Giuliano
Che il fenomeno della pirateria informatica, non solo il cinema e le canzoni ma un po’ tutto, sia un fenomeno serio, lo sappiamo tutti. A noi sembra una cosa da poco comperare una cosa copiata o duplicare eccetera, e invece dietro ci sono interessi grandi, e anche gente che rischia il posto di lavoro. Lo sappiamo tutti, e il concetto viene ripetuto spesso anche con campagne meritorie.
Lo sappiamo tutti, e siamo tutti d’accordo; ma siccome le troppe certezze rovinano la nostra intelligenza, e siccome è bene non nascondersi ciò che ci disturba, un po’ di cose che fanno pensare ci sono e provo a portarle qui, in due puntate. Comincio da un’intervista a Geraldine Chaplin, da “La Repubblica” del 20 maggio scorso:
(...) - L'America è il paese che ha cacciato suo padre, lo ha calunniato e offeso.
«Quando papà tornò la prima volta negli Stati Uniti per l'Oscar alla carriera, gli diedero un visto valido per un solo viaggio. Al ritorno ci disse: "Hanno ancora paura di me". Oggi in America soltanto le università studiano il cinema di Charlot, insieme alla Gran Bretagna è il paese che meno coltiva il ricordo di mio padre. La cosa bizzarra è che è amatissimo in Sudamerica e negli stati in cui è più diffusa la pirateria. Qualche anno fa stavo girando in Turchia, in un paese remoto, arcaico, dove in strada c'erano solo uomini. Quando rientravo in albergo da sola ero sempre un po' timorosa e una sera vedo avvicinarsi un gruppetto di ragazzi, di quelli che in branco diventano animali feroci. Ero terrorizzata. Invece volevano solo parlarmi di papà, imitavano i gesti, il modo di camminare, conoscevano i film, avevano le copie pirata».
Per questo è grata alla Cineteca di Bologna e all'impegno nel restauro accurato dei film «anche perché è un lavoro difficilissimo, il montaggio dei film era sempre molto travagliato, ci sono pezzi di tagli sparsi un po' ovunque. Andrò a Bologna prima della fine della rassegna, almeno per dire grazie».
(...) da la Repubblica, 20 maggio 2007
Geraldine Chaplin in Nashville (1975)
La seconda considerazione la copio e incollo da un mio post su “Il mondo” di Jia Zhang-ke:
(...) Jia dice che i film con cui è cresciuto non parlavano mai della vita reale; e la vita reale è questa, le fanciulline coi telefonini e le morti sul lavoro, anche in Cina 2004. Dice cose molto belle, che ne dimostrano la preparazione e la personalità. Dice che alla scuola di cinema erano tutti figli di registi, e che per questo lui l’ha abbandonata presto e crede così tanto nel cinema indipendente. Dice di aver girato i suoi film in maniera “illegale”, clandestini o quasi; che sono stati girati in dvd e poi riversati su 35mm; che gli fa piacere che i suoi film, mai distribuiti ufficialmente, circolino con ogni mezzo, comprese le copie pirata. Dice anche, ed è importante, che oggi il digitale costringe a rivedere l’estetica del cinema, a ripensare tutto, dalle luci alla recitazione, e che è un passaggio come quello dal muto al sonoro, o dal bianco e nero al colore.
La terza considerazione mi viene da un regista che non conosco, che si chiama Mahamat Saleh Haroun e viene dal Ciad: è un piccolo accenno preso da Repubblica del 13.4.2007. Il regista africano dice che al suo paese le sale cinematografiche non esistono, e i film si vedono solo in dvd e videocassette, il più delle volte copiati illegalmente. Come Jia il cinese, anche Haroun (che ha studiato in Francia) ne è contento: può apparire paradossale, ma questo è l’unico modo per veder circolare i suoi film. Meglio così che niente: e poi, soprattutto, come si fa, nel suo Paese, a chiedere i soldi del biglietto?
(1-continua)
The World di Jia Zhang-ke (2004)
Che il fenomeno della pirateria informatica, non solo il cinema e le canzoni ma un po’ tutto, sia un fenomeno serio, lo sappiamo tutti. A noi sembra una cosa da poco comperare una cosa copiata o duplicare eccetera, e invece dietro ci sono interessi grandi, e anche gente che rischia il posto di lavoro. Lo sappiamo tutti, e il concetto viene ripetuto spesso anche con campagne meritorie.
