sabato 17 novembre 2007

La pittura nel cinema: Caravaggio (1)

Caravaggio, di Derek Jarman (1986) Storia di Nicholas Ward Jackson, Sceneggiatura di Suso Cecchi d'Amico, Derek Jarman Con Noam Almaz, Sean Bean, Robbie Coltrane, Nigel Davenport, Dexter Fletcher, Michael Gough, Spencer Leigh, Tilda Swinton, Nigel Terry, Cindy Oswin Musica: Simon Fisher-Turner e musiche d'epoca "Missa lux et orgio", "Canzoni siciliane", "El nino" Fotografia: Gabriel Beristain Costumi: Sandy Powell (93 minuti) Rating IMDb: 6.8
Solimano
Ho visto recentemente il film su Caravaggio di Derek Jarman, che uscì nel 1986 (ma il regista, in un modo o nell'altro, ci aveva lavorato per più di sei anni). Ho intenzione di scrivere alcuni post perché è un film importante e perché al riguardo sono diviso fra ammirazione ed irritazione, forti entrambe. Procedendo in modo non sistematico, spero di riuscire ad esprimere sia i motivi dell'ammirazione che della irritazione.

Una premessa. La grandezza del Caravaggio non deriva dal fatto che il Caravaggio era un maudit, ma dal fatto che era un artista geniale. Lo dico perché penso proprio che sia ora di finirla con tutti i maledettismi tardoromantici che dovrebbero essere passati di cottura da decenni, ma ancora ci si insiste, combinando due specie di guai: la mancanza di vera comprensione dei perché dei grandi artisti da una parte, e dall'altra parte l'impropria esaltazione di maudit che grandi artisti non sono, esaltazione basata solo sul fatto che personalmente erano dei maudit.
I grandi artisti e scrittori si muovono sulla linea di confine fra noto e ignoto: posseggono ed organizzano il noto, proprio per questo la loro creatività esplora nuovi territori in modo organizzato, strutturato, sistematico. Auerbach ci convinse tutti facendo l'esempio di Baudelaire, ben noto maudit. Baudelaire riuscì a stringere contenuti nuovissimi in forme affinate dai secoli, senza di questo non potremmo immaginare l'esistenza del grande poeta Baudelaire. Ma gli esempi potrebbero essere tanti.

Collegato a questo luogo comune, ce n'è un altro: il grande artista è uno che avrà successo fra i posteri, mentre è spregiato finché è vivo. Caravaggio -vengo al dunque- ebbe successo ampio e contrastato: dalla sua parte stettero sempre due fra gli uomini più influenti della Roma di allora: il cardinale Francesco Del Monte e il marchese Vincenzo Giustiniani. Erano, questi due, grandi mecenati: alla sua morte il Giustiniani possedeva più di quindici Caravaggio, e la collezione del cardinale Del Monte (che rischiò anche di diventare papa) conteneva più di 600 opere. Ci fu molta più incomprensione, ad esempio, nella Francia di Napoleone III che nella Roma fra Cinquecento e Seicento: chi orientava il gusto generale era bene informato, a livello mecenati, critici e scrittori. A Roma, in quegli anni, non c'era solo il Caravaggio, c'era Annibale Carracci, amico personale del Caravaggio pur essendo da lui così diverso, che affrescava nel Palazzo Farnese, e nella chiesa dei Filippini giungevano opere del Rubens e del Barocci. Di fronte ad una di queste, andò in estasi San Filippo Neri, e l'estasi non è un lieve mancamento derivante da vaghezza di pensieri. Si leggano, se si vuol capire, i libri di Teresa d'Avila e di Juan de la Cruz, prodigio di poesia il secondo (solo Gongora può avvcinarlo), donna straordinaria la prima, che scrisse la sua "Autobiografia" solo perché glielo ordinò il confessore. Le sue estasi, raggiunte con un cammino doloroso, le bastavano, non aveva bisogno di esibirle. Quei tempi, in cui il grande mito cristiano era rigogliosissimo, è come se fossero stati rimossi, prima ancora dai religiosi che dai laici. Si scrivevano, quei due, Teresa e Juan, lettere mirabili e amorose, lei sempre presa a fondar conventi in Castiglia, lui in cella, anzi nel buco della cella dove l'avevano rinchiuso, il buco dove scrisse le sue poesie più belle.

