venerdì 2 novembre 2007

Duel

Duel, di Steven Spielberg (1971) Racconto e sceneggiatura di Richard Mattheson Con Dennis Weaver, Eddie Firestone, Gene Dynarski, Tim Herber, Charles Seel, Carey Loftin, Dale Van Sickel Musica: Billy Goldenberg Fotografia: Jack A. Marta (90 minuti, originalmente 74) Rating IMDb: 7.7
Solimano
Il film è del 1971, sono quindi passati poco più di trentacinque anni. Mi sono ricordato dell'esistenza di alcune righe scritte da Carlo Emilio Gadda riguardo gli autotreni e sono andato a cercarle: in rete non ci sono, ma a pagina 193 de "Le meraviglie d'Italia" Einaudi 1964, libro di cui sono felice possessore, le ho ritrovate in un brano intitolato "Mercato di frutta e verdura" e qui le trascrivo:

"Questi mastodonti, non quanto i treni forse, ma sono anche loro un bell'impiccio dentro il mercato: specie a voltare. Gargarizzano nottetempo il vasto silenzio delle campagne, con fari malvagi sulla camionabile, con malvagio traino: e talora, sull'asfalto bagnato, dimenano infame la coda".

Ne è successa una molto curiosa, dopo aver ritrovato il brano. Sono andato a vedere le note bibliografiche (l'edizione è molto accurata) ed ho scoperto che questo brano uscì per la prima volta a stampa su due numeri della rivista L'Ambrosiano, rispettivamente il 26 dicembre 1935 e il 2 gennaio 1936, poco più di trentacinque anni prima del film di Spielberg, l'esatto periodo dal film ad oggi! Credo al caso, ma questo è proprio un bel caso.
Non li amo molto, gli autotreni, specie nei tratti in discesa delle autostrade: la Bologna-Firenze, la Parma-La Spezia, la Milano-Genova. Nello specchietto retrovisore vedo arrivare a velocità incredibili quegli stessi bestioni che anfanavano in salita dieci chilometri prima, e sono fra Scilla e Cariddi, il guardrail ed i loro sorpassi sfioranti. Se cerco di andare più velocemente mi si incollano a pochi centimetri e mi suonano addosso appena tocco il freno.

Su Duel si è fatta filosofia, alla ricerca di simboli, precedenti, significati, metafore. Serve a poco, è così chiaro e semplice così come è. La realtà possibile - e questa realtà è possibile - contiene, per come si esplica, già tutta la valenza del dramma, diviso in tempi come una sinfonia. Parte adagio, lievemente ironico, con David Mann (Dennis Weawer) che viaggia per i suoi appuntamenti di lavoro commerciale e che ascolta la radio: cronache, musica, ma soprattutto pubblicità generalmente pataccona (c'era maggiore ingenuità, negli spot di allora). Mentre ascolta, pensa al dissidio avuto con la moglie la sera prima e si ferma a telefonarle. Lei risponde, mentre i due ragazzi stanno giocando, e si capisce che David la sera prima non ha fatto una gran figura: erano ad una serata fra amici (chiamiamoli così) e David non ha avuto il coraggio di proteggere la moglie dalle avances sopra le righe di uno che, come dice la moglie, "praticamente ha cercato di violentarmi in pubblico". Dal tono della telefonata si capisce che David sa di aver sbagliato e sa che dovrà lottare per recuperare la stima di sua moglie. Non è una bella presentazione, David è uno di quelli che quando c'è una grana si defilano. Averlo fatto quando la moglie era messa in difficoltà magari da un collega o dal capo, è indizio di viltà e disamore.
Poi comincia la storia coll'autotreno, un vecchio ma forzuto mastodonte, per stare con Gadda, e David cerca dapprima di prenderla bene, come un ricambio di sgarberie fra gente che guida un po' in frenesia, ma c'è il momento in cui è costretto a sbattere il muso non contro simboli, significati o metafore: è in corso una lotta per la vita fra lui e il camionista, che non si vede mai, salvo un braccio che sporge dal finestrino per dare strada a David, però in modo subdolo.
I vari episodi di questa lotta non li racconto, perché chi ha visto il film li sa, chi non l'ha visto è bene che se li guardi senza sapere prima come si svolgono. Racconto brevemente i break dello scontro, perchè sono break solo apparenti, e la tensione è forte, essendo presente anche nelle situazioni in apparenza quasi idilliche.

