martedì 13 novembre 2007

Il mio migliore amico

Mon meilleur ami, di Patrice Leconte (2006) Sceneggiatura Patrice Leconte e Jérome Tonnerre Con Daniel Auteil, Dany Boon, Julie Gayet, Julie Durand, Henry Garcin, Jacques Mathou, Marie Pillet, Elisabeth Bourgine, Jacques Spiesser, Audrey Marnay, Anne Le Ny, Pierre Aussedat, Philippe Du Janerand, Fabienne Chaudat, Marie Mergey Musica: Xavier Dermeliac Fotografia: Jean-Marie Dreujou (94 minuti)Rating IMDb: 6.6
Laura
Confesso. A metà film, ho mollato. Ho pensato che Leconte, il tema, non l'avesse preso sul serio. Forse perché mi pare improbabile che uno come François vada a sorbirsi una conferenza in cui si suggeriscono soluzioni su come farsi degli amici. L'amicizia è un sentimento a cui ci accostiamo fin da piccoli, naturalmente, senza il bisogno che qualcun altro, nell'età della ragione, ci spieghi i fondamenti come invece succede tra questo arcigno antiquario parigino e la sua socia in affari, Catherine. Ognuno di noi poi, nel corso degli anni, si fa la propria idea di Amicizia secondo le esperienze accumulate, ma la teoria (che, ahimè, spesso disattende la realtà) è nota a tutti. Leconte lavora premurosamente alla prima parte del film con intenti didascalici ed è questo che personalmente mi ha fatto mollare la visione. Il Caso ha voluto che stamattina, accendendo la televisione, mi si presentasse il seguito della storia nell'esatto punto in cui l'avevo liquidata. E alle coincidenze difficilmente giro le spalle.

François (Daniel Auteil) è un valente antiquario con un' agenda fitta di nomi, numeri telefonici e appuntamenti giornalieri, ma quando la sua socia in affari Catherine (Julie Gayet) gli dice che tra quelli non compare mai l'ombra di un amico, egli non può ignorare l'osservazione. I due fanno una scommessa: François ha dieci giorni per presentarle il suo migliore amico, altrimenti lo splendido vaso acquistato a nome della galleria per duecentomila euro all'asta e strappato di mano a suon di rilanci ad un appassionato collezionista, sarà esclusivamente di Chaterine, e non in comproprietà. François tenta di recuperare vecchi compagni di scuola o sincerarsi della natura dei rapporti che ha con persone di sua conoscenza ma ognuno di questi sembra non avere difficoltà a dirgli che di tutto si tratta meno che di amicizia. Nel corso dei suoi spostamenti François conosce Bruno (Dany Boon), un tassista estroverso e gentile che intrattiene i passeggeri con una raffica di nozioni curiose.

François e Bruno diventano amici, o almeno così pare. Le loro, nonostante le apparenze, sono due solitudini che s'incontrano. Bruno è così contento del suo amico che lo presenta persino ai propri genitori. I due vanno a vedere la partita, poi a cena insieme e iniziano a condividere le prime gioie entusiastiche del rapporto. Però, François non ha mai perso di vista la scommessa e chiede a Bruno una prova della sua amicizia: fingere il furto del prezioso vaso che tiene in casa per gabbare l'assicurazione. Il generoso tassista, anche se titubante, non esita a prestarsi. Durante la notte, forza la porta dell'appartamento per inscenare la rapina ma ad attenderlo in salotto ci sono, insieme allo stesso François, Catherine e altri suoi amici, finalmente testimoni dell'esistenza di Bruno e della sua dimostrazione di Amicizia.

