Solimano
Come tanti altri (sempre troppo pochi, comunque), mi accorsi di Gadda nel 1957, col successo del Pasticciaccio. Allora cominciò il mio lungo amore che dura tuttora, cinquant'anni dopo. Non mi piacque tutto subito, c'era troppa differenza con le mie abituali letture, ma per quello che mi piacque non ci sono aggettivi all'altezza. Una esperienza unica, semplicemente unica, che si è ampliata e forse affinata in questi decenni. Dico solo che sono fierissimo di avere messo nei pochi siti consigliati di "Abbracci e pop corn" il sito Journal of Gadda Studies che sta ad Edinburgo ed è quanto di meglio ci sia su Carlo Emilio Gadda in rete: testi, critiche, studi, interrelazioni, di tutto. Non preoccupatevi, per tre quarti il sito è in italiano.
Nel 1959 uscì il film "Un maledetto imbroglio" di Pietro Germi. Andai a vederlo e ne uscii indignato come se fosse una bestemmia contro il nome di Gadda, da me fatto sacro. Così ho pensato per anni e anni, avendocela su con Germi ed apprezzando - con diversi però - certi film che tutti conoscono, come Divorzio all'italiana e Sedotta e abbandonata. Solo che avevo torto marcio, e me ne sono accorto di recente.
E' completamente sbagliato istituire un confronto fra libro e film: ci possono essere degli splendidi film tratti da piccoli libri (Jules et Jim di Truffaut ne è un esempio) e dei pessimi film tratti da capolavori (e gli esempi sarebbero tanti, ma lasciamo perdere), ci possono infine essere dei film che con intelligenza sviluppano in modo diverso dei temi tratti da un'opera letteraria, con una infedeltà apparente ed una fedeltà di fondo (è il caso di Un cuore in inverno di Sautet tratto da Lermontov). In ogni caso, il film va visto iuxta propria principia, a prescindere dall'opera da cui è tratto, perché con i confronti non si va da nessuna parte.
Così mi sono incuriosito, ed ho voluto rivedere "Un maledetto imbroglio" di Germi, e mi sono accorto che è uno splendido film noir, come direbbero i cinefili. Avete presente Grisbi o Rififi? Questo è su un altro piano, perché meno divistico e più vero. Anzitutto, non è un film romanesco ma è un film romano, e la c'è la differenza. La Roma degli uffici, dei borghesoni del Palazzo degli Ori di via Merulana, delle ragazze di campagna che andavano a fare le serve nelle famiglie ricche, divise fra farsi la dote per sposare il compaesano o farsi i soldi andando a letto con chi i soldi ce li aveva, ad esempio il marito della padrona. Con preti pronti a consolare e pronti a raccattare testamenti vendicativi verso il parentado: lascio tutto alla chiesa era come dire non lascio niente alla mia zozza famiglia. Con i ragazzotti che scoprivano che le turiste straniere anzianotte potevano essere generose, se opportunamente titillate, ed altri che scoprivano l'esistenza di solitari commendatori Anzaloni, imbrillantinati, con la reticella la notte per non scompigliarsi i capelli, sempre in vestaglia, e che si facevano portare in casa i pacchetti di cibarie dai garzoni del quartiere. Timorosi di tutto, non di sedersi al tavolino dei bar pieni di flipper, dove i ragazzotti stavano tutto il giorno.
Con le pianificate carriere degli statali, il non laureato che si spacciava per laureato, aprendo lo studio con il nome di un laureato di paglia che la laurea ce l'aveva, ma niente altro. Le soffiate dei poliziotti ai cronisti, che però non dovevano rompere se l'indagine stagnava. La Roma del secondo dopoguerra, ancora fascista in tante famiglie, ma ancora più indietro, la Roma umbertina, ancora di più, la Roma papalina, er Zanto Padre innanzitutto, gli altri son tutti impiegati. Una Roma in bianco e nero, squallida ed affascinante, pronta a singhiozzi convulsi ed a risate omeriche. E le donne peggio e meglio degli uomini, furbe, critiche, gastronome, chiacchierone, ma in certe cose taciturne con madre, sorelle, soprattutto marito. In questo mondo falso ma che ti coinvolge - tu lo voglia o no - perché è inclusivo (la raccomandazione deriva dal bel verbo raccomandare) opera il commissario Ingravallo, con la faccia ossuta, ostinata, riservata e penetrante di Pietro Germi, spesso ripreso di spalle, perché è dalla parte di noi spettatori, che giudichiamo e vogliamo farci una idea di quello che succede. Deve dipanare due casi: un furto di gioielli ed un efferato assassinio. Ingravallo un po' per caso un po' perché è capace - sa quando tacere e quando parlare - ci riesce infine, e tutto è risolto. Durante il percorso delle indagini incontra altri fatti non penalmente perseguibili, ma moralmente persino peggiori del furto e dell'assassinio, perché esercitati da gente che vive di rispettabilità.
