Tranquilli: non pretendo davvero di esaurire nella breve stesura di un post -scritto nella quiete della giornata festiva- lo sterminato argomento del rapporto genitori/figli così come è trattato sul grande schermo. La colpa (!) è in gran parte di Solimano, che occupandosi dei luoghi di Romeo e Giulietta mi ha fatto ripensare alla storia dei due sfortunati amanti, tanto duramente osteggiati in famiglia da finire addirittura all'altro mondo. Certo (mi sono detta), dal contrasto tra padri e figli possono nascere -o morire- una miriade di situazioni diverse: poteva forse il cinema lasciarsi scappare un'occasione così ghiotta? Cominciamo tenendoci leggeri, con il simbiotico rapporto di amore-odio che lega una madre (Jamie Lee Curtis) ad una figlia (Lindsay Lohan) in Freaky friday, stretto al punto da portarle ad uno strabiliante scambio di ruoli, oltre che di corpi, complice un misterioso incantesimo orientale. L'idea non è nuovissima, trattandosi del remake del disneyano Tutto accadde un venerdì con Jodie Foster: ma se -come me- avete a portata di mano una dolce pargoletta con cui dividere il popcorn, il divertimento è assicurato.
L'impatto è completamente diverso nel caso di opere come Padre Padrone dei fratelli Taviani o di Era mio padre di Sam Mendes (quello di American Beauty). In entrambe la figura paterna appare distorta, per non dire mostruosa: ma se nel primo film il figlio, inizialmente soggiogato dal padre fin quasi alla condizione di schiavitù, riesce infine a tagliare le catene che lo legano a chi gli è genitore solo biologicamente, nel secondo il legame fra Tom Hanks e Paul Newman travalica i confini tra buoni e cattivi, tra giustizia e ingiustizia, in un gioco di gesti e di sguardi che dà i brividi. D'altra parte, non erano molto diversi i rapporti fra Don Vito Corleone e la sua prole nei vari episodi del Padrino, vera celebrazione della famiglia intesa nel senso peggiore del termine.
Ma qui, ragazzi miei, ci stiamo intristendo, andando a scavare dove il terreno è più putrido e dove i fiori non nascono più... Al contrario, le nascite non mancano affatto in tutta una serie di film scacciapensieri dei quali è probabilmente capostipite Dodici lo chiamano papà (Cheaper by the dozen) del 1950, in cui Clifton Webb e Myrna Loy sono i felici genitori di una dozzina di creature in scala, dal biberon all'università. Gli spunti comici si moltiplicano tanti quanti sono i figliuoli, inquadrati in ranghi para-militari dal pignolissimo padre, mentre la madre fornisce quel tocco di dolcezza e di buon senso femminile che non guasta mai. Steve Martin -veterano di operazioni del genere- si è cimentato di recente in un remake della storia, non riuscendo tuttavia a mantenerne l'originaria freschezza.
Riguardo a famiglie numerose, quella di Lucille Ball ed Henry Fonda in Appuntamento sotto il letto (Yours, mine and ours) del 1968 non ha proprio niente da imparare da nessuno: ben 18 figli -se ben ricordo e se ho contato bene nella foto- risultato dell'unione di due vedovi già molto prolifici con i consorti di primo letto. Non contenti, i già stagionati sposini si danno tanto da fare da sfornarne, nel finale, un 19° (stavolta al 100% "loro"!!), che contribuirà a pacificare i non troppo idilliaci rapporti fra i restanti fratellastri. Roba da ridere, al confronto, gli 8 + 2 della televisiva Famiglia Bradford, fedeli compagni di tanti miei lontani pomeriggi casalinghi... La mamma sfaccendava in cucina, in attesa del ritorno del babbo, e noi tre sorelle, spaparanzate sul divano in salotto, ogni tanto le chiedevamo, senza troppa convinzione: "Hai bisogno di aiuto?". "Non importa, grazie" era l'invariabile risposta, "restate pure lì !". Tanto -il messaggio sottinteso era questo- l' avremmo avuta anche noi, una volta diventate grandi, la nostra bella dose di daffare quotidiano.
3 commenti:
Roby, ecco! American beauty è un film di cui occorrerà scrivere, vabbè che più se ne mettono più ne vengono in mente. Non sarà un film perfetto, ma io l'ho trovato molto acuto e pungente, e con degli interpreti (anche i giovani) notevole. Ma soprattutto lui e lei, che ni senbra che siano Spacey e la Bening, e ci faremo un bel dibbbattito (le b devono essere tre)perché secondo me ci schiereremo diversamente, ma che fine ha fatto Mena Suvari? Eh?
good night
Solimano
Per coincidenza, ho appena finito di vedere "Correre con le forbici in mano", tratto dal romanzo autobiografico di Augusten Burroughs. Per intenerci siamo dalle parti dei "Tenenabaum" e di "Steve Zissou", con inclinazioni narcisistiche alla "Thumbsucker" (altro film interessante). I rapporti parentali sono grotteschi, animati da forze centrifughe, tenuti insieme da miti arcani ("Io sono il patriarca. Quando dico "Salta", tu salti"). E' un film apertamente psicanalitico, ma non nel modo di raccontare, bensì nella trama: vengono messe in luce le dinamiche spesso irrazionali della vita familiare: la rabbia, l'egoismo, la gelosia, la castrazione, etc. Se vogliamo, per ognuno di questi elementi si potrebbe fare (e si fa, di solito) un film a parte. Viene inseguita dal protagonista una normalità impossibile.
Posso aggiungere un'altra cosa? Sarò breve. A parte i film "in solitario", senza famiglie nel mezzo, ho riconosciuto almeno due tendenze nel genere "Storie di famiglia": da una parte ci sono storie per "definire" (cioè, inseguire, ricostruire, scovare segreti, attribuire ruoli), dall'altra storie per "raccontare" una famiglia. Ma spesso i due generi si confondono perché neanche al cinema la famiglia è qualcosa di scontato.
E che dire dei film d'animazione: dopo Aladdin, non ci sono stati più orfani. Beh, meglio così.
Caro SOLIMANO, Mena Suvari aspetta solo che TU la vada a cercare, mettendo in moto i canali segreti delle tue informazioni...
Caro GIOACCHINO, non ho visto il film di cui parli, ma sono d'accordo sulla presenza, nelle storie familiari, di un'infinita ramificazione di spunti, estesa almeno quanto un albero genealogico. Grazie del post, anche perchè mi ha fatto ricordare con tenerezza mia nonna ("Per l'amor di Dio, cosa fai? Non si corre con le forbici in mano!!!")
Ave &vale
Roby
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