potere, il ruolo dello stato.
B.M. - Le macchine ci aiutano a realizzare l'idea di un mondo fatto a nostra immagine, un mondo che dipende dalla nostra volontà.
J. C. - Ma poi arriva il momento in cui la macchina inizia a dominarci. Ho comprato uno splendido computer e posso dire, visto che mi intendo di dèi, che mi ricorda un dio dell'Antico Testamento: esigente e privo di misericordia.
B.M. - I computer mi fanno venire in mente una storia suggestiva sul Presidente Eisenhower.
J. C. - Eísenhower entrò in una stanza piena di computer e pose alle macchine la domanda: «Esiste un Dio?» I computer si misero tutti al lavoro, le luci lampeggiarono, e dopo un po' una voce disse: «Ora c'è».
B.M. - Quindi, di fronte al computer, non possiamo adottare lo stesso atteggiamento del patriarca che disse che tutte le cose parlano di Dio? Ma se non rappresenta una rivelazione speciale, privilegiata, Dio è ovunque, anche nei computer.
J. C. - Hai mai guardato dentro uno di questi computer? È qualcosa di incredibile: un'intera gerarchia di angeli, tutti su quelle piccole lamine. E quei tubicini: un vero miracolo! Il computer mi ha rivelato qualcosa della mitologia. Se comperi un programma di un certo tipo, avrai un insieme di segnali finalizzati al raggiungimento del tuo obiettivo; ma se perdi tempo con i segnali di un altro programma, non combinerai nulla. Con il mito accade la stessa cosa: in una mitologia dove la metafora del mistero è quella del padre, ti troverai di fronte a un gruppo di segnali differenti da quelli che avresti se la metafora del mistero e della saggezza del mondo fosse quella della madre. In entrambi i casi si tratta di metafore appropriate. Di metafore e non di fatti concreti.(...)
(pag.42)
(...)
J. C. - Esistono entrambi i tipi di eroe, quello che sceglie di intraprendere il viaggio e quello che non lo sceglie. Nel primo tipo di avventura, l'eroe si assume la responsabilità e sceglie intenzionalmente di compiere l'impresa. Ad esempio, Atena disse a Telemaco, figlio di Ulisse: «Vai e trova tuo padre». Per il giovane, la ricerca del padre è l'avventura eroica più grande: l’avventura in cui si trova la propria carriera, la propria natura, la propria origine. E la si intraprende intenzionalmente. Oppure c'è la leggenda della dea sumera del cielo, Inanna, che discese nel mondo infero e affrontò la morte per riportare alla vita il suo amato. Poi ci sono le avventure in mezzo alle quali ci si trova, ad esempio quando si è di leva nell'esercito. Non ne avevi intenzione, ma adesso ci sei dentro. Sei passato attraverso la morte e la resurrezione, hai indossato un'uniforme, sei diventato un’altra creatura. Un tipo di eroe che appare spesso nei miti celtici è il principe cacciatore, che ha seguito il richiamo di un cervo fino a un punto della foresta dove non si era mai avventurato prima. Qui l'animale comincia a trasformarsi e diventa la Regina delle Colline del Regno delle Fate o qualcosa del genere. In questo caso si tratta di un'avventura in cui l'eroe non ha idea di cosa gli stia capitando, ma si trova improvvisamente in un mondo trasformato.
B.M. - L'avventuriero che intraprende questo tipo di viaggio è tin eroe in senso mitologico?
J.C. - Sì, perché è sempre pronto a intraprenderlo. In queste storie, l'eroe è pronto per l'avventura che poi compirà. L'avventura è una manifestazione simbolica del suo carattere. Anche il paesaggio e lo scenario in cui si svolge l'azione accompagnano la sua disponibilità.
B.M. - In “Guerre stellari” di George Lucas, Han Solo, che all'inizio è un mercenario, finisce per diventare un eroe, arrivando a salvare Luke Skywalker.
J.C. - Sì, Han Solo compie il gesto eroico di sacrificare se stesso per un altro.
B.M. - Pensi che un eroe nasca dal senso di colpa? Solo si sentiva in colpa perché aveva abbandonato Skywalker?
J. C. - Dipende da quale sistema di idee si ha intenzione di adottare. Han Solo era un tipo molto pratico, un materialista, o per lo meno lo pensava. Ma allo stesso tempo era un essere umano capace di provare compassione, anche se questo non lo sapeva. L'avventura fa emergere una qualità del suo carattere che non sapeva di possedere.
