giovedì 16 ottobre 2008

La critica ieri e oggi: San Francisco

San Francisco, di W.S.Van Dyke (1936) Con Clark Gable, Jeannette McDonald, Spencer Tracy Sceneggiatura di Anita Loos da una storia di Robert E. Hopkins Fotografia di Oliver T. Marsh Musica di Herbert Stothart e Edward Ward Effetti speciali di James Basevi ( 115 minuti) Rating Imdb 7,4
Roby
IERI
«San Francisco è uno di quei macchinoni a cataclismi, che il vecchio Mayer non manca mai di mettere, una volta all'anno, nel suo programma. L'anno passato ci aveva servito il monsone di Sui mari della Cina, quest'anno ci scodella il terremoto di San Francisco. Quale spettacolo più grandioso di un maremoto, di una eruzione, di un diluvio? "Ebbene - egli ha l'aria di pensare- pochè i noleggiatori chiedono spettacolo, gli esercenti spettacolo, il pubblico spettacolo, diamogli un bel cataclisma e non parliamone più!". Così è nato San Francisco.
Il quale ha, come piatto di portata, una ricostruzione (la parola per un terremoto è indelicata, ma è la sola appropriata alla cosa) del famoso terremoto del 1906: il terremoto che rase quasi completamente al suolo la città, e da cui la nuova San Francisco doveva risorgere più luminosa e più bella. Questo terremoto è, pare, il capolavoro di un onesto specialista del ramo, James Basevi, un modellista e trucchista che passa per essere il più bravo in catastrofi di tutta Hollywood, ricercatissimo ogni volta che c'è da sprofondare una montagna, o da far saltare in aria mezza città. Tecnicamente infatti l'episodio è un pezzo di mestiere superbo. Lo sarebbe stato anche drammaticamente se Van Dyke avesse avuto più misura nell'adoperare la scienza dei suoi modellisti: se non avesse fatto volare dei palazzi come mucchietti di zolfanelli, o non avesse preteso di cavare di sotto a un intero muro Clark Gable, con una semplice escoriazione a una tempia e uno sbrindello ai pantaloni.


A ogni modo, dove l'esagerazione non nuoce, c'è spesso un tragico soffio nei quadri di questa città crollata e in fiamme, attraverso la quale Clark Gable erra col viso sanguinante e gli occhi contratti in una volontà disperata, cercando la donna che ama, e che teme perduta. Quello che invece Van Dyke ha mancato assolutamente, malgrado evidenti appelli a celebri modelli russi, è il movimento corale alla fine, della folla che corre sul ciglio del colle a guardare la città dove gli ultimi incendi si spengono. C'è bravura, ma manca emozione. King Vidor avrebbe fatto molto di più. Il personaggio dominante è quello di Clark Gable, Blackie Norton, un altro di cotesti ruvidi, e maneschi signorotti di Barbary Coast che la stagione cinematografica 1936-37 ha particolarmente rimesso in onore (La riva dei bruti, la Costa dei barbari, ecc. qui per la prima volta è tradotta giusta: Costa di Barberia). Blackie si innamora di una ragazza, Mary Blake, che era venuta a San Francisco con la speranza di cantare all'Opera, e che per fame deve acconciarsi invece a fare la sciantosa nel suo locale. Il conflitto si determina fra la vocazione di Mary, che la spinge ad evadere da quel mediocre mestiere, e l'amore di Blackie che cerca di trattenervela.



Il personaggio di Mary (Jeannette Mac Donald) costretto dall'intreccio a due precipitati voltafaccia, è un po' sconnesso e artificiale, ma quello di Blackie è ben delineato, e Clark Gable lo porta splendidamente. Anche il prete pugilatore di Spencer Tracy è un tipo vividamente riuscito. Jeannette Mac Donald, non sempre in bellezza, canta quattro o cinque volte spingendosi (imprudente!) fino alla Traviata, ma tornando in tempo a canzoni del suo calibro. Evidenti idiosincrasie nei costumi, come Clark Gable che passa da un costumino sportivo prettamete ottocentesco a un frak che con i suoi tre bottoni, e le sue falde che battono immediatamente al di sotto del ginocchio, denunzia la sua data: 1935. Doppiato irreprensibile.»

Filippo Sacchi, Il Corriere della Sera, 27 febbraio 1937


OGGI
«Tanti anni fa c'erano i giorni della Fiera di Roma. Io non ci ho mai messo piede, a quella fiera. Eppure la ricordo con dolcezza. Si deve sapere che allora, trent'anni fa, la TV trasmetteva solo due film a settimana, uno il lunedì, l'altro il martedì. ncredibile, no? Per questo a noi sembrava incredibile che ci fossero dei giorni in cui venivano trasmessi altri film. E poi, di mattina. Infatti per celebrare la Fiera la RAI trasmetteva al mattino, per una o due settimane, dei film classici. Allora ci si doveva inventare una scusa per non andare a scuola. E così si restava a casa, da soli con la TV e il proprio film.

