venerdì 2 novembre 2007

Il calamaro e la balena

The Squid and the Whale, di Noah Baumbach (2005) Con Owen Kline, Jeff Daniels, Laura Linney, Jesse Eisenberg, William Baldwin, David Benger, Anna Paquin, Adam Rose, Michael Santiago, Alexandra Daddario, Ken Leung Musica: Britta Phillips, Dean Wareham Fotografia: Robert D. Yeoman (81 minuti) Rating IMDb: 7.7
Laura
La storia di questo film si riassume velocemente, perché il regista ha lavorato ombreggiando i protagonisti con pochi tratti ma decisivi, specie riguardo i personaggi giovani.
Tutto si srotola in un quartiere di Brooklyn, nel 1986. Bernard (Jeff Daniels) e Joan (Laura Linney) sono una coppia di scrittori in procinto di divorziare. Lui è in rovinosa discesa, da anni non pubblica e gli rimane l'insegnamento, mentre aspetta la chiamata di qualche agente letterario; lei si è liberata del mito del marito iniziando a scrivere da poco con risultati scintillanti, tutti in crescita. Bernard e Joan hanno due figli adolescenti, Walt (Jesse Eisemberg) e Frank (Owen Kline), e un gatto. Il film ci sbatte in faccia la realtà della famiglia fin dalle prime battute. Poche immagini preparano alla riunione annunciata da Bernard ai ragazzi con un " dopo la scuola tornate subito a casa, io e la mamma dobbiamo parlarvi " obbligandoci a sedere sul divano, come se fossimo con loro. La tragedia è dappertutto. I genitori parlano di un programma dettagliato che prevede lo smembramento dei giorni della settimana da passare o con l'uno o con l'altra nei rispettivi appartamenti. Però c'è il gatto, e un gatto non si può dividere a metà, né si può decidere della sua sorte lanciando una moneta in aria. Il gatto è l'ultima opportunità a cui i ragazzi si aggrappano come naufraghi per salvare almeno lo spettro di quell' originario nucleo familiare in procinto di affondare: l'uso della macchina a mano alternato alla fissa dà un lieve e voluto effetto "mal di mare".

Questo film non è "Kramer contro Kramer" (anche se ci sono delle tangenze), ma è la storia di una catastrofe che devasta le psicologie dei personaggi. La bravura di Baumbach, che lavora su una vicenda forse autobiografica, consiste nel definirli senza che l'uno rubi la scena all'altro. Al regista non occorre cesellare: sa cosa illuminare garbatamente affinché emerga la cupezza delle ombre.
Bernard è un intellettuale chiuso nel suo mondo, che vorrebbe imporre ai figli le letture migliori e i film importanti (sempre secondo lui). Anche per gli sport fa così e durante il film ne compaiono molti, fra cui il tennis e il ping pong. Tutti sport in cui è previsto l'avversario: diventa emblematica la scena di boxe tra i due fratelli, che da gioco si trasforma in lotta. Bernard divide tristemente il mondo in menti brillanti e filistei, per lui filisteo è sinonimo di persona ignorante e quindi fallita. Tenta di mascherare il vuoto e la paura con locuzioni ad effetto, come quel suo "déguelasse" rivolto a Joan, rubato a Belmondo in un Godard della loro giovinezza, un minuto prima che l'ambulanza se lo porti via a causa di un mezzo infarto. Bernard sembra aver perso ogni capacità di comunicazione, ha delle cadute di stile degne di un filisteo, ma non se ne accorge.