Il tassista, ferito a morte per la messinscena, rompe il vaso in mille pezzi davanti agli occhi di tutti (un lacrimatoio raffigurante Patroclo e Achille) per poi sparire dalla vita di François. L'antiquario capisce lo sbaglio commesso e tenta di riparare. Va a far visita ai genitori di Bruno per chiedere notizie del suo amico e questi gli dicono che é un periodo molto difficile per loro figlio, pur ignorando le vere cause. E così, raccontano a François la storia di Bruno, la sfiducia in se stesso e negli altri da quando la moglie lo tradì proprio con un amico di vecchia data. Del bambino che era e della sua mania per i quiz, quei libri e quelle trasmissioni televisive titolate "Vero o falso", "Il gioco dei nove" e "Sapete che". E mentre François sfoglia in quella stanza un vecchio quadernetto che riporta un passo tratto da Il Piccolo Principe, apprende dalla signora che Bruno ha sempre sognato di partecipare ad un telequiz. Deciso ad attuare quel desiderio per farsi perdonare, contatta il collezionista incontrato all'asta proponendogli l'acquisto del vaso greco (si scoprirà che quello mandato in pezzi era una copia e che a Catherine consegnarono l'originale) per soli duecentomila euro, in cambio però di un favore che questo non saprà rifiutargli. Bruno viene chiamato a partecipare al telequiz Milionario (grazie all' intercessione del potente collezionista) e saltellando senza alcuna difficoltà di risposta in risposta arriva alla soglia dei trecentomila euro. Ha ancora uno dei tre aiuti da sfruttare: la telefonata a casa. La domanda per aggiudicarsi il milione di euro riguarda la pittura - campo in cui François è molto più ferrato - e convinto dal conduttore a telefonare a un amico, Bruno cede e chiama l'unico che egli abbia mai avuto: François. L'antiquario finge di avere la televisione spenta e tra i due parte in diretta un dialogo sincero e accorato che farebbe l'invidia di qualsiasi talkshow. L'audiance è ai massimi livelli ma tocca la vetta quando alla domanda " Chi, tra Monet e Manet, non partecipò al movimento impressionista del 1874? " François suggerisce " Manet." Bruno esita ma decide di fidarsi, e conquista il milione di euro. I due si rivedranno un anno dopo, "casualmente" al ristorante, durante la cena di compleanno di François insieme alla figlia (che poi intuiremo essere la complice di Bruno per quel conto già pagato alla cassa), a Catherine e altri colleghi. Dopo questa necessaria distanza temporale, François e Bruno inizieranno ad essere veramente amici.

Non c'è dubbio che il film si srotoli via via come una fiaba corredata di morale, e che il finale ottimistico lasci un sapore stucchevole in bocca.
Ma quanti di noi possono seriamente contare su un amico come Bruno? Tutti, o almeno, avremmo un nome a fior di labbra, una risposta meccanica sul tipo "Vero o Falso" un attimo prima di scoprirci dubbiosi a proposito di quello stesso nome. Basta essere simpatici e gentili per assicurarsi un vero amico? E noi, che tipo di amicizia siamo disposti ad offrire? Per testare un' amicizia è meglio chiedere la prova al nostro amico o realizzargli un sogno nel cassetto? Sono tutte domande da un milione di euro.

9 commenti:

Solimano ha detto...

Laura, l'amicizia è un tema intrigante, perché tutti ne parlano bene (a differenza dell'amore), e questo, per me, è sospetto. Va bene che sono un bastiancontrario, ma quando un valore è dato per scontato preferisco rifletterci. Una prima conclusione è che non è vero che un amico è per la vita, se non altro per un motivo: nella vita si cambia. Quindi, l'amicizia può essere vera, ma temporanea, perché se non si ha più nulla da dirsi, che amicizia è? Diventa una specie di assicurazione. Meglio, a quel punto, un valore più scarno, di cui si parla molto meno, forse perché è poco diffuso: il rispetto, che è indissolubilmente legato ad un atteggiamento utile: l'ascolto. Anche il rispetto è utile, a chi lo dà e a chi lo riceve. La mia impressione è che si parli molto di virtù tanto alte quanto vaghe, mentre il punto sta lì, di fronte a noi, nel concreto: rispetto ed ascolto (che vuol dire anche sapersi fare ascoltare). Ne vedo meno di quello che vorrei, oggi, sia nella vita reale che in rete, di questo concreto pragmatismo, di questa scarna schiettezza. Poi, da questi semi può darsi che nasca il fiore o il frutto della amicizia, ma, sia che nasca oppure no, si è comunque vinto, magari non un milione di euro, ma una bella sommetta. Leconte, come si vede in tutti i film che porti, ci si diverte, nel costruire rapporti a due improbabili però possibili. Sono i rapporti migliori: se amicizia ha da essere, che non sia noiosa, quindi fra diversi. Nella mia pratica l'ho constatato spesso.

saludos y besos
Solimano

Gioacchino ha detto...

