mercoledì 28 novembre 2007

The dreamers

The dreamers , di Bernardo Bertolucci (2003) Sceneggiatura di Gilbert Adair Con Michael Pitt, Eva Green. Louis Garrel, Anna Chancellor, Robin Renucci, Jean-Pierre Kalfon, Jean-Pierre Léaud, Florian Cadiou, Pierre Hancisse Musica: Jimi Hendrix, Michel Polnareff, Charles Trenet, Françoise Hardy, Nino Ferrer, Martial Solal, The Doors, The Platters, Edith Piaf, Fred Astaire, Bob Dylan Fotografia: Fabio Cianchetti (115 minuti) Rating IMDb: 7.1
Giuliano
Un attimo prima del maggio ’68, a Parigi, due ragazzi e una ragazza si trovano da soli in un appartamento, e fanno vita comune. Sembrerebbe un film come tanti, ma c’è molto di morboso in questa situazione, anche perché due di loro sono fratello e sorella. Ma non è questo il punto, e ho trovato fastidioso, quando è uscito il film, il troppo indulgere, anche del trailer, sulle scene di sesso. Si sa che Bertolucci dal sesso è molto attratto, e ci gioca parecchio, almeno dal tempo di “Ultimo tango a Parigi” che aveva questa stessa situazione decisamente claustrofobica, sia pure dentro una storia molto diversa. C’è anche, ed è importante, il gioco del cinema nel cinema: con molte citazioni importanti e con i tre ragazzi che rifanno la scena di “Jules e Jim” di Truffaut della corsa per i corridoi del Louvre. Ma, mi ripeto, non è questo il punto.

A me piace molto il modo di fare cinema di Bertolucci, che anche in questo film si conferma un maestro: nelle immagini, nel modo di raccontare, nel guidare gli attori. Insomma, questo è proprio un Bertolucci, con tutti suoi pregi e tutti i suoi difetti, compreso il troppo indulgere sul sesso. Il difetto vero del film è invece che per capirlo bene bisogna avere una certa età, e anche una certa formazione. Per esempio, nel film Bertolucci dà quasi per scontato che tutti conoscano Chaplin e Keaton: ahinoi, non è più così... Una volta i loro film erano programmati regolarmente in tv, ma per un ragazzo di 15-25 anni non è mica così scontato. Anzi, si potrebbe senz’altro dire che l’essere troppo appassionati di cinema, e in genere l’essere troppo appassionati di qualcosa che non sia la formula uno o il campionato di calcio o il festival di Sanremo, è diventato un handicap, un difetto grave dal quale bisogna emendarsi: è una spiacevole novità degli ultimi vent’anni, mentre non era così negli anni ’60 e ’70, dove uno poteva dire di ricordarsi di questo o quel film, o di questo o quel libro, senza doversene vergognare pubblicamente.

Ma non vorrei parlare troppo di queste cose, non oggi: perché questo è un film da vedere, e perché – oltre alla bella confezione – contiene un messaggio importante (il famoso "messaggio": una volta si usava, oggi invece è diventata una parola sconveniente...). Il messaggio è questo: che non bisogna chiudersi in se stessi, e che le società che si chiudono su se stesse finiscono per morire. Morire per asfissia, e infatti è questa la decisione che prende nel finale la protagonista; ed è grazie a un intervento da fuori (dalla vita vera), cioè un sasso che rompe il vetro, che viene evitata la morte dei tre ragazzi per asfissia, perché la ragazza aveva chiuso tutto e aperto il gas. In questa chiave vanno lette anche le cose che hanno disturbato molti degli spettatori del film: l'incesto, la masturbazione, e tutto quel rinchiudersi (al cinema prima, e poi nell'appartamento). E poi il finale: anche la violenza (la violenza dentro il '68 francese) è un richiudersi su se stessi, un negarsi al dialogo. Nel libro da cui è tratto il film, il finale era diverso e il ragazzo americano moriva colpito da un proiettile vagante; ed quindi è un gran bel messaggio che ci manda Bertolucci, e molto attuale. Peccato che poi in tv e sui giornali si parli soltanto delle scene di sesso...

8 commenti:

Dario ha detto...