La moglie Joan si riprende le proprie sicurezze dopo anni di vita all'ombra del marito. Non segue nemmeno i consigli di scrittura che Bernard le dà, senza che lei glieli abbia chiesti. Questa riconquista - e nuova consapevolezza - coincide col suo successo professionale. Joan sembra l'unica a comprendere con lucidità le dinamiche del disamore, mentre Bernard si arrovella, si arrampica sugli specchi, poi recrimina, quindi racconta - e si racconta - bugie fino a screditare Joan con i figli. Joan sceglie filistei per le sue storie sentimentali, come l'istruttore di tennis di Frank, il figlio minore. L'istruttore è un simpatico William Baldwin che con la spontaneità conquista e mantiene la stima del ragazzino. Sembra che Joan sappia il fatto suo, ma non è così.
Walt è il primogenito, che si schiera subito col padre e fa di tutto per renderlo contento. Il padre ne è lusingato, visto che Frank, il più piccolo non gli ha mandato a dire che ci tiene a diventare un filisteo. Invece Walt all'improvviso definisce ogni cosa kafkiana solo perché ha appena letto la Metamorfosi. Cova sogni così alti che spaccia "Hey you" di Roger Waters per una sua creazione, ma la cosa incredibile è che i due genitori, davanti alla sua esecuzione casalinga, non riconoscano il pezzo. Forse non lo conoscono affatto. Che reputino i Pink Floyd... robetta? Forte di averla fatta franca con i genitori, Walt partecipa col pezzo ad un concorso scolastico che vince e perde allo stesso tempo. Che quella canzone l'abbia scritta un altro, per il ragazzo è un irrilevante dettaglio. Con le ragazze ha un rapporto contrastato, vorrebbe fare sesso ma proprio non ci riesce. "Vorrei che tu avessi meno lentiggini " dice a Sophie, un attimo prima del bacio che naturalmente non c'è. Walt non si sente tagliato per una relazione stabile, quindi lascia Sophie per avventure più facili. Lili ( Anna Paquin, di nuovo con la freschezza impertinente della piccola Flora in Lezioni di Piano) si pulisce le mani su un tovagliolo di carta e Walt se lo ficca in tasca prendendolo dalla pattumiera. Tenta di abbandonare la testa sulle sue gambe ma le rompe il naso con un gesto improvvido. Che si trattenga perché Lili piace anche a suo padre? Alla domanda dello psicologo: "Qual era la cosa che ti faceva più paura da piccolo" Walt risponde "Il calamaro e la balena." Una rappresentazione enorme e tridimensionale della lotta tra i due animali marini in un museo che visitava con sua madre e di cui solo lei, a casa, sapeva ridimensionare l'angoscia con parole scherzose.

Frank è il figlio più piccolo. La separazione dei genitori si abbatte su di lui con una devastazione che é scoperta di sé, abisso e salvezza insieme. E' un ragazzino sveglio, dice al padre quando mette piede in quell'appartamento da single improvvisato che "una tartaruga avrebbe fatto la differenza" colpendolo in pieno. Frank è la ribellione fatta persona, una ribellione consumata tra le pareti domestiche, in silenzio e solitudine. Stende sul letto ordinatamente slip e reggiseno per mettercisi sopra, si ubriaca come un adulto, vomita e sta lunghi minuti a fissare i rigurgiti in mano come se in quella materia che viene dal suo interno ci fosse la risposta. Si masturba nella biblioteca e lascia strisce di sperma sui libri allineati. Imbratta gli armadietti delle femmine. I grandi non gli piacciono. Eppure l'unico modo per uscire dalla sofferenza sembra quello di affrettare la sua crescita. Anche lui verrà colto in flagrante.
La fine del film è l'ultima scossa di assestamento, una risata di Joan in vetta alla scala Mercalli, rassicurante proprio perché non c'è ritorno. Walt fa pace con Roger Waters, Frank inizia a distinguere lecito e non lecito, Bernard si rassegna e capisce che non si tratta solo di lavare di più i piatti o di cucinare, mentre Joan continua a guardare avanti. Siamo riconoscenti a Walt per averci portato al museo, qualche minuto prima dei titoli di coda: solo così può farci capire perché Il calamaro e la balena incutono paura.

I riferimenti musicali agli anni ottanta sono molti, tolta "Hey you" - dove lo strategico Can you feel me? fa da post it musicale al dubbio che viene dal mare aperto delle domande - il resto sono successi di un'estate sola (qualche nome: Brian Adams, i Mister Mister, i Cars).
Nel film, a dispetto del Big One familiare tutto in superficie, la componente marina ( insondabile, minacciosa, sconfinata arena priva di suono, di lotte titaniche senza tempo) compare in punta di piedi con riferimenti in apparenza trascurabili. Cercate di leggere il titolo del libro più bello di Bernard: Jeff Daniels lo tiene in mano, ce lo mostra per qualche secondo. E' solo un caso che "Hey you" la canti uno che di cognome fa Waters? Sono altri segnali quasi subliminali del faro del regista per condurci con Walt al museo. Davanti a quei giganti acquatici ci chiediamo se esiste davvero un'età, una regione della nostra vita, dove la paura si possa davvero dominare.

5 commenti:

Solimano ha detto...