Ciao. Tempo fa scrissi una piccola recensione su questo film. Se ti va di leggerla, la trovi qui (http://impossibilefuggire.blogspot.com/2007/09/un-plus-tard.html). Me ne feci un'idea diversa dalla tua. Innanzitutto il genere di film che il regista ha voluto fare credo sia rivelato in partenza dal cliche umoristico della scommessa: la mancanza di serietà che denunci riguardo al tema dell'amicizia è probabilmente dovuta al taglio ironico e favolistico, molto simbolico: sì, somiglia molto a un film "di genere". La semplicità, forse un po' schematica, è dovuta secondo me a un intento soprattutto didascalico: nessuna segreta verità divulgata, nessuna piega oscura svelata, ma simpatica variazione sul tema. Anche sul finale, ho un'idea diversa. Nessuno dice ch dopo la scena del muretto i due diventino "veri amici". Potrebbe esserci soltanto un "agrodolce" ultimo incontro. Quanto alla credibilità di certi gesti estremi, tipo partecipare a una conferenza sull'amicizia, credo che sia la cosa meno esagerata del film. Anzi, la trovo molto, molto seria.

Gioacchino

Anonimo ha detto...

Solimano, l'amicizia la intendo come te. Conosco persone che ce l'hanno da una vita, il migliore amico. A me, un Bruno, non è mai capitato. Ne ho uno che però considero tale proprio perché ci ascoltiamo, ci rispettiamo molto. A volte sappiamo starcene persino zitti. Niente lacrimatoi a pezzi. Nemmeno una partita allo stadio. Rispetto e ascolto sono il midollo di ogni onesto rapporto ma purtroppo molti di questi sono ossa cave di piccioni.

Gioacchino, che dirti?
Ho letto il tuo commento con interesse. E' stimolante non essere d'accordo, non credi? Io scrivo da spettatrice, se mi scappa la penna è solo perché mi ci accaloro. Magari questo film a me ha toccato un sentimento, a te un altro. Ognuno fa i conti con il proprio vissuto, le proprie idee. Segnalo film, cerco d'invitare alla visione. Solo questo.
Grazie per il commento, sei sempre benvenuto.

Cari saluti
Laura

Roby ha detto...

E' vero, l'amicizia è un tema che intriga parecchio. Io personalmente ho pianto più per amicizia che per amore, in tutta la mia luuunga vita. Pianti di rabbia, s'intende, scoprendo che l'amica di cui mi fidavo mi aveva tradito, o semplicemente mi stava mettendo pian piano da parte. Mio marito dice che certi tipi di amiche da me "fanno buca", cioè che sono io, più o meno inconsciamente, a favorire certi comportamenti con la mia eccessiva disponibilità, col mio essere troppo buona... "Tre volte buono" si dice a Firenze "vuol dir bìschero", cioè (traduzione per i non corregionari danteschi) "scemo, ingenuo". Ed io, un tempo, di bischerate simili ne ho fatte parecchie. Adesso un pochino meno, invecchiando... ma ogni tanto corro il rischio di ricaderci, e mi salvo giusto ad un passo dal baratro...

Solimano ha detto...

Ci sono tre frasi quasi proverbiali che hanno attinenza col tema della amicizia. Le commento.
Prima frase: un complimento non cade mai per terra. E' una frase verissima, basta vedere derti gradevoli blog con sfilze di commenti lunghi una riga e mezza di bene, bravo, bis. Il blogghiere incassa e porta a casa. Ma nelle amicizie, specie quelle maschili, non è così, di complimenti non c'è bisogno, ma di ascoltarsi. Quando i complimenti sono troppi l'amicizia è poca.
Seconda frase: una buona azione non rimane mai impunita. Vorrei sbagliarmi, ma sono certo che anche a voi questa situazione nel corso della vita: avete fatto una cosa buona ad un amico, e lui se ne è vendicato. Non mi dilungo, ma so i motivi perchè può accadere così, non è perchè l'amico è cattivo, ma perchè si sente debitore, e nessun debitore ama il crditore.
Terza frase: bisogna essere come i fiammiferi, che si fregano una volta sola. E' una frase perfetta, altro che le settanta volte sette. Non bisogna mai premiare chi, facendo il furbo, vi ha fatto del male o almeno ci ha provato: cambiare marciapiede, girare pagina, dicendo il perchè con poche parole scarne. Il problema è suo, non vostro, è lui che, se ci riesce, deve recuperare. Altrimenti, lo viziate, e lo fa ancora.
Sembra un discorso cinico, ma suvvia, crediamo ancora alle favole?
In ogni rapporto, familiare, d'amore, d'amicizia, c'è sempre (anche, non solo) una componente di lotta, da cui non ci si può chiamare fuori, magari dicendo che siamo buoni. Non è vero, non siamo buoni, siamo deboli (probabilmente perché non amiamo noi stessi come dovremmo). Cosa rimane, allora? I rapporti forti, ed è bello.

saludos
Solimano

Laura ha detto...