[...]Per esempio, nel film Bertolucci dà quasi per scontato che tutti conoscano Chaplin e Keaton: ahinoi, non è più così... [...]

Purtroppo è proprio vero :-( mi capita con i bambini ed è tristissima cosa... certo poi diventa una scusa per vedere insieme il film :-) ma riabituarli alla (finta) semplicità di quelle immagini o all'attesa dell'"evento" (costruzione tipica di molte scene) dopo anni di (vuota) velocità televisiva è impresa ardua.

Anonimo ha detto...

Il Bertolucci più sincero è per me quello di Novecento. A quando una vostra bella scheda film?

Giuliano ha detto...

Caro Dario, ma adesso chi glielo dice, a Bertolucci? Secondo me ci rimane male... Da una parte, è inevitabile che le cose di cent'anni fa vengano dimenticate; anche noi ci ricordiamo di Leopardi perché è stato messo nei programmi di scuola, in fin dei conti è così anche se è un po' triste. Dall'altra parte, i film di Keaton e di Chaplin sono stati copiati da generazioni intere, e se un comico di oggi vuol far davvero ridere va a pescare ancora in quel bacino lì, dentro i film del cinema muto o (nel caso di comicità verbale) nei film di Totò e Campanini. Tanto, chi se ne accorge?

Caro Brian, "Novecento" è già in archivio: c'è anche una bella location descritta da Solimano. Adesso aspettiamo il tuo post...

Solimano ha detto...

Finora, io ho scritto solo la location de La strategia del ragno (Sabbioneta), ma per Novecento c'è il post di Giuliano, poi c'è la recensione a caldo di Alberto Moravia, ed una lunga e bella intervista a Bertolucci di Beppe Sebaste (suddivisa in due post).
Prima o poi scriverò anch'io un post su Novecento, perché le esperienze possono essere diverse, e mi piacerebbe che anche Brian (ad esempio) scrivesse su questo film, che piaccia o no è una pietra miliare: con voci diverse aumenta la consapevolezza e la comprensione.

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Ho letto il tuo commento sul blog di Giulia, riguardo all'ascolto. Complimenti, mi è piaciuto molto quello che dici perché hai saputo coniugare un atteggiamento positivo con un modo di agire pratico, cosa rara.

Riguardo al film di Bertolucci: l'ho visto tanto tempo fa, mi era piaciuto anche se avevo avuto l'impressione che il finale fosse un po' troppo sbrigativo.
Tra Chaplin e Keaton: Chaplin, senza ombra di dubbio. Come si dice nel film stesso di cui parliamo, il finale di Luci della città è qualcosa di geniale, per non citare Tempi Moderni.
Un saluto :-)
Barbara

Giuliano ha detto...

Cara Barbara, io mi tengo sia Keaton che Chaplin. Keaton è meno immediato, ma è grandissimo: se ti capita "The General", non perderlo (è quello con la locomotiva nella Guerra di Secessione).
Bertolucci è molto fine, e tutto quello che mette nei suoi film è molto meditato. (poi ognuno ha le sue opinioni, i film possono piacere o non piacere, ma Bertolucci è uno dei pochi che sa sempre quello che sta facendo)
saluti carissimi
Giuliano

P.S.; Il sito di Barbara è un bel posto, ci sono stato ed è molto luminoso e confortevole.

Solimano ha detto...

Barbara, ti ringrazio, mi fa piacere quello che dici. Sono convinto che nel mondo dei blog esistano molti talenti e moltissime persone che potrebbero fare, fare meglio quello che già fanno. Serve un po' di disciplina nelle priorità, il che non vuol dire provare meno piacere, ma provarlo ad un livello più alto. Si tratta sempre di passare dalla grammatica alla pratica, come è possibile. Anche Giulia è d'accordo, ed è venuta gentilmente a dirlo nel Nonblog di Habanera, dove ieri ho scritto il post "Quando ShinyStat dà i numeri", su un caso abbastanza curioso che ci è capitato.

au revoir
Solimano

Anonimo ha detto...

Un commento molto interessante.
Anche la violenza è una forma di chiusura, proprio così. Dopo aver letto queste parole, il finale mi sembra molto più triste di quanto pensassi.