Laura, questo film finora non l'ho visto, e non conoscevo nemmeno il nome del regista. Però, così dettagliatamente raccontato da te, mi ha fatto venire in mente un problema spesso negato ma esistente: la competitività nei rapporti familiari. Ci si aggiunge anche il post di Roby su genitori e figli. Per me si sbaglia dire che spesso sono troppo differenti, è vero il contrario, sono troppo simili. Solo che gli dà fastidio e non vogliono ammetterlo, da cui una livorosità continua da cui è difficile uscire. Lo dico perché biologia ed etologia parlano chiaro, e vengono prima di psicologia, comunicazione etc.
Un adolescente si ribella contro il padre spesso perché il padre è simile, e lui non vorrebbe essere così. In definitiva si ribella contro sé stesso (naturalissimo, per uno che sta cambiando). E vale poco andarsene per i fatti propri, biologia ed etologia lo seguono.
Riguardo alla competitività moglie-marito, non sarebbe meglio darla per scontata invece di negarla, di non volerla avere. Prova a pensare ai due dei film, se uno dice all'altro: "Fra noi due c'è naturalmente competizione, meno male", magari tutto quanto migliora, non peggiora. Ma invece si preferisce procedere a colpi di anniversari e di regalucci, roba generalmente finta. Però che oggi nei matrimoni e nelle famiglie si mettano sul piatto quello che mettono nel film di Baumbach è un buon segno, ci siamo tutti stufati delle carinerie dell'happy end che significa solo una cosa: la fine.

grazie e saludos
Solimano

Roby ha detto...

Cara Laura, una volta letto il tuo post, è come se avessi visto il film!!!! E dopo aver(ti) applaudito, mi sono ricordata di un altro film dove Jeff Daniels fa il padre in una famiglia in crisi, "Voglia di tenerezza" con Debra Winger malata incurabile. Tutta un'altra storia, certo: ma lui, Daniels, ha evidentemente la "faccia" giusta per vicende del genere. Oltre che -curiosamente- per boiate pazzesche tipo "Scemo e più scemo"...

Ave&vale

Roby

PS: ho letto solo ieri il tuo commento al "mio" Ratatouille... saluta da parte mia tuo figlio!!!!

Giuliano ha detto...

Anch'io non conosco il nome del regista, però se il mio scarso tedesco non mi tradisce è un bel nome molto poetico: il ruscello nel bosco, direi ("Baumbach").
Del film non so nulla, ma se è piaciuto a Laura m'informerò.

Anonimo ha detto...

Caro Solimano, secondo me si fa Guerra al genitore più simile principalmente mossi dall'inconsapevolezza di somigliargli così tanto (i difetti riflessi si leggono più nitidamente nel gioco delle simmetrie) e facilmente gli si addebita la colpa. Gli si rinfacciano certi fallimenti con la paura che un domani possano essere i nostri (la previsione dello stesso errore, ripetuto una seconda volta genera un terrore profondo e difficile da gestire. Un misto di sfiducia, voglia di superarsi e fifa blu di non potercela fare per un pelo.) Non sai mai dove finisce il figlio e dove comincia il padre (o la madre) forse è per questo che si chiamano "conflitti generazionali", proprio perché si ripetono in continuazione da sempre. I divieti o le ripicchette sono la superficie, il nucleo è altro - proprio la competizione?-. Penso ad American Beauty (che da qualche anno rimane in cima alle mie preferenze) La figlia di Kevin Spacey e Annette Bening odia il padre perché in qualche modo gli imputa lo stesso disagio che lei sente. La mamma non viene contemplata proprio perché lontana anni luce dal raggio emozionale. Non c'è bisogno di litigarci. Tra marito e moglie io sono per la sana competizione che non è una corsa al primo posto ma la necessaria accettazione di differenze tra due persone che sanno FARE COPPIA proprio con ciò che li divide. Non c'è niente di più salutare di una franca sfuriata e poi a Cesare quel che è suo, per carità. Ma saper dire ad alta voce, senza sensi di colpa, è vitale, a costo di ferirsi. Pena: non orizzontarsi neppure un po' sull' ubicazione del "confine" di coppia (e personale, direi.)
Cara Roby, ah! Se avevo pensato a Flap, eccome!Ma poi ho preferito non mischiare troppa roba. I film cambiano secondo chi li guarda. Ho scritto ciò che ho visto io, che è vero per me. Perciò è sempre meglio... controllare personalmente!
"Ti saluta la signora di Ratatouille", ho detto a mio figlio. Ha ricambiato tutto contento.
Caro Giuliano, di questo Baumbach ( il signor Ruscello di Bosco! ) casomai potremmo riparlarne. Chissà che non venga fuori un post migliore?
Affettuosi saluti a tutti e tre
Laura

Roby ha detto...

Cara Laura, non sai quanto concordo con te quando dici:

"secondo me si fa Guerra al genitore più simile principalmente mossi dall'inconsapevolezza di somigliargli così tanto (i difetti riflessi si leggono più nitidamente nel gioco delle simmetrie)".

Sembra la biografia di mia sorella nei confronti di mio padre: a cinquant'anni suonati, e dopo un anno e mezzo che lui non c'è più, lei si arrabbia ancora se le dico: "Eravate UGUALI"... ma il tragico è che IO dico solo quel che è vero!

Ciao!

Roby