Fu allora che vidi San Francisco. Un filmone del 1936, epico, drammatico, avventuroso. Un progenitore del filone catastrofico come Terremoto o L'Inferno di cristallo. Clark Gable era davvero eccezionale, un uomo solo dentro una catastrofe. Un impasto di coraggio e di ardimento, di sprezzo del pericolo e di audacia. Il film è un capolavoro del grande cinema popolare di quegli anni. Costò una barca di soldi. E ne fece ancora di più. Il film è, ovviamente, in bianco e nero. Ma sembra quasi che i colori ci siano. Forse è l'emozione per quelle matinées intense (...).»

Walter Veltroni, da Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale di film, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1988


PS: Recensioni trovate su Mymovies

PPS: anch'io, come Veltroni, ho visto il film da piccola, in Tv. Anche per me l'impressione fu quella di un filmone. Oggi, ritrovandolo nel primo pomeriggio su un canale locale, non sono riuscita a trattenere le lacrime. Ho pianto sulla città distrutta, la stessa in cui, pochi anni più tardi, sbarcò il mio nonno materno in cerca di fortuna; ho pianto sulle macerie di cartone, sui pantaloni elegantemente sbrindellati di Clark Gable, sul fuoco finto che divora tutto; e -last but not least- ho pianto anche sulla mia infanzia, ormai lontana anni luce...


5 commenti:

Giuliano ha detto...

Sì, questo è uno dei filmoni che ti rimangono dentro, anche perché si sa da subito che il terremoto e l'incendio ci sono stati davvero, e si diventa partecipi. Ho visto anche film sul terremoto recente a San Francisco e si sente che c'è sotto un'emozione vera (purtroppo vera...).

Ho anch'io lo stesso ricordo di Veltroni, penso che sia stato così per tutti: i film li davano alla mattina alle dieci, un'ora in cui di solito se accendevi la tv non c'era proprio niente, nemmeno il monoscopio. Si può aggiungere che era così anche per il periodo della Fiera di Milano, per la Fiera del Levante (e poi basta, se non ricordo male). Non ho mai capito bene a cosa servisse di preciso, forse era un modo per fare festa e dare occasione alla Fiera di avere i televisori accesi; però a scuola si invidiava chi stava a casa, sembrava una gran cosa.

WS van Dyke è il papà di Dick van Dyke! Anche questo va detto, è un'altra occasione per far festa.

Anonimo ha detto...

Cara vedo che il genere catastrofico però ti attira molto. Mi è piaciuta la commossa nota finale. Non ricordo questo film anche se devo averlo visto (non ne perdevo mai uno) di sicuro. Un tempo li trasmettevano in orari serali, ora sono spariti (con mio sommo rammarico) per lasciare spazio a film molto più recenti e scadenti. Soo contenta però di sapere che in qualche ora pomeridiana si possono ancora vedere. Devo aspettare l'influenza:)
C.Gable era proprio un gran bel pezzo d'uomo.

Solimano ha detto...

Ho avuto due esperienze col terremoto. Una diretta, a Parma, dove abitavamo al quarto piano quindi l'appartamento oscillò e scappammo per strada (ma si ruppe solo una specchiera). Non fu piacevole.
L'altra indiretta, ma sofferta: il terremoto del Friuli. Eravamo già andati via, ma patimmo nel vedere i posti conosciuti ed amati ridotti così: Gemona, Venzone, Majano, San Daniele, Colloredo, Udine stessa. Fu terribile, il terremoto nel Friuli, morirono centinaia e centinaia, anche persone che conoscevamo. Ma in pochi anni fu ben ricostruito. Anche troppo, qundo ci tornammo non lo riconoscevamo più.

saludos
Splimano

Roby ha detto...

Giuliano, sospettavo che in effetti ci fosse parentela fra i due Van Dyke. Grande famiglia, non c'è che dire!

Io ricordo che le trasmissioni mattutine in occasione delle Fiere erano solo per certe "zone", come Milano o Roma. A Bologna o a Firenze, che io sappia, il video restava nero e muto. E noi bambini/e di laggiù invidiavamo da morire i "colleghi" laziali o lombardi tanto fortunati. Poi ci fu lo sbarco sulla luna del 1969, e allora i film e le trasmissioni in orari "strani" furono una lieta sorpresa, ricordata per decenni come un episodio assolutamente eccezionale. Se lo racconto adesso alla mi' figliola, come minimo scuote la testa con aria di compatimento...

Silvia e Solimano, il genere catastrofico -quando non è eccessivo- ha il potere "catartico" di rilassarmi, un po' come succedeva agli antichi greci quando assistevano alle tragedie di Eschilo, Sofocle & Co. (scusate, non volevo fare sfoggio di kultura: mi è venuto così, senza malizia).

Certo, trovarsi alle prese con un terremoto "vero" è tutta un'altra cosa. Per ora, le mie esperienze in merito si limitano a un paio di lampadari oscillanti per piccole scosse di assestamento provenienti dall'Appennino. Mi auguro con tutto il cuore di non dovermi cimentare MAI con i più alti gradi della scala Mercalli!!!

Baciotti

R.

Roby ha detto...

PS: Solimano, grazie per aver rimpolpato il corredo di immagini!!!!