C'è un pulmino fermo perché non riesce né ad andare avanti né indietro, con l'autista ed una ventina di bambini, che sono dei piccoli diavoli. Prima si siedono sul cofano della macchina di David che deve insistere perché si spostino, poi i bambini si mettono a sfotterlo mentre lui cerca di spingere il pulmino con la sua macchina.
C'è la coppia di placidi anziani che guidano la loro auto, David chiede che si rivolgano alla polizia, questi lo trattano da matto pericoloso, accelerano e lo lasciano in mezzo alla strada.
C'è la vecchia che vicino alla cabina telefonica tiene le gabbie con serpenti, sauri e ragni enormi, e che desidera che David guardi e le dica quanto è brava: poi, dopo che l'autotreno, volendo distruggere David, ha distrutto la cabina telefonica, la vecchia si preoccupa solo dei serpenti rimasti coinvolti.
C'è David, nel ristorante-bar della stazione di servizio, che si accorge di essere solo contro il mondo: fra gli avventori c'è quello che lo vuole uccidere, ma non sa come riconoscerlo - hanno tutti ai piedi stivaletti simili - e ne sbaglia l'identificazione venendo malmenato e buttato fuori fra l'indifferenza di tutti.
La crudeltà nasce dalla banale concretezza di quello che succede, così Spielberg decide di condurre il film, e lo conferma la sua risposta nuda e cruda all'attore che gli chiedeva le motivazioni: "You're a dirty, rotten, no-good son of a bitch." Lo trovo impeccabile, poi ragioniamo, ma prima diciamo la cose come stanno, contano di più del significato che si applica. David deve accettare che non c'è aiuto possibile, deve provvedere a sé, con una macchina che quasi non va più, contro il mastodonte che sta ottenendo quello che voleva (l'autotreno è personalizzato, è quell'ammasso di ferraglia il nemico). In pochi secondi, si fa un piano semplice, a cui il mastodonte, per la sua stessa pesantezza e velocità non è in grado di opporsi, David usa la forza dell'avversario per sconfiggerlo. Nei primi momenti, appena vede il mastodonte ormai morto giù per il dirupo, David ha espressioni di felicità corporea, fa balzi in aria, si vede nell'immagine che l'ombra non comincia dai piedi. Poi si siederà a riflettere, avendo provveduto, prima della risoluzione dello scontro, a salvare la valigetta professionale, contenente di sicuro i contratti commerciali per l'indomani.

Spielberg aveva 24 anni e non era alla prima esperienza, da tre o quattro anni lavorava intensamente per la TV. Così doveva essere anche Duel, un telefilm a basso budget, da girare rapidamente. Spielberg ci mise meno di venti giorni (qualcuno dice tredici). Con questo film in cui è gara dura trovare un difetto seppur piccolo, cominciò la sua carriera. L'ho rivisto in questi giorni, e mi sono chiesto se per caso Duel non sia il suo film migliore. Non sono abituato a fare classifiche, dico che tutto si svolge con scarna rapidità (però misurata, non frenetica), e mi immagino le facce dei primi spettatori, a vedere un film basato su una idea semplice, ma universale: la lotta per il potere in un mondo fatto tecnologico.

3 commenti:

Giuliano ha detto...

Richard Matheson, l'autore della sceneggiatura, è un nome che va sottolineato. Io ho letto poco di lui, ma almeno "I am the legend" è un capolavoro sicuro. Un capolavoro che purtroppo non è finito nelle mani di Spielberg, ma di altri meno bravi che hanno tratto film come "Occhi bianchi sul pianeta terra",davvero bruttino, e tanti remakes ancora peggio.

E poi sono d'accordo, questo è il miglior film di Spielberg. Glenn Gould diceva che secondo lui le opere prime sono sempre le migliori, perché poi si perdono originalità e spontaneità... Un po' drastico, ma non ha tutti i torti. (Basta pensare a Fellini e al tuo discorso sullo "Sceicco bianco")

Solimano ha detto...

Giuliano, l'analogia c'è, perché anche Lo sceicco bianco è un film che sotto l'apparenza minimalista di cose ne dice tante.
Per Spielberg il minimalismo era di fare uno dei tanti telefilm e di farlo in meno di venti giorni.
Evidentemente avevano capitalizzato dentro di sé quello che avevano da dire e che aspettava solo l'occasione, che per Spoelberg fu il telefilm, per Fellini un soggetto di Antonioni che girava da un po' e che nessuno si decideva a prendere.
Questi due film li ho rivisti entrambi molto recentemente e sono rimasto sbalordito in entrambi i casi dalla freschezza dei problemi, che in modo diverso esistono anche oggi, e le risposte di Fellini e Spielberg sembrano più vere di quelle di tanti che li affrontano più à la page.
Anche per certi libri succede così: per tutta la vita Moravia cercò di rifare Gli indifferenti e Thomas Mann I Buddenbrok.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Bisogna però dire che Gould ci si divertiva un mondo, ad essere così drastico... Chissà se ci credeva anche lui: ci sono un'enormità di prove del contrario, da Bach a Beethoven a Tiziano a Giuseppe Verdi (ma la provocazione di Gould è molto intelligente).