Il tipo di amicizia che offro è molto maschile. Forse sarà per questo che non ho amiche donne?
Grazie Solimano, forse hai trovato quella risposta alla domanda che mi torturava da anni.
uhmmm...Forse.

I complimenti sono belli se motivati, altrimenti annoiano come le liste della spesa (hai ragione Solimano, il 90% dei blog ne sono zeppi!)
Io li faccio solo se mi vengono.
Sdebitarsi (o vendicarsi) credo sia una di quelle "buone maniere" che le mamme italiane insegnano ai propri figli fin dalla tenera età. Niente di male, per carità, ma io sono per il detto "un amico si vede nel momento del bisogno". Forse è per quello che non se ne vede mai uno quando serve? Perché si sdebitano tutti prima? ^_____^
E poi c'è la teoria del fiammifero. Fino a qualche anno fa, ero molto più indulgente. Mi si compravano facendo lo sguardo da coker abbandonato. Poi sono cambiata. Semplicemente, ho scoperto di essere stanca dei coker. Se uno sa recuperare, bene. Altrimenti, è stato bello finché è durato.
Cari saluti
Laura

Roby ha detto...

Mi congratulo vivamente con chi riesce a non farsi "fregare" da amici opportunisti e a non mostrarsi "debole" nei rapporti interpersonali!!!

Ma la ricetta anti-fregature, anti-buone-azioni-punite, anti-complimenti, ecc. può davvero essere valida per tutti? Oppure è come quando cerchi di curarti l'influenza con l'antibiotico prescritto a tuo cognato, che per lui andava benissimo e a te invece dà l'allergia?

Ho ammesso (e continuo a farlo) di essere un po' bischera nelle relazioni col mio prossimo: non sono però del tutto sicura che questo significhi essere "debole". Anzi, nella pluridecennale esperienza accumulata, ho scoperto che spesso alla fine i più deboli e bisognosi di continue gratificazioni su sè stessi e sul loro valore erano proprio quelli che avevano cercato (talvolta riuscendoci!) di approfittarsi della mia "bontà"....

Certo, da "troppo buona" ho sofferto e probabilmente soffrirò ancora per "amicizia": però -entro limiti ragionevoli- questo fa parte integrante del mio carattere. E, sotto sotto, alla mia "bischeraggine" non rinuncerei per nulla al mondo!

[:->>>]

Robysch.

Laura ha detto...

Cara Roby, non penso esista una formula infallibile per evitare di soffrire. Esistono modi di essere che ci calzano a pennello solo se il tempo e l'esperienza li ha maturati per noi. La tua "bischeraggine" io la trovo splendida, e mi sembra un motivo valido per detestare maggiormente chi se ne approfitta. Rispetto, per come la vedo io, significa soprattutto saper accettare la natura, l'indole di chi abbiamo davanti senza cercare di modificarla, senza calcolare mai un guadagno personale. Significa dire " tranquilla, puoi fidarti. "
Purtroppo è raro.
Io non credo si possa ragionare in termini di forza o debolezza ma di consapevolezza di sè. Nessuno mi dice che non mi scioglierò davanti al prossimo sguardo da coker e beccare la fregatura del secolo (anche se sarà difficile: ho studiato meticolosamente la mia aridità ^___^) Il tuo prossimo miglior amico/a potrebbe sceglierti proprio perché sei così meravigliosamente "bischera", visto che altrimenti non potresti essere (o, almeno, non ancora.)
Nell' amore, nell'amicizia, nel lavoro, è sempre la stessa storia: tutto funziona solo se la combinazione è veramente fortunata.
Un abbraccio
Laura

Solimano ha detto...

Per me, il vero e primario scopo di una conversazione è conversare, anche se molti non saranno d'accordo, conversare fa bene.
Poi, si esplicita quello che uno pensa o sente, che magari prima non ci aveva pensato o non aveva razionalizzato.
Credo che non si convinca nessuno, anche perché uno si convince da solo. Invece si fa una cosa utilissima: si verificano le proprie convinzioni, cosa abbastanza rara, si danno per scontato ciò che non lo è.
Con le convinzioni, è come quando si scrive un post, che i giudici più severi siamo noi stessi, proprio sulle cose che abbiamo scritto. A voi posso confessarlo, ma non ditelo in giro: io continuo a correggere anche post scritti tre mesi fa, se trovo una cosa che non mi piace più non riesco a non cambiare.

buoni amici (e amiche) a tutti
Solimano