O Ano em Que Meus Pais Saíram de Férias, di Cao Hamburger (2006) Sceneggiatura di Adriana Falcão, Claudio Galperin, Cao Hamburger, Bráulio Mantovani, Anna Muylaert Con Michel Joelsas, Germano Haiut, Paulo Autran, Simone Spoladore, Eduardo Moreira, Caio Blat, Daniela Piepszyk, Liliana Castro, Rodrigo dos Santos Musica: Beto Villares Fotografia: Adriano Goldman (104 minuti) Rating IMDb: 7.8
Annarita sul suo blog L'angolo di Annarita
Il titolo è un eufemismo.
Lo si capisce subito dal nervosismo con cui la giovane Bia passeggia tra le valige pronte e la finestra, fumando una sigaretta dopo l'altra. Il marito Daniel è in ritardo e ogni tanto Bia si volta a sollecitare il figlio dodicenne affinché metta via tutto ciò che ha sul tavolo e si tenga pronto. Il piccolo Mauro invece non sembra avere nessuna fretta, continua a sistemare con cura il pacchetto di sigarette che funge da portiere e si appresta a tirare la pedina in porta. Finalmente Daniel arriva, trafelato, e la famigliola è pronta per partire. Mauro ha appena il tempo di un ultimo tiro con il papà e poi di sistemare le porte e le pedine del sacchetto. Si parte. Bia e Daniel cercano di reprimere la tensione, ma lungo la strada che li porta da Belo Horizonte a San Paulo si vedono camion militari.
E sì, perchè siamo nel Brasile del 1970, il fatidico anno dei mondiali di calcio, e il paese è schiacciato dalla dittatura e pure se non viene detto esplicitamente, intuiamo che Bia e Daniel devono scappare per motivi politici, come tanti in quegli anni.
Ma questo Mauro non lo sa, la sua testolina di dodicenne è piena di entusiasmo per la formazione della nazionale di calcio e per la possibilità che conquisti il titolo mondiale per la terza volta.
Il viaggio della piccola famiglia si conclude nel colorito e rumoroso quartiere multietnico di Bom Retiro e i genitori lasciano il piccolo Mauro davanti al condominio in cui abita il nonno paterno Mòtel, al quale sarà affidato. La separazione è dura, Bia piange, non si decide a lasciare il figlio, Daniel la sollecita e continua a ripetere a Mauro di rispondere a chiunque glielo chieda che loro due sono andati in vacanza.
Mauro guarda la Volkswagen azzurra dei genitori allontanarsi e poi si decide a salire e a suonare alla porta del nonno. Ma il tempo passa e nessuno gli risponde. Il destino ha deciso diversamente. Mòtel è morto d'infarto quella mattina.
È l'anziano vicino di casa Shlomo, impiegato nella sinagoga, a trovare Mauro sul pianerottolo e ad occuparsi di lui nell'immediato. Difficile l'inizio della forzata convivenza tra un anziano scapolo, scrupoloso ebreo praticante, e il piccolo Mauro ammalato di nostalgia per i genitori. Oltretutto Shlomo scopre con orrore che il ragazzino, pur essendo figlio e nipote di ebreo, non è mai stato circonciso e il suo sconforto aumenta. Il rabbino e tutta la comunità lo esortano a rispondere alla chiamata divina e a continuare a prendersi cura del bambino, che viene ribattezzato Moishele. A questo proposito Mauro interroga una vicina di casa, la quale gli racconta la storia del piccolo Mosè salvato dallae acque dalla figlia del faraone, e da quel momento in poi non può fare a meno di sorridere ogni volta in cui guarda il vecchio e burbero Shlomo, assai improbabile in quel ruolo biblico. Tra alti e bassi la vita di Mauro prosegue: ospitato a turno dalle famiglie del palazzo il piccolo fa la conoscenza del nutrito e varipinto mondo del quartiere in cui convivono pacificamente persone di varie nazionalità. Entrano così a far parte della sua vita la piccola Hanna, deliziosa coetanea ebrea con uno spiccato talento per gli affari che attua grazie al negozio di abbigliamento gestito dalla madre (ha praticato dei fori sulle pareti delle cabine di prova degli abiti e i suoi compagni pagano per guardarvi attraverso);
la splendida Irene di origine greca, sogno proibito degli adolescenti del quartiere, segretamente fidanzata con Edgar, un mulatto che è anche il portiere della squadra di calcio locale (immaginate la fila dei clienti di Hanna, quando si sa che Irene andrà a provare dei vestiti?);
lo studente universitario Italo, di origini italiane, coinvolto nei disordini all'università, il Rabbino e la comunità ebraica.
I mondiali cominciano e Mauro si attacca tenacemente al ricordo della promessa dei genitori di tornare in tempo per vederli insieme, ma naturalmente non è così. L'eco dei disordini e della repressione si fa sempre più forte, ma tutti sembrano volersi stordire nell'ebbrezza delle partite di calcio, seguendo il trascinante percorso della nazionale brasiliana fino alla partita finale contro l'Italia.
Mauro non compie solo il classico percorso di formazione, è il narratore in prima persona di vicende più grandi di lui delle quali ha solo una vaga e pallida idea, tutto preso com'è tra la spasmodica attesa dei genitori e gli stupori e le curiosità che gli derivano dal trovarsi improvvisamente immerso nella composita realtà di Bom Retiro.
Tutto il film ha l'andamento di una commedia dolce-amara nella quale spesso si sorride perché le vicende sono filtrate dallo sguardo stupito del piccolo protagonista e dei suoi amici, che in una fase delicata della loro vita quale il passaggio all'adolescenza si trovano di fronte a una dura realtà più grande di loro, ma nella quale riescono a vivere con il tipico e robusto spirito di adattamento dei ragazzini. Ed è proprio uno dei maggiori pregi del regista Cao Hamburger l'esser riuscito a non annacquare il film in stereotipi o inutili sdolcinatezze o in retoriche rappresentazioni dell'adolescenza. La naturalezza e l'umorismo sono i punti di forza della vicenda, che pure non dirada mai completamente, e non potrebbe, la nube oscura della realtà quotidiana costituita dall'inquietante presenza della dittatura.
I mondiali si concludono con la vittoria del Brasile sull'Italia e la conquista dell'ultima coppa Rimet della storia del calcio moderno e nell'eco dei festeggiamenti che si spengono Bia fa ritorno, sola. Mauro non ha bisogno di fare domande alla madre, e dietro la quieta affermazione che il papà è sempre il ritardo, come suo solito, c'è tutto un mondo di sentimenti e di sensazioni, di parole non dette.
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4 commenti:
Grazie Annarita, ho cercato di fare del mio meglio, ma se c'è qualcosa da correggere dimmelo pure qui nei commenti.
saludos
Solimano
A me fa impressione che non si parli mai delle dittature sudamericane. Ci sono stati anni spaventosi, soprattutto in Argentina e in Cile, ma la "disinformatia" funziona benissimo, soprattutto in Italia.
Ben vengano film come questo, ai quali è più che giusto dare risalto; anche se poi sappiamo già che ci sarà il Gasparri o il Maroni di turno pronto a disinformare per l'ennesima volta...
Nulla da eccepire, il tuo apparato iconografico è più icastico e il mio post ne guadagna. Grazie per l'ospitalità :-)
Annarita
Sì, però, Annarita, per cercare di essere meglio stavolta mi hai fatto sudare (lo sai che sono competitivo, come tutti, solo che io non mi vergogno ad ammetterlo). E comunque che ci siano due edizioni immaginifiche del tuo ottimo testo è una bella cosa cosa.
Grazie e saludos
Solimano
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