Il momento in cui Ingravallo schiaffeggia Valdarena (Franco Fabrizi) e Banducci (Claudio Gora) è la vera morale del film. Perché il controllato commissario sbotta in quel modo? Perché lo sa che il ladro e l'assassino sono altri, questi due non c'entrano, ma quel paio di schiaffi sono un giudizio morale su come sono brutti dentro. Lo sguardo stupito e vergognoso dei due è una idea felicissima, perché lo sanno come sono brutti e che meriterebbero ben altro che due ceffoni. Poi si ride e si sorride anche, in questo film, convinti, amaramente però. Un mondo cinico e sentimentale in cui il tenue macchiettismo è solo un belletto che non nasconde la faccia. E qui torno a Gadda, dopo aver fatto il giro lungo. Per me Germi ha capito Gadda più di quel che voleva far credere (o che credesse lui stesso), e gli ottimi sceneggiatori De Concini e Giannetti gli hanno dato una buona mano. Lo si vede dalle facce, verissime una per una, quelle delle serve Assuntina e Virginia, della Camilla e della Zamira, quelle dei ladruncoli/assassini Retalli e Lanciani, dei casigliani del Palazzo degli Ori, dei poliziotti con un Saro Urzì sbalorditivo. Tutte facce da Gadda, ci avrebbe messo il timbro sopra l'esimio ingegnere. Le donne poi: la Cardinale, la Gaioni, la Rossi Drago, col bianco e nero che le rende morbide, soffici ed oscure.
I cinefili facciano tutte le classifiche di generi che credono, questo è un film che fa venir voglia di andare alla stazione e prendere il primo treno per andare in quel posto meraviglioso, bigotto e sfacciato, cinico ma di sentimento, in cui un secondo cugino conta più di un amico, e la moglie sa dell'amante, ma sa anche che può stare tranquilla, un mondo danaroso e strapelato: Roma, che ne ha viste tante e che esiste sicuramente ancora, compresa la campagna romana dove opera la Zamira, di facciata sarta, di mestiere vero lasciamo perdere, però in un modo o nell'altro le ragazze che passano da lei una sistemazione la trovano, Roma è grande! E Alida Chelli all'inizio, cantando "Sinnò me moro", ci mette subito in medias res, ne usciamo solo due ore dopo, contenti di esserci stati.
2 commenti:
Sono d'accordo, per apprezzare il film bisogna dimenticarsi di Gadda, almeno in prima battuta.
Chissà se Germi lo prenderebbe come un complimento...
A me Germi sembra troppo elegante e distaccato per somigliare davvero ad Ingravallo, però potrebbe essere una mia impressione del tutto personale (si sa che sui personaggi dei libri ognuno fantastica a modo suo).
Ho letto anche la locandina, e fra gli interpreti ci sono alcuni nomi e cognomi che sembrano venire dal Serruchon e dintorni: Ildebrando Santafe, per esempio. Esisterà davvero o se lo sarà inventato Gadda in persona?
(però io nel 1957 non c'ero...)
Giuliano, la sceneggiatura del film è scritta da Germi, De Concini e Giannetti, che non erano dei signori nessuno, ed è molto abile, perché si capisce che conoscono bene il testo del Pasticciaccio, ma lo usano non direttamente, ma come spunto sotterraneo in tante scene del film. Una scelta impeccabile. Quindi, non occorre dimenticarsi di Gadda - sarebbe impossibile - ma gustarsi il film come a sé stante, e solo dopo stabilire dei raccordi. Germi non si è fatto indebolire dalla grandezza del testo, ma non ne ha fatto neppure un bigino fuorviante. Una operazione difficile che a mio avviso gli è riuscita. Come poi sia Ingravallo nel Pasticciaccio, mbah! è uno strano incontro fra il personaggio che voleva fare Gadda ed il privato di Gadda, che conosciamo: il meglio è nell'Ingravallo molisano con un carattere forte ed esperto degli uomini - e delle donne, quello che Gadda avrebbe voluto essere e non era.
Germi non lo vedo elegante e distaccato, lo vedo accorto e disilluso, però con una forte componente etica: esprime bene una rabbiosa pietà verso Assuntina che ha sposato l'assassino sapendo che lo era perchè era incinta.
Ildebrando Santafe l'ho visto solo qui, ed è molto bravo: fa il commendator Anzaloni, quello che in casa è sempre in vestaglia e va a sedersi nei bar dei flipper dove ci sono i ragazzotti, e lo fa benissimo, i suoi duetti con il viriloide Saro Urzì sono divertenti più ancora per gli sguardi che per le parole.
Tu nel 1957 non c'eri? Pensa cosa ti sei perso...
saludos
Solimano
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