Youth Without Youth, di Francis Ford Coppola (2007) Da un racconto di Mircea Eliade, Sceneggiatura di Francis Ford Coppola Con Tim Roth, Alexandra Maria Lara, Bruno Ganz, André Hennicke, Marcel Iures, Adrian Pintea, Alexandra Pirici, Zoltan Butuc, Adriana Titieni Musica: Osvaldo Golijov, Fotografia: Mihai Malamaire Jr. (124 minuti) Rating IMDb: 8.1
Giuliano
Prima di tutto, è un bel film: Coppola è in gran forma, è l’uomo che ci ha dato “Apocalypse Now” e “Il padrino”, non si è certo dimenticato il mestiere e questo è un film da grande schermo, non una storietta come tante. Come seconda cosa, questo è un film che raccomando agli amanti del paranormale, e di tutte quelle storie che parlano dell’aldilà: la seconda parte è tutta dedicata al tema, ed è roba seria, una storia d’amore commovente e spettacolare. Come terzo motivo per vedere il film, metterei d’istinto Bruno Ganz, un attore che vedo sempre molto volentieri e per il quale (non credo di essere l’unico) nutro un vero e proprio affetto. Qui è un serissimo dottore, il medico che si prende cura del protagonista all’inizio del film, e che lo aiuta molto. Si potrebbe aggiungere ancora qualcosa sulla meraviglia delle immagini: Coppola tira fuori dal cappello del mago, per fare solo un piccolo esempio, un meraviglioso colore da anni ’50 per l’episodio indiano, sembra quasi un filmato d’epoca, un film vero e non una ricostruzione. E poco dopo l’inizio c’è una sequenza di buio totale. Buio al cinema: da quanto tempo non mi capitava? Il buio è una delle cose più antitelevisive che si possano immaginare, ma al cinema rende benissimo, ed è di grande effetto.
A questo punto, messe le cose in chiaro e tirate le orecchie ai critici distratti (non gliene faccio una colpa, andare al cinema quando non si ha voglia dev’essere terribile, soprattutto per la signora Tornabuoni), posso passare al tema vero del film, e cioè il romanzo di Mircea Eliade che tratta del ringiovanimento improvviso di un uomo di settant’anni. Il film è costruito come un thriller, con grande attenzione alla ricostruzione storica: dal 1938, con i nazisti interessatissimi al caso (i rapporti tra il nazismo e il paranormale sono ben accertati, e quindi la situazione è più che verosimile ), fino a metà anni ’50, a Malta, ormai a guerra finita e dopo Hiroshima.
Ha molte analogie con il racconto di Borges “Il miracolo segreto” (in “Finzioni”), dove il tempo si ferma davanti al condannato a morte nell’attimo in cui il plotone d’esecuzione sta per sparare: il tempo si ferma solo per lui, per un attimo, permettendogli di portare a termine il suo poema.
Mircea Eliade, rumeno, 1907-1986, è stato un grande storico delle religioni. Non pensiate che nel film si dicano delle cose a caso come capita di solito: è un piccolo corso di storia delle religioni, e di uomini che conoscono cinese, sanscrito, ebraico, aramaico, sumero e babilonese ne esistono veramente. ( Claudio Abbado in un’intervista ricordava suo nonno, che ogni anno per tenere in esercizio la memoria imparava una nuova lingua, possibilmente antica.)
Ho letto poco di Eliade, ho letto invece molto del suo amico e collega Elemire Zolla negli anni passati (una passione nata intorno ai miei trent’anni: se vi piacciono questi temi, di Zolla vi consiglio soprattutto “Aure” e “Archetipi”, due libri scritti meravigliosamente). Eliade si diverte a mettere nel suo romanzo due persone vere: Giuseppe Tucci e il suo assistente Blasi. Giuseppe Tucci, romano, 1894-1984, è stato uno dei massimi orientalisti mondiali. Ha lasciato molti libri, e di lui parla molto anche Fosco Maraini, che fu suo assistente e fotografo in viaggi avventurosi in Nepal, Tibet, Himalaya e India.
Su Repubblica ho trovato l’incipit del romanzo: leggete bene la descrizione. Questo non è un fulmine, è qualcosa di diverso:
Solo quando udì la campana della cattedrale della Mitropolie si ricordò che era la notte di Pasqua. E all'improvviso la pioggia, quella pioggia che l'aveva accolto quando era uscito dalla stazione e che minacciava di diventare torrenziale, gli parve anomala. Procedeva a passo svelto, al riparo dell'ombrello, le spalle curve, lo sguardo a terra, cercando di scansare i rivoli d'acqua. Senza rendersene conto si mise a correre, tenendo l'ombrello vicino al petto, come uno scudo. Ma dopo una ventina di metri dovette fermarsi al semaforo rosso. Aspettava nervoso, saltellando, alzandosi sulle punte dei piedi, cambiando continuamente posto, guardando costernato le pozzanghere che coprivano buona parte del boulevard. L’occhio rosso si spense, e un attimo dopo un’esplosione di luce bianca, incandescente, lo scosse con violenza e lo accecò. Si sentì come se un ciclone infuocato si fosse incomprensibilmente scatenato proprio alla sommità della sua testa e lo stesse risucchiando.
