Little Miss Sunshine, di Jonathan Dayton e Valerie Faris (2006) Sceneggiatura di Michael Arndt Con Abigail Breslin, Greg Kinnear, Alan Arkin, Toni Collette, Steve Carell, Paul Dano, Marc Turtletaub, Jill Talley, Brenda Canela, Julio Oscar Mechoso, Chuck Loring, Justin Shilton, Gordon Thomson, Steven Christopher Parker, Bryan Cranston Musica: Mychael Danna e DeVotchka Fotografia: Tim Suhrstedt Rating IMDb: 8.1
Laura
Sono tanti i film in cui si parla di famiglie disastrate ma credetemi, alla fine di questa storia vi sorprenderete a pensare allegramente che, mio Dio, c'è davvero di peggio.
Gli Hoover sono in sei, considerando anche lo zio Frank aggiuntosi all'ultimo minuto. Tanto per cominciare c'è Richard (Greg Kinnear), capofamiglia e secondo marito di Sheryl. Il suo lavoro, se di lavoro si può parlare, è fare il motivatore e ha elaborato un metodo infallibile in nove step che garantisce come diventare un " vincente." Ovviamente, per Richard il metodo è la sua Bibbia e ogni volta che capita l'occasione ammorba tutti con i suoi principi, forte del fatto che presto diventeranno un successo editoriale corredato da dvd. Vicino a questo modello di rigore e ottimismo urticante, si muovono il padre di Richard ( Alan Arkin) - un vecchio vivace dal linguaggio turpe, cocainomane ed espulso dalla casa di riposo - e la moglie Sheryl (Toni Collette) che si prodiga al limite delle proprie forze per tenere insieme la famiglia. Poi c'è la piccola Olive di sette anni (Abigail Breslin) che si è appena aggiudicata il secondo posto nella finale regionale di Miss Piccola California nonostante non abbia nulla dei canoni previsti per una reginetta di bellezza, soprattutto il pancino prominente che è il suo cruccio costante. Suo fratello Dwayne (Paul Dano) è un quindicenne col pallino per Nietzsche e che, col voto del silenzio con cui spera di entrare nell'Accademia Aeronautica, comunica solo scrivendo bigliettini. A infiocchettare questo strambo pacchetto formato famiglia arriva lo zio Frank (Steve Carell), fratello di Sheryl. Frank ama ricordare a se stesso e agli altri di essere "il più eminente studioso di Proust d'America". Salvo poi rammentare visivamente con quei polsi fasciati che ha appena tentato il suicidio per amore di un suo studente (fuggito col "secondo più eminente studioso di Proust d' America", odiato rivale che fa incetta di premi e onorificenze), che è stato cacciato dall'università dove insegnava e dall'appartamento in cui viveva. A catapultare tutti fuori di casa a bordo di un pulmino giallo Volkswagen modello '72 che lungo il viaggio verso la California perde letteralmente i pezzi (si rompe la frizione, il clacson impazzisce suonando da solo, lo sportello laterale finisce sul selciato) è la finale del concorso Miss Piccola California a cui Olive è stata ammessa dopo il ritiro della prima classificata regionale al titolo.
Il viaggio fa da guida rossa a una serie di eventi che cambieranno profondamente il modo di vedere le cose degli Hoover mentre il balletto che Olive prova in gran segreto ad ogni piazzola di sosta, la cui coreografia è stata curata meticolosamente dal nonno, fa da contrappunto. Erano partiti da Albuquerque, prigionieri di un autismo affettivo per arrivare in California con la consapevolezza dei propri limiti e di essere sempre appartenuti allo stesso nucleo. Una famiglia di perdenti, come fa notare Dwaine quando, dopo aver scoperto accidentalmente di essere daltonico, si mette a urlare parole come bancarotta, divorzio, suicidio, fallimento, appiccicando a tutti i membri del clan un'etichetta - sorellina inclusa - in mezzo a un paesaggio dove regna il nulla.
