giovedì 28 febbraio 2008

La storia di Agnes Browne


Agnes Browne, di Anjelica Huston (1999)Dal racconto "The Mammy" di Brendan O'Carroll, Sceneggiatura di John Goldsmith e Brendan O'Carrol Con Anjelika Huston, Marion O'Dwyer, Niall O'Shea, Ciaran Owens, Roxanna Williams, Carl Power, Mark Power, Ray Winstone, Ton Jones, Kate O'Toole, Olivia Tracey Musica: Paddy Moloney, Canzoni cantate da Tom Jones, The Chieftains, Montserrat Caballé, "Petite fleur" di Sidney Bechet Fotografia: Anthony B. Richmond (92 minuti) Rating IMDb: 6.2

Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce
La storia di Agnes Browne è un film che è bello vedere per molti motivi: perché parla della vita di una donna che deve lottare tutti i giorni per affrontare le difficoltà della vita, perché lo fa senza mai perdere la voglia di vivere e di lottare, perché anche nei momenti di disperazione cerca una strada per uscirne, perché ama i suoi sette figli e non li vede come un peso. E' bello vederlo perché ci insegna come le difficoltà, le tragedie della vita si affrontano meglio imparando a costruire intorno a noi una comunità solidale, costruendo rapporti di amicizia, quella vera fatta di poche parole, ma di molti fatti e complicità nel senso più bello del termine, sapendo condividere tutto senza chiusure e diffidenze, senza calcolare chi dà di più e chi dà di meno. Tutto nella semplicità più assoluta, quella semplicità che impedisce alla nostra mente di avvilupparsi in pensieri tortuosi che imprigionano la nostra genuinità.

E bisogna vederlo, perché si ride e si piange, ci si commuove e anche nei momenti più tragici, l’ironia e il senso dell’umorismo non vengono mai a mancare. E i personaggi sembrano non aver dimenticato di ridere quasi che con una bella risata il dolore si faccia sentire di meno.

Siamo nel 1967 a Dublino. Il marito di Agnes Browne muore all’improvviso lasciandola con sette figli. Agnes attraversa le strade del mercato altera e decisa verso la Chiesa che celebra i funerali del marito. I suoi sette figli la precedono silenziosi, con indosso i maglioncini nuovi avuti in beneficenza. Sarà dura per Agnes. I soldi sono pochi, le minacce dello strozzino Billy le tolgono il respiro, il lavoro scarseggia. Marion le trova un banchetto di frutta accanto al suo e si offre di accompagnarla verso una nuova vita che Agnes affronterà con forza e caparbietà. La sua vita è certamente difficile ma la protagonista non perderà mai un senso quasi giocoso dell’esistere, in cui c’è spazio per il lavoro, per i problemi adolescenziali dei suoi figli, per la scoperta della propria femminilità desiderosa ancora di passione, per un’amicizia che è al centro di ogni suo pensiero.

Ed è una conversazione tra amiche la scena più genuina ed esilarante del film, quando Marion fa ad Agnes la cronaca minuziosa di due inattesi e conquistati orgasmi - costringendo la vedova recente a a protestare con il defunto marito "Sette figli, e manco un orgasmo...". Per fortuna la vita sembra offrirle, al di là delle gioie della maternità, una seconda possibilità.Il film non è certamente un capolavoro, non è uno di quei film che rimarranno alla storia, a volte ci appare un po’ troppo costruito ed ingenuo specialmente nella parte finale, ma forse rimarrà ugualmente nei nostri cuori un po’ stanchi e disillusi.

Mi ha fatto pensare a mia mamma quando mi racconta il la guerra e che mi dice sempre:" di questo periodo non ho mai dimenticato quell’amicizia tra donne che ci sosteneva e ci aiutava ad affrontare giorno dopo giorno le difficoltà e le paure insieme ai nostri figli", una quotidianità vissuta insieme e che le dava tanto coraggio "e non credere - mi dice sempre - sapevamo anche divertirci, ridere anche se la morte era sempre presente nei nostri cuori".

Penso anche al clima di solidarietà che esiste ancora oggi tra gente anche poverissima, per esempio, nelle favelas del Brasile dove ho potuto vedere di persona come appunto ridere è una ricetta per sopravvivere che non manca mai, là dove la mafia non ha ancora guastato tutti i rapporti. Forse a volte noi ci perdiamo in un bicchier d’acqua e siamo così afflitti perché siamo troppo soli.