«È caduto un fulmine vicino» si disse battendo penosamente gli occhi nel tentativo di scollare le palpebre. Non capiva perché stringesse con tanta forza il manico dell'ombrello. La pioggia lo percuoteva furiosa, da ogni parte, e tuttavia non sentiva niente.
Allora udì di nuovo la campana della Mitropolie, e quelle di tutte le altre chiese e, vicinissimo a lui, il suono di un'altra, solitaria, disperata. «Che spavento!» pensò, e prese a tremare. «È a causa dell'acqua» realizzò alcuni istanti più tardi accorgendosi di giacere steso per terra, nella pozza accanto al ciglio del marciapiede. «Il freddo mi è entrato fin nelle ossa...».
«Ho visto quando il fulmine lo ha colpito» sentì una voce affannosa, una voce d'uomo spaventato. «Non so se è ancora vivo. Stavo guardando giusto in quella direzione, era sotto il semaforo e l'ho visto prendere fuoco dalla testa ai piedi, e, nello stesso istante, il suo ombrello, il suo cappello e i suoi vestiti hanno cominciato a bruciare. Se non fosse stato per la pioggia, sarebbe arso come una torcia...non so se è ancora vivo» ripeté. «E anche se è vivo, che cosa ne dobbiamo fare?». Era una voce lontana, stanca e, gli parve, amara. «Chissà di quale colpa si sarà macchiato se Dio l'ha folgorato nella notte di Pasqua, e proprio dietro la chiesa!» e dopo una pausa aggiunse: «Vediamo che cosa ne pensa il medico di turno». (...)
(Mircea Eliade, Un’altra giovinezza, editore Rizzoli)
Non è un fulmine, dicevo: è un fuoco che non consuma. E’ qualcosa di simile al fuoco dionisiaco, o al roveto ardente, o – se proprio si vuole esagerare – al Paracleto. Ma qui non siamo in ambito propriamente cristiano, è Shiva che si chiama in causa, anche nel corso del film. Shiva ha due volti: distruttore violento, ma anche creatore e ricostruttore. I due volti non sono in contraddizione tra di loro, esistono contemporaneamente. Shiva appare spesso rappresentato col volto come bruciato, fumante.
Ma qui mi fermo, l’argomento è troppo difficile per me, e poi il film è nuovo ed è ancora nelle sale; non vorrei raccontarne troppo per non togliere il piacere di vederlo (si tratta di un vero divertimento, un film così inventivo non lo vedevo da molto tempo, forse dal matematico di “A beautiful mind”, che ha dei tratti simili però era molto meno limpido di questa visione del vecchio maestro Coppola). Metto solo ancora una parola per il protagonista Tim Roth e per Alexandra Maria Lara, un’attrice molto giovane e molto brava della quale spero di sentire ancora parlare a lungo.
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3 commenti:
Grazie, Giuliano!
So per certo che leggerò Un'altra giovinezza.
Ovviamente vedrò il film che hai postato.
La dico tutta? Quei tuoi Zolla. Me li andrò a cercare.
Un caro saluto
Laura
Grazie Laura! Aspetto la tua opinione (il film è bello, ma ognuno ha i suoi gusti e non vorrei che mi arrivasse qualche accidente...).
Quanto a Zolla, l'ho letto volentieri per tanti anni perché era un'enciclopedia vivente. Ci sono in giro tanti idioti in questi campi, leggere Zolla mi ha aiutato a schivarli.
Giuliano, da anni sto lontano da Elemire Zolla, perché evito quello che possa mettere in discussione il riduzionismo che ho faticosamente conquistato e che mi gratifica molto. Ciò detto, sì, Zolla scrive in un modo meraviglioso, un suo brano l'ho addirittura inserito nel mio Bel Momento dedicato all'Albero di Lucignano, una meraviglia a molti sconosciuta. Zolla parla proprio dell'aura che ha sentito di fronte a quell'enorme gioiello alto due metri, in quel paese a triplice cinta muraria e in cui per arrivare in centro non c'è una strada diretta, ma ci si gira intorno quasi a spirale. E amo molto il Borges di quel racconto che tu citi, e Fosco Maraini lo trovo un venturiero spirituale che ha messo in pratica di vita avventurosa le sue fantasie, e che ha scritto pagine bellissime. Uno anche generoso di sé verso gli altri. Tutto per dire che il film lo vedrò, ma la spinta di fondo è che c'è una storia d'amore, ed a me le storie d'amore, quelle che stanno in piedi e non mentono (che sono poche) piacciono moltissimo, mi ci trovo dentro. Su un tema del genere, a me è piaciuto per tanti motivi "La doppia vita di Veronica" di Kiezlowski. Dimenticavo quel grande rompiscatole di Mircea Eliade, di cui ho letto tanto ai tempi dello yoga. Perché è così, Giuliano, si cambia, nella vita, non per cancellare le esperienze, ma per farle nostre meglio. Riguardo lo studio delle lingue, e quello che dice Abbado, successe che Tolstoj un giorno leggesse che c'era una magnifica traduzione dei Vangeli in olandese, e si mise a studiare l'olandese. Aveva ottant'anni.
saludos companero
Solimano
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