La forza propulsiva di questa famiglia ora consiste nell'applicazione rinnovata del metodo di Richard. Non si è perdenti perché si manca l'obiettivo. "Il perdente è uno che ha talmente paura di non vincere che nemmeno ci prova" dice saggiamente il nonno a Olive, nella prima parte del film, quando la bambina teme di deludere suo padre. La rivoluzione sta tutta qui. Quello che per gli altri è oggettivamente la meta, non deve essere necessariamente la nostra. E quei nove step possono costituire una vittoria anche se si arriva a farne soltanto la metà con le proprie gambe. Quando gli Hoover comprendono questo, fanno davvero famiglia. Continuano il viaggio con la salma del nonno nel bagagliaio (splendida metafora: non li ferma nemmeno la morte), salgono ogni volta su quel pulmino che mette tutti a dura prova prima spingendolo e poi correndo come forsennati per saltarci dentro, perché non se ne parla proprio di partire cristianamente ingranando la prima e la seconda (altra bella metafora della vita).
Vincono le finte cortesie dei medici, la cattiveria della presidentessa della giuria per trovarsi lì, dopo mille peripezie, davanti al palco del concorso. E' a questo punto del film che ci scopriamo a rivalutare gli Hoover come moderni eroi e non una banda di sfigati. Il concorso è una sfilata grottesca di adulte in miniatura, ridicolmente truccate e cotonate, che fanno mossette ammiccanti per la gioia dei genitori pronti a suggerire strofe e passi di danza. Il delirio è collettivo. Quando Olive si presenta nel suo improbabile costume di scena pronta a eseguire uno spogliarello curato nei minimi dettagli da quella canaglia di suo nonno, la guardiamo con simpatia. Il pubblico invece s'indigna, si scandalizza, volano parole come "che schifo!" e "accattona!", ma la bambina piroetta, gira come una trottola e si diverte come una pazza sulle note musicali, lontana da tutto e da tutti. Irraggiungibile. Richard, Sheryl, Dwayne e lo zio Frank, nella danza liberatoria che li riunisce sul palco insieme a Olive, imparano da lei l'ultimo step, quello fondamentale: essere se stessi, sempre.
Quando vidi questo film tempo fa, non sapevo che avesse concorso agli Oscar e che ne avesse vinti, né che era stato fermo quattro anni in cerca di produttori, che gli attori avevano accettato un assegno misero pur di farlo, tanto meno che i registi fossero due, marito e moglie, alla loro prima regia dopo essersi occupati soltanto di videoclip. Non sapevo che quel pulmino fosse davvero scassato e che Greg Kinnear l'avesse guidato in aperta autostrada perché per chiuderla e fare le riprese del film non c'erano abbastanza soldi. O che le scene del concorso di Miss Piccola California sono rigorosamente autentiche ( sarà per questo che nell'esplosione finale, il cast ha dato il meglio di sé? )
E' vero, la storia è semplice e forse anche già vista, però il modo con cui è stata sviluppata è originale. Ma non è questo che il film trasuda. Quello che si sente è che si tratta di un film fortemente voluto, con pochissimi mezzi e su strada, dove quei soli trenta giorni di lavorazione sono palpabili e la freschezza dell'aria che tira è intatta.
Io ho un debole per i nonni rompiscatole e per gli zii alla Frank. Ogni famiglia dovrebbe averne, fanno tanto grillo parlante e di questi, purtroppo, ce ne sono sempre meno. Il Volkswagen invece lo terrei per me, non perché fa alternativo, ma perché mi intristisce pensare che alcune cose, solo perché vecchie e molto poco alla moda, vengano disprezzate e abbandonate all'oblio.
Il film si chiude sul pulmino giallo che, arrabattato alla meno peggio, lentamente si confonde in mezzo a tante altre macchine in autostrada. Ognuna di loro contiene storie, singole persone, famiglie e tutti proseguono la corsa.
venerdì 23 novembre 2007
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5 commenti:
Un film che è un cammeo, si ride e ci si commuove di fronte a ciascuno di questi Hoover. E si ride e ci si commuove di noi stessi, perchè in fondo un pezzo di sfiga Hooveriana è in ognuna delle nostre famiglie. Sinceramente fino all'ultimo mi dicevo la bimba vince, ma il finale è ancora meglio, un inno alla liberta e all'indipendenza totale, alla dignità di un cervello libero. Io lo proietterei nelle scuole.