Il film è tratto dal libro dell’irlandese Brendan O’Carroll, Agnes Browne mamma, uscito nel 1994.
"Quando ho letto il famoso romanzo dell’irlandese Brendan O’Callol, dal titolo The Mammy, – ha detto la regista e protagonista del film, Angelica Huston - mi sono piaciuti gli archi di questa donna dal carattere forte che riesce a dare una seconda chance alla sua vita. Mi sono piaciuti gli alti e bassi cui il personaggio andava incontro. Questo credo dipenda proprio dal difficile passato di questo paese. I suoi abitanti, donne e uomini, per controbilanciare le difficoltà e le sofferenze ricorrono al senso dell’umorismo, ed è proprio questa strana combinazione tra riso e pianto, questa miscela di emozioni che ha attirato l’attrice che è dentro di me".


P.S. Ieri sera stavo cercando le immagini per il bel post di Giulia. Sono stato colpito come di questo film -che non ho ancora visto- fossero presenti immagini in cui si vede Anjelica Huston, la protagonista, insieme ad altre donne. Alla fine le ho privilegiate, le ho scelte quasi tutte così. Il tema non è l'amicizia, ma la solidarietà. Amicizia è spesso una parola ambigua, anche perché, che ci piaccia o no, non è generalmente vero che una amicizia è per sempre: si cambia nella vita, e non si trovano più argomenti comuni, si ripiega sul dobbiamo vederci, mentre dovremmo stare sul piacciamo vederci. Solidarietà è invece parola molto concreta, e le donne lo hanno sempre saputo: in certi momenti, la solidarietà fra donne è essenziale. Basta guardare con occhi attenti in tante chiese, senza immergersi subito nella lettura della guida turistica, magari competentissima. Guardiamo quello che succede su quella tela o tavola, o in quell'affresco. Ci sono almeno due grandi temi in cui la solidarietà fra donne è in primo piano: uno è la Visitazione, dell'altro scriverò fra un po' di tempo. La Visitazione è l'incontro fra due donne, entrambe incinte: Maria molto giovane ed Elisabetta molto anziana. Fra loro si capiscono e si aiutano, proprio come accade ad Agnes e Marion, o a Thelma e Louise. Cambiano tante cose, ma la sostanza della solidarietà rimane, laica o religiosa che sia. Per questo metto due opere note -forse non notissime- di grandi artisti in fondo nostri contemporanei, basta che ce ne accorgiamo. (s)

Piero di Cosimo: Visitazione con San Nicola e Sant'Antonio 1489-90
National Gallery of Art, Washington

Pontormo: Visitazione 1528-30
Pieve di San Michele a Carmignano (Firenze)

6 commenti:

Giuliano ha detto...

E' bello vedere la figlia di John Huston che dirige un film. Huston ha avuto altri figli, ma lei è quella che gli somiglia di più.
Speriamo che continui, dopo tanti successi da attrice: si direbbe che abbia ripreso proprio da dove aveva finito suo padre, "The dead" dai Dublinesi di James Joyce.

gabrilu ha detto...

Angelica Huston è una tosta, su questo non c'è dubbio. Non sempre mi piace, ma questo film (che non conoscevo-grazie Giulia) deve essere molto buono.
E poi, io ho un debole per Dublino e per gli scrittori irlandesi di oggi.
Penso al bellissimo Le ceneri di Angela di Frank McCourt (da cui Alan Parker ha tratto l'omonimo film che però non ho visto), ad esempio, o a Roddy Doyle, o all'esilarante ma tutt'altro che superficiale Il maschio irlandese in patria e all'estero di Joseph O'Connor, tanto per far solo qualche nome.
Trovo che gli scrittori irlandesi hanno una strabiliante capacità di parlare di cose terribili come la fame, la povertà più nera, le malattie con una ironia e soprattutto con una autoironia straordinaria.
Le ceneri di Angela parla di una realtà (l'infanzia di un bambino irlandese nella Limerick all'inizio del '900) semplicemente atroce. Eppure McCourt scrive di sè e della sua famiglia in un modo che, nonostante tutto, ti ritrovi a ridere una pagina si e l'altra pure.
Mi piacerebbe vedere questo film segnalato da Giulia e leggere il libro da cui è stato tratto.