Nella Roma di fine Cinquecento irrompe il giovane lombardo, fa pochi anni di gavetta, poi viene o amato o odiato, non si poteva essere indifferenti e chissà, forse fra chi l'odiava c'era persino qualcuno che lo comprendeva meglio, perciò stesso ce l'aveva con lui. Personalmente orgoglioso e attento, iracondo e compagnone, probabilmente omo ed etero, religioso, ma di religione incarnata e terrestre, giocatore, uomo di spada, infine assassino. Un prodigio di natura ma come cultura informato ed aiutato da quelli che in lui credevano e che lo protessero da tutti -tranne che da se stesso- fino all'ultimo.
Derek Jarman, omosessuale morto di AIDS nel 1994 a cinquantadue anni, esce col suo film nel 1986 dopo sei anni di lavorìo, che dettero al film il pregio più grande: vedere il mondo, le persone e le cose con occhi simili a quelli del Caravaggio. Sull'impostazione, sulla storia, sul modo, c'è molto da dire, ma Jarman riesce persino ad inserire degli inserti di vita contemporanea che sembrano derivare da dipinti del Merisi, e ne farò qualche esempio.

Prendiamo il Bacchino malato, che sta alla Galleria Borghese. Un'opera che Roberto Longhi presentò come Caravaggio nel 1927, suscitando discussioni di ogni tipo durate decenni, finché si scoperse che c'erano documenti che lo attestavano, persino riguardanti papa Paolo V ed il cardinale Scipione Borghese. Questo conferma la notorietà di una delle prime opere del Caravaggio, il silenzio cominciò molto dopo, a fine Seicento e continuò fino ai primi decenni del Novecento.
Il quadro è, a detta di quasi tutti, un autoritratto giovanile, col Caravaggio, malarico tutta la vita, abbattutto, smorto, convalescente dopo essere stato per settimane in ospedale. Jarman mostra il quadro dipinto dal giovane pittore, lo mostra accanto al letto dell'ospedale. Poi, il cardinale Del Monte viene in visita per vedere il pittore -ma per vedere se nel frattempo è riuscito a dipingere qualcosa- vede il ritratto, gli piace e lo pagherà, poi se ne va, scortato dai suoi e si vede lo stanzone, che poi è un corridoio, dove è ricoverato il Caravaggio. Su ogni letto sta un giovane o un bambino con sopra la zanzariera. E Jarman fa vedere tutto questo con uno sguardo che è suo, ma completamente penetrato da quello del Caravaggio, a cui lo sguardo di Jarman sarebbe piaciuto, ma non so se si sarebbe riconosciuto nella storia che Jarman racconta.
(continua)

Caravaggio: Bacchino malato (circa 1591)
Roma, Galleria Borghese

4 commenti:

Roby ha detto...

Un paio d'anni fa c'è stata una mostra, qui a palazzo Strozzi, dove ho potuto ammirare molto del Caravaggio, ed anche il Bacchino malato, se non erro.
Ricordo una breve visita a Roma, nel 2002, dove la tappa per me più importante fu S.Luigi dei Francesi, con la famosa tela della (sbaglio?) Cena di Emmaus.

Ave&vale

Roby

Solimano ha detto...

Roby, ho fatto una piccola indagine. A Firenze ci sono 7 dipinti del Caravaggio.
I tre degli Uffizi sono molto importanti: Bacco, Sacrificio di Isacco, e la Testa di Medusa (che compare nel film).
Poi c' un quadro singolare, il Ragazzo morso da un ramarro nella Fondazione Longhi.
C'è l'Amorino dormiente a Pitti, l'Incoronazione di spine nella collezione Cecconi, il Ritratto di Maffeo Barberini nella gelleria Corsini.
A Firenze ci si trova proprio di tutto, peccato che ci siano i toscani...

saludos y besos
Solimano

Laura ha detto...

" ... combinando due specie di guai: la mancanza di vera comprensione dei perché dei grandi artisti da una parte, e dall'altra parte l'impropria esaltazione di maudit che grandi artisti non sono, esaltazione basata solo sul fatto che personalmente erano dei maudit. "

Sacrosanto, Solimano. Molti pseudoartisti passano un sacco di tempo a fare i maledetti rifilando poi le loro opere al pubblico come "il frutto della loro dannazione interiore" alleandosi con qualche critico. Scemenze, ma pare facciano più effetto. Un vero artista prende dannatamente sul serio il proprio lavoro, è un maniaco della perfezione, perfezione tecnica e "linguistica", perché ogni opera parla cercando sempre di fuggire dalle ovvietà.

Un caro saluto
Laura

Giuliano ha detto...

Io non sono caravaggesco, però sono stato a Malta: può servire?
Il quadrone è lassù in alto, non è che si veda molto ma c'è. (o almeno, quando ci sono andato io c'era).