Lo sappiamo tutti, e siamo tutti d’accordo; ma siccome le troppe certezze rovinano la nostra intelligenza, e siccome è bene non nascondersi ciò che ci disturba, un po’ di cose che fanno pensare ci sono e provo a portarle qui, in due puntate. Comincio da un’intervista a Geraldine Chaplin, da “La Repubblica” del 20 maggio scorso:
(...) - L'America è il paese che ha cacciato suo padre, lo ha calunniato e offeso.
«Quando papà tornò la prima volta negli Stati Uniti per l'Oscar alla carriera, gli diedero un visto valido per un solo viaggio. Al ritorno ci disse: "Hanno ancora paura di me". Oggi in America soltanto le università studiano il cinema di Charlot, insieme alla Gran Bretagna è il paese che meno coltiva il ricordo di mio padre. La cosa bizzarra è che è amatissimo in Sudamerica e negli stati in cui è più diffusa la pirateria. Qualche anno fa stavo girando in Turchia, in un paese remoto, arcaico, dove in strada c'erano solo uomini. Quando rientravo in albergo da sola ero sempre un po' timorosa e una sera vedo avvicinarsi un gruppetto di ragazzi, di quelli che in branco diventano animali feroci. Ero terrorizzata. Invece volevano solo parlarmi di papà, imitavano i gesti, il modo di camminare, conoscevano i film, avevano le copie pirata».
Per questo è grata alla Cineteca di Bologna e all'impegno nel restauro accurato dei film «anche perché è un lavoro difficilissimo, il montaggio dei film era sempre molto travagliato, ci sono pezzi di tagli sparsi un po' ovunque. Andrò a Bologna prima della fine della rassegna, almeno per dire grazie».
(...) da la Repubblica, 20 maggio 2007
La seconda considerazione la copio e incollo da un mio post su “Il mondo” di Jia Zhang-ke:
(...) Jia dice che i film con cui è cresciuto non parlavano mai della vita reale; e la vita reale è questa, le fanciulline coi telefonini e le morti sul lavoro, anche in Cina 2004. Dice cose molto belle, che ne dimostrano la preparazione e la personalità. Dice che alla scuola di cinema erano tutti figli di registi, e che per questo lui l’ha abbandonata presto e crede così tanto nel cinema indipendente. Dice di aver girato i suoi film in maniera “illegale”, clandestini o quasi; che sono stati girati in dvd e poi riversati su 35mm; che gli fa piacere che i suoi film, mai distribuiti ufficialmente, circolino con ogni mezzo, comprese le copie pirata. Dice anche, ed è importante, che oggi il digitale costringe a rivedere l’estetica del cinema, a ripensare tutto, dalle luci alla recitazione, e che è un passaggio come quello dal muto al sonoro, o dal bianco e nero al colore.
La terza considerazione mi viene da un regista che non conosco, che si chiama Mahamat Saleh Haroun e viene dal Ciad: è un piccolo accenno preso da Repubblica del 13.4.2007. Il regista africano dice che al suo paese le sale cinematografiche non esistono, e i film si vedono solo in dvd e videocassette, il più delle volte copiati illegalmente. Come Jia il cinese, anche Haroun (che ha studiato in Francia) ne è contento: può apparire paradossale, ma questo è l’unico modo per veder circolare i suoi film. Meglio così che niente: e poi, soprattutto, come si fa, nel suo Paese, a chiedere i soldi del biglietto?
(1-continua)
4 commenti:
Giuliano, la domanda (come diceva quel tale che-non-mi-ricordo-più) sorge spontanea: E ALLORA, CHE S'HA DA FARE CON 'STI PIRATI????
Lo confesso: qualche film illegalmente scaricato l'ho visto anch'io...
Comunque, al di là di questo, superfluo ripetere che leggerti è sempre un piacere!
Ave&vale
Roby
Che figo che era Erroll Flynn. Un vero Jim Morrison degli anni '30!
Brian
Cara Roby, io non ho soluzioni, faccio solo l'osservatore... (il modello sarebbe Palomar di Calvino, ma l'è düra).
Di queste cose qui e di cose simili ne ho parlato per anni su Ulivo Selvatico / Stile Libero, ne ho parlato anche troppo.
Comunque c'è una seconda puntata sui pirati, domani o dopo arriva.
Caro Giuliano, io a Stile Libero di Ulivoselvatico sono arrivata "dopo", quindi quello che scrivi per me è tutto NUOVO!!!!
[:->>>]
Aspetto la seconda puntata, egregio signor osservatore!
[;->>>]
Roby
Posta un commento