lunedì 19 novembre 2007

Monsieur Verdoux

Monsieur Verdoux, di Charles Chaplin (1947) Idea di Orson Welles, Sceneggiatura di Charles Chaplin Con Charles Chaplin, Mady Correl, Allison Roddan, Robert Lewis, Audrey Betz, Martha Raye, Ada May, Isobel Elsom, Marjorie Bennett Musica: Charles Chaplin Fotografia: Roland Totheroh, Curt Courant (124 minuti) Rating IMDb: 7.6
Ottavio
Un articolo comparso recentemente su Repubblica mi ha ricordato Monsieur Verdoux. Lo spunto dell’articolo era una lettera che Pietro Ingrao aveva scritto a Goffredo Bettini contenente alcune riflessioni sulla pena di morte e nel quale si faceva cenno a tale film. Dopo aver letto l’articolo ho cercato nel blog i riferimenti a Charlie Chaplin e i risultati sono stati magri… C’è il post de Il monello (Nicola) e alcuni riferimenti in due post su Il lavoro nel cinema (Giuliano) e in Les enfants du Paradis (Solimano): un po’ poco per la statura del personaggio. Forse perché i “colleghi”, come me, preferiscono richiamare film e personaggi che ci hanno comunque colpito, nel bene e nel male, ma che tendono ad entrare nel dimenticatoio. I capolavori e i grandi artisti non corrono questo rischio e quindi si tralasciano. E’ il destino che poteva capitare a Monsieur Verdoux, se non ci fossero stati due eventi completamente diversi ma correlati: la pubblicazione della lettera, appunto, e la votazione sulla moratoria della pena di morte all’assemblea generale dell’ONU. Solo una coincidenza.
La trama del film.
Negli anni '30, dopo la grande depressione economica, Verdoux perde il lavoro di bancario e tutti i risparmi investiti. Reagisce decidendo di diventare un artigiano del delitto. Messa in salvo la famiglia in un angolo sperduto della Francia, Verdoux diventa un rubacuori che fa innamorare le ricche signore sole, le sposa e le ammazza ereditandone le sostanze.

Ma la sua cinica scelta di sopravvivenza non annulla il suo carattere e i suoi sentimenti: la gentilezza per i suoi simili, la cura per i fiori, l'affetto per i familiari, la pietà per la ragazza cui risparmia la vita. E’ cioè un artigiano troppo umano per i tempi in cui vive. Dopo qualche anno (e dodici omicidi) Verdoux scopre che la vittima che ha graziato vive con un fabbricante di armi, uno che prospera sui crimini “all’ingrosso” con la coscienza tranquilla, in pace con la giustizia e la società. Verdoux rinuncia allora al suo lavoro di uccisore di donne sole e si consegna alla polizia. Nel processo, da accusato diventa però accusatore, e la società lo condanna a morte per esorcizzare il proprio senso di colpa.
Il film è del 1947 ed è il primo della sua lunga carriera in cui non interpreta il ruolo del buffo e patetico omino, che peraltro mette in evidenza le storture della società (capitalistica) americana. Anche nel precedente Il grande dittatore aveva interpretato Hitler come Charlot. Ma Il grande dittatore è del 1940, la guerra era solo all’inizio e non si sapeva come sarebbe stata condotta e conclusa. Nel 1947 era tutto più chiaro (i milioni di morti, la Shoa, l’atomica etc) e non si poteva più rappresentare la realtà attraverso la lente del buffone. Charlie Chaplin si espone, per così dire, in prima persona ed esprime il suo messaggio in modo lucido ed esplicito:
(al termine del film, in piedi, in attesa della condanna, rivolto ai giudici)
“Signori, l’accusa è stata piuttosto parca di complimenti, ma ha ammesso che ho cervello. La ringrazio, signore, ha ragione, e per 35 anni l’ho usato in maniera onesta. Dopodiché non è tornato più utile a nessuno e io ho dovuto cercarmi una nuova attività. Carnefice? Credevo che il mondo li incoraggiasse i carnefici. Non costruisce forse armi con l’unico scopo di commettere carneficine? Non ha fatto forse saltare in mille pezzi bambini e donne ignare, con precisione persino scientifica? In confronto io, come carnefice sono un dilettante…”
Si può capire il “fastidio” dei vari complessi militar-industriali, che si preparavano ad una nuova guerra, “fredda”. Penso che con questo film Chaplin si sia alienato definitivamente il mondo politico-economico americano, che già lo aveva in sospetto per le sue denunce sull’organizzazione del lavoro (Tempi moderni) e per la sua disinvolta condotta morale nella vita privata.
Come si sa, Chaplin fu costretto a trasferirsi in Europa, ma ebbe modo di rincarare la dose con Un re a New York, del 1957, una dura denuncia del maccartismo, seconda ed ultima occasione, se ricordo bene, in cui non interpreta Charlot. Ma questo è un altro film.
Verdoux, attendendo l'esecuzione della sentenza, al giornalista che sentenzia: "La felicità non è fatta per gli uomini", risponde: "Chi lo sa. Nessuno l'ha vista... gli uomini hanno bisogno d'amore". L'amore è dunque l'unica salvezza in una società che prospera sul crimine legalizzato, sul delitto orribile della guerra.

2 commenti:

Giuliano ha detto...

E' un grande film, così come "Un re a New York", pieno di riflessioni potenti e ancora molto attuali. L'aspetto esteriore è un po' obsoleto, questo bisogna ammetterlo; e sicuramente Charlot che diventa Landru dev'essere stato un bello shock per l'epoca...
Caro Ottavio, questo film l'avevo in lista da un bel po' di tempo, ma di post miei ce ne sono già 220, e 220 volts è un numero esagerato.
Grazie per aver colmato (e in questo modo) una lacuna importante.

Solimano ha detto...

Ottavio, un bel film su questo tema lo fece anche Chabrol nel 1963, titolato "Landru", con una serie notevole di attrici: la Morgan, la Darrieux, la Kneff, la Maynel e la Audran. Lo sviluppo del tema è abbastanza analogo a quello che ha fatto Chaplin, la sceneggiatura fu di Françoise Sagan.
Sugli ultimi film di Chaplin ho qualche dubbio, a parte l'importanza storica.
Questo, che ho visto anni fa, ha anche non pochi momenti divertenti, resta il fatto che il finale è molto duro.
Riguardo la presenza di Chaplin nel blog, che dire, Ottavio? Certo che deve crescere, ma quello che ci succede è quello che dici tu, ci facciamo prendere a volte dall'emozione positiva di un film sconosciuto e finiamo per parlare di meno di capolavori ben noti, che non è assolutamenre detto che siano poi visti, su questo ho molti dubbi: negli ultimi vent'anni, per motivi evidenti (TV, pubblicità etc) molti grandi film non solo non si sono visti, ma se ne ignora perfino l'esistenza.

saludos
Solimano