B.M. - Allora in ognuno di noi si nasconde, a nostra insaputa, un eroe?
J.C. - La nostra vita rivela il nostro carattere. Man mano che la vita procede, scopriamo sempre più cose su noi stessi. Per questo è un bene andare alla ricerca di situazioni in grado di far emergere la nostra natura più nobile, piuttosto che la più bassa (...)
(pag.160)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
Giuliano, ho letto con attenzione i brani di Campbell che hai portato e dico, fra il tanto valore aggiunto, una cosa in cui non sono d'accordo.
Non concordo con un sotteso mettersi a lutto perché ci sono le macchine, una cosa che richiama qullo che di disse Vico alcuni secoli fa, con la potenza poetica che attribuiva ai primitivi.
A suo modo Vico aveva ragione, a differenza del nefasto Rousseau, solo che si tratta di capire come è fatto il magnfico gioco: più ampli l'area di ciò che conosci più individui nuove aree che non conosci, per affrontare le quali l'arma acerba ma potente del mito è essenziale. Se, e solo se, si tratta di un mito non retrogrado, quindi falso e pericoloso (e nella storia del Novecento si è visto eccome). Per cui, il cielo non è vuoto, ma pieno di vuoto.
Nel cinema, e non certo solo in Guerre Stellari, si vedono ogni tanto i miti in azione, sia quelli falsi che quelli veri. Kubrick è ad esempio un grande mitografo in 2001 Odissea nello spazio e in Arancia meccanica. Kurosawa lo è in Sogni. E i tuoi Herzog, Tarkovskij, Wenders. Il Mahabharata, mito antichissimo però ancora fecondo. Il meglio è quando alla giusta demolizione dei miti farlocchi, scaduti di garanzia, spesso pericolosi si collega il cammino versi miti nuovi: succede ad Altman e a Peckinpah (tacciato di nichilismo!).
Ma quello che mi ingolosisce di più è la creazione di miti nuovi nel campo dell'amore: sta succedendo, meno di quello che potrebbe e dovrebbe, perché scalzare i vecchi miti, specie quelli tardo-tardo-tardo romantici arrugginiti però con vernici fresche sopra, è molto difficile, però Leigh, Jaoui, anche il nostro Olmi lavorano seriamente in quella direzione. Ma basterebbe riflettere sui personaggi di Tati, di Buster Keaton, dei fratelli Marx (l'assenza di Chaplin è voluta) per vedere miti di decenni fa freschi di giornata: cosa sono Hulot ed Harpo (anche Groucho) se non miti in azione? Li hai usati opportunamente in due tuoi post, e non li hai usati per metafora. E per Don Chisciotte (e Sancio Panza, mi raccomando), il ragionamento è lo stesso. Anche Welles aveva in sé questa forza mitica, perfino ne L'infernale Quinlan. Purché non ce la si prenda con le macchine, che sono solo uno strumento spesso utile: è comodo, prendersela con le macchine, quando in ballo ci sono soltanto le menzogne pertinaci che gli uomini continuano a raccontare a se stessi ed agli altri.
saludos
Solimano
Questi brani che ho ritagliato non sono certo la parte migliore e più interessante di Campbell: ho solo scelto le parti del libro che riguardavano il cinema, e fuori dal loro contesto possono sembrare strane.
Insomma, il mio è un invito alla lettura del libro, per chi vuole approfondire.
Quanto alle macchine, caro Solimano, lì per lì mi è tornato alla mente "Erewhon" di Samuel Butler: io direi che da qualche parte, qui o da Habanera, sarebbe bello riprenderlo...
saludos
Giuliano
PS: non sono un fan di Guerre Stellari: è divertente da vedere, ma è anche un bel collage di cose prese qua e là, come spiega bene Campbell, non solo dalla mitologia ma anche da Carl Gustav Jung, e da tante altre cose ancora. Il mio divertimento maggiore, a suo tempo, è stato quello di andare a cercare da dove era stato preso e da dove era stato preso quello...
Ci sono anche dei risvolti divertenti, per esempio: da dove viene Chewbacca??
(secondo me, è una via di mezzo tra KingKong, Pippo di Walt Disney, l'orso di pezza, Cita, e chissà cos'altro ancora...)
Posta un commento