Anonimo ha detto...

Hai ragione Solimano, concordo con te che si debba parlare più di solidarietà che di amicizia, ma nello stesso tempo è chiaro che in questo film appaiono scene che fanno pensare all'atteggiamento amicale... Giulia

Solimano ha detto...

Degli scrittori irlandesi, che sono tanti, diversi l'uno dall'altro, ma tutti con qualcosa in comune che è molto difficile da definire, a parte il caso Joyce, che non può che fare storia a sé, ho una vera passione per Swift, Wilde e Shaw (che vedo un po' dimenticato e mi dispiace).
Non conosco i contemporanei e so che ci perdo sicuramente, ma non si può arrivare a tutto. E ce ne sarà da dire per i film in qualche modo irlandesi, a partire da un regista del tutto americano, ma che appena scavi un po' salta fuori l'irlandese: John Ford. Se c'è un paese che fa credere al persistere attraverso i secoli dei caratteri nazionali, è proprio l'Irlanda, a partire addirittura dai magnifici codici dell'Alto Medioevo.
Ho voluto introdurre il Post Scriptum al post di Giulia un po' per la mia quasi irrefrenabile passione per l'iconologia e l'iconografia, ,a perchè sono molto turbato dall'attuale scontro laico-cattolico. Sono laico da decenni, e lo sono rigorosamente, senza compiacenze o scodinzolamenti, ma mi riconosco nella grande cultura che per secoli ha generato il mito cristiano, che ha saputo cogliere nella liturgia, nella musica, nelle arti di ogni tipo dalle maggiori alle cosiddette minori le esigenze profonde di chi frequentava le chiese. Il mio non credo sia un atteggiamento estetizzante.
Sapevano il fatto loro, a quel tempo, apparentemente imponevano, ma seguivano di fondo le richieste dei fedeli. Si dovrebbe pensare a quello che significa, facendo un esempio fra i tanti, che a Tolentino tutto il lavoro architettonico ed artistico più importante è stato fatto 120 anni prima che la chiesa di Roma proclamasse Santo Nicola da Tolentino. Le pitture e gli affreschi erano ben altro che la Bibbia degli indotti, come comunemente si crede. Forse si capisce di più non solo degli uomini di allora, ma anche di quelli di oggi se l'attenzione, prima che religiosa, prima che artistica, è umana. E' una cosa ben diversa guardare una pala d'altare che è ancora lì, su quell'altare, in quella chiesa dopo cinquecento anni, rispetto al percorrere corridoi di musei in cui sono una a fianco all'altra.
A me infine, interessa che scatti, in certe situazioni la solidarietà, legata al fatto che l'uomo è fondamentalmente un animale sociale, se poi ci si aggiunge qualcosa d'altro, che possiamo anche chiamare amicizia, meglio ancora, ma c'è un prima ed un poi.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

L'accostamento del Pontormo a queste immagini è perfetto. Non so se Anjelica l'abbia cercato, ma di sicuro queste immagini lavorano dentro, se uno le conosce. (e se uno non le conosce, sarebbe meglio che facesse un altro mestiere, ma così non è, ahinoi).
Io da solo non ci avrei mai pensato, non certo a livello cosciente.
Danke schoen, Primero.

Solimano ha detto...

Due osservazioni sull'aspetto rappresentativo.
Trovo mirabile come il Pontormo non occulti in nessun modo lo stato di avanzata gravidanza di Maria ed Elisabetta ma addirittura utilizzi questa situazione apparentemente di difficile rappresentazione per chiedere ancora di più alle sue doti eccelse di raffinatezza. E l'ottiene.
Per dare il diveroso merito al grande Piero di Cosimo va ricordato che i due quadri sono stati eseguiti a quarant'anni di distanza l'uno dall'altro: in Piero di Cosimo c'è la pienezza del Quattrocento, nel Pontormo un Cinquecento già maturo, in quegli anni sta nascendo il primo e più grande Manierismo: Pontormo, Rosso fiorentino, Parmigianino, Beccafumi.

saludos
Solimano