Caro Brianz, hai proprio ragione, questo film dovrebbero proiettarlo nelle scuole. Rimpiango i tempi in cui, a sette anni, c'erano intere classi di piccole Olive. Oggi, già in quinta elementare parlano di jeans firmati e di come poter diventare una alla Ilary Blasi.
No, durante il film, speravo proprio che Olive perdesse clamorosamente. L'hai vista come ruggiva nel suo numero? Beh, faceva il verso a tutta quella fauna!
Un caro saluto
Laura
Non sapevo nulla del film, ma la bambina protagonista è davvero bellina. Grazie per la segnalazione, lo terrò d'occhio.
Laura, di questo film non sapevo nulla, e incuriosito dal tuo ottimo post sono andato a leggermi notizie e critiche, praticamente tutte molto lusinghiere.
Dico due cose, prima di vederlo.
La prima è riguardo l'America, tranquillo che diversi non gradiranno quello che dico. In Italia vige un antiamericanismo a prescindere che prescinde dal posizionamento politico. Addirittura c'è chi sostiene che molti nostri mali vengano dalla cultura o sottocultura americana.
E' generalmente falso, sono mali nostri con radici molto profonde nella nostra storia degli ultimi secoli. Potrei fare tanti esempi, ne faccio uno riguardo questo film. Quei due avevano in testa una bella storia: si sono battuti per realizzarla, compresa l'autostrada con le macchine e tutte quelle cose che racconti. Non sono andati a cercare la carità di qualche nome noto: hanno preso quelli che potevano e che volevano. Con determinazione, senza piagnistei, con voglia di fare tutto in trenta giorni. Questo è tipicamente americano, non è nella nostra cultura e nel nostro modo di agire, noi cerchiamo di colludere, questi cercano di fare. E fanno. Poi ce ne saranno dieci che hanno sbattuto il grugno, ma se hanno una idea non mollano.
Seconda cosa. Mi è sembrato di capire che gli Hoover migliorino la loro situazione non rinnegando quello che sono, ma accettandosi, sfighe comprese, perché a volte nelle sfighe si annida lo zompo in alto. Lo trovo verissimo, cercare di diventare perfetti e poi di migliorare non funziona, ne ho visti di perfettini andare a sbattere, ptoprio perché perfettini.
Infine, ho una curiosità, va bene il più eminente studioso di Proust (quello con i polsi fasciati), ma il secondo eminente studioso di Proust (con studente fuggiasco a seguito) nel film compare oppure se ne parla soltanto? Potrebbero fare fra di loro un bel dibattito...
saludos y besos
Solimano
Ah, Giuliano! Guarda il film e t'innamorerai di Olive. E' di un candore unico.
Solimano, grazie di cuore per quell' "ottimo" ma il merito è tutto del film (è lui che ha tirato fuori il meglio di me.)
Io non sono pro o contro nessuno. Riconosco i meriti a prescindere dalla nazionalità perché mi piace pensare che esistano singoli individui capaci di trovare delle motivazioni interiori, aldilà delle ideologie, delle mode, dei si fa-non si fa. C'è molto degli Hoover in me.
Sì, loro non rinnegano ciò che sono, né si adattano a regole di successo. Forse perché intuiscono che esiste una via più onesta per risolvere certi conflitti personali.
Il secondo studioso più eminente di Proust lo vediamo in lontananza, alla guida di un'auto di lusso in un autogrill mentre aspetta lo studente che, ahimè, s'imbatte proprio in Frank che sta pagando alla cassa giornalini porno su commissione del nonno (roba etero e giusto qualcosina gay con gli spiccioli del resto. E una bibita al lampone.)
E poi, quel soggettone si vede anche sul giornale che Frank sfoglia, a tutta pagina, nella tipica posizione alla Bruno Vespa.
Credimi, non c'è confronto. Uno così può essere e avere quel crede ma uno come Frank rimane imbattuto.
Un caro saluto
Laura
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