Solimano
Come di solito, dopo aver visto il film ed essermene fatto una idea, ho letto alcune recensioni. Ho trovato che su un punto si assomigliano tutte: chi le ha scritte non conosce la mentalità di un piccolo industriale di allora (1963), che è anche quella di oggi. Riflettiamoci un momento: che immagine si trova nei film -non pochi- in cui ci sono degli industriali come personaggi?
Si va di frequente sulla caricatura nei film comici, farseschi e grotteschi. Chi ha visto almeno una volta Gigi Ballista in quella parte capisce subito: un efficiente piuttosto incolto, spesso bonario salvo quando vengono toccati i suoi interessi, allora diventa una belva.
Ma ci sono anche i film drammatici, poi quelli sulla politica e sull'economia. E allora si tratta di uno che sa le cose, che è capace di girarle a suo favore passando sopra tutto e tutti se del caso. C'è anche la variante decadente, ad esempio il padre che fa l'azienda, il figlio che la distrugge.
Persino nel caso di film apprezzabili, come Signore e Signori di Germi, Riusciranno i nostri eroi etc di Scola e Il maestro di Vigevano di Petri, il versante grottesco finisce per prevalere.
Nell'immagine sopra si vede l'inizio della storia. Roberta (Stefania Sandrelli) è una giovane che lavora a Lodi nell'azienda di famiglia, settore agro-caseario, con possedimenti terrieri, case e ville. Se ne sta a prendere il sole su una spiaggia della Versilia, quand'ecco si fa avanti Franco (Angel Aranda), di cognome Garbagnati, di mestiere meccanico auto. I due scambiano poche battute, fumano una sigaretta, Roberta sta sulle sue non per timidezza ma perché sa che è bene fare così, Franco prova a vantarsi della sua perizia di pilota di go-kart, Roberta non fa una piega, e lui se ne va un po' deluso. Ma nel pomeriggio, Roberta -chissà perché- porta la sua compagnia a veder proprio la gara di go-kart e fra pomeriggio e sera i due, fra un po' di andirivieni, trovano il modo di andare a letto insieme. Franco si sveglia per primo, e visto che Roberta dorme ancora, si riveste, intasca l'orologio e l'accendino di Roberta e se ne va. Una cosa da mare, come si chiamavano allora, magari condita con un finalino un po' sgradevole.
Un giorno, arriva a Roberta una telefonata di Franco, che vuole venire a trovarla. Ed insiste, telefona ancora. Roberta pensa ad un ricatto ed avverte la polizia. Si organizza la trappola: Franco arriva in ciclomotore, con una cassetta sul sedile posteriore, quei due dietro sono due poliziotti in borghese a cui Roberta fa un cenno. I due lo prendono di sorpresa e Franco fa in tempo a gettare a Roberta un bel cucciolo che le voleva regalare. Poi i poliziotti lo portano in prigione per furto. Roberta è sorpresa anche lei, il regalo del cucciolo non se lo aspettava.
Che si fa, lieto fine oppure no? Si risolve tutto la notte stessa. Franco si sveglia presto, infuriato per l'insostenibile situazione e se ne va con la Giulietta nella notte piovosa sull'autostrada: incidente con fratture, ma è solo questione di tempo, tornerà come prima. La decisione viene presa dalla nonna di Roberta che fa presente per telefono alla nipote che lei è essenziale in azienda e visto che il nonno non è adatto ed anche il fratello di Roberta non va bene, in casa ci vuole anche un uomo che si occupi dell'azienda e Franco ci è sicuramente portato, quindi Roberta se lo sposi e festa finita. Roberta fa suo il ragionamento della nonna non solo perché le fa comodo, ma anche e soprattutto perché sa che è un ragionamento che può funzionare.
I due, nell'ultima foto, stanno facendo una vacanza a Venezia e al di là della terrazza si vede la grandiosa Chiesa della Salute, ma i nostri due, oltre a non saperne niente, sono certamente presi da loro stessi. Franco torna sul discorso dell'officina-garage, ma "basta basta" dice Roberta "il garage ce lo facciamo a casa nostra a Lodi". Lieto fine quindi, e magari in tutti questi decenni sono stati benissimo insieme. Tutto era nato con il furto di un orologio e di un accendino, ma anche lì Franco aveva dimostrato che ci sapeva fare, cosa sicuramente confermata in anni di lavoro nella azienda-famiglia (di cui fa parte a pieno titolo).
5 commenti:
E' vero, gran parte del cinema si potrebbe intitolare "Il mondo del lavoro, questo sconosciuto".
Non era così nei primi decenni del cinema, con Frank Capra, ma anche con Blasetti, si nota che qualche frequentazione c'è stata.
Poi, è dura: soprattutto con gli italiani, mi duole dirlo.
Si, Giuliano, ma se il mondo del lavoro non è uno dei temi privilegiati del cinema italiano bisogna prendere questo semplicemente come un dato e punto. Che sennò il rischio di dire su cosa uno scrittore deve scrivere, un pittore dipingere ed un regista fare un film diventa alto, non credi?
Guarda un po' che cosa produsse il realismo socialista e lo zdanovismo, ad esempio. Faccio un esempio estremo al limite del provocatorio, lo ammetto, ma è pur bene tenerli presenti, certi guasti...
Giuliano e Gabrilu, io la vedo in ottica leggermente diversa. A me danno fastidio i film in cui il personaggio è posticcio, gli applicano una label per dire che qualcosa fa, ma si sente che non gliene frega niente né al regista, né allo sceneggiatore, né agli attori. Sono film che perdono sul piano estetico, perché i personaggi sono privi di spessore. E ce ne sono tanti così. Faccio un esempio positivo per questo film, che è un desaparecido. I due sono in una camera d'albergo, fanno l'amore... e poi lei si mette a leggere le pagine economiche del giornale... e lui impara come si fa. Sembra un dettaglio, ma non lo è, dà un senso nel bene e nel male. Per questo dico che generalmente c'è molta superficialità. Mettete il caso dei personaggi de Il gusto degli altri della Jaoui. Si sente nel film quello che fanno, senza retorica, senza polemica, ma si sente. Ciò aggiunge, non toglie al film.
saludos
Solimano
Che discorsi, Solimano, è chiaro che messa così non si può non essere d'accordo con quello che dici. Ma quello che dici riguarda qualsiasi tema, qualsiasi personaggio e/o elemento del film. La superficialità ed il pressappochismo sono nefandi sempre e comunque, no?
Bonne nuit ed ossequi a tutta la compagnia
Cara Gabrilu, io ho nominato Frank Capra, non a caso. Ma anche in Kubrick, in Wenders, perfino in Antonioni (il ritratto del padre di Lea Massari in L'avventura) il mondo del lavoro c'è e si vede. E' una cosa che viene naturale, ognuno descrive il mondo dove vive, più o meno consapevolmente; e se si vive nel nulla si descrive il nulla, e se uno non ha dentro niente il film (o il libro) verterà sul niente. Magari piace, e vende...
Su Zhdanov mi sono già espresso tante volte, ho letto la biografia di Sciostakovic e qualcosa qui ho riportato. Ti posso dire quello che ho detto sull'Andrej Rubliov di Tarkovskij: quel film esiste, nonostante la burocrazia (e peggio) sovietica. Oggi Tarkovskij non arriverebbe nemmeno nell'ufficio di un produttore...
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