Nel 1976 comprai un bellissimo (almeno esteticamente) paio di sandali estivi bianchi, di quelli a striscioline sottili, con tacchi molto alti, quasi a spillo. Li indossai per una cena importante, abbinati ad un vestito azzurro a fiori che mi stava molto bene. E mi stavano bene anche i sandali, a giudicare dallo sguardo del mio fidanzato (attuale marito) di allora. Ma ero IO, purtroppo, che NON stavo bene con loro!!! Tornata a casa, quella sera, mi tolsi i due raffinatissimi strumenti di tortura che avevo ai piedi (avete presente gli "stivaletti malesi"?) e li riposi accuratamente in un armadio. Da dove uscirono, qualche anno dopo, soltanto per essere regalati a non so più quale istituzione benefica.
Se c'è una cosa che non capisco proprio è come sia possibile deambulare per più di mezz'ora calzando due piccoli, malfermi, pericolanti trampoli in miniatura, adattissimi soprattutto ad incastrarsi in ogni più piccola asperità del terreno. Non c'è dubbio, tuttavia, che essi conferiscano alle femmine umane quell'andatura ondeggiante e sinuosa tanto apprezzata dai maschi della stessa specie, capaci di girarsi a 360° in mezzo alla folla cittadina per seguire con pupille dilatate e principio di bava alla bocca l'ancheggiamento di colei che li indossa (sempre che, al di sopra della caviglia, si dispieghi una carrozzeria adeguata alle aspettative). Il cinema non poteva non sottolineare la particolarità di un tale accessorio, ed anzi lo cita addirittura in più di un titolo di film, originale o tradotto che sia. Nel caso dei Tacones lejanos di Almodovar, però, i tacchi suddetti sono appannaggio non solo di Victoria Abril ma anche di un curioso Miguel Bosè en travesti, del quale -ahimè- non ho trovato immagini in rete (Solimano, aìta, aìta!!!).
Molto caratterizzanti i tacchi alti anche per il detective in gonnella di Kathleen Turner, la cui performance cinematografica, in inglese, suonava più cacofonicamente V.I. Washanski, dal nome della protagonista. Certo, con quelle calzature, correre dietro ai malviventi sarà stata una fatica improba: ma c'è da supporre che, se uomini, saranno stati immobilizzati dall'avvenenza della signora; se donne, invece, paralizzate dall'invidia, valutando la linea perfetta della Turner (di allora!!!).
Ancora uomini vestiti da donna -stavolta Depardieu e Michel Blanc- in Lui portava i tacchi a spillo (Tenue de soirée), commedia francese grottesca con qualche tendenza alla volgarità: il titolo italiano serve ad individuare fin da subito l'andamento della storia, in cui campeggia un insolito (per il 1986, si capisce!) triangolo amoroso lui-lei-l'altro dove quest'ultimo ama riamato lui, non lei. Depardieu, sia detto per inciso, è uno dei miei miti, una delle icone maschili più significative del mio immaginario: ed anche in abiti (e tacchi) femminili non riesco, lo confesso, a non farmelo piacere...
Il mondo dei cartoni animati non è immune dal fascino dei tacchi vertiginosi, come testimonia egregiamente il seducente personaggio di Jessica Rabbit: la quale, lo sappiamo tutti, che colpa ne ha se "la disegnano così"? Il vestito sembra scoppiarle letteralmente addosso, ed anche i piedini, costretti innaturalmente in quei micro-grattacieli rossi, hanno l'aria di volerne sfuggire da un momento all'altro. Ma ve le immaginate -tanto per restare in casa Disney- Minnie e Paperina con quelle scarpe??? Loro, per evidenti motivi anatomici (zampa palmata l'una, da roditore l'altra) , devono accontentarsi del tacco a rocchetto (Solimano, invierotti illustrazione esplicativa via e-mail) , più stabile e signorile ma molto meno sexy (checchè ne pensino Topolino e Paperino).
Mrs Rabbit, probabilmente, sarebbe a suo agio persino con la diabolica calzatura della locandina di Il diavolo veste Prada, non foss'altro che per il colore. Del resto, neppure Anne Hathaway -la giovane carrierista co-protagonista del film- sembra trovarsi male con quei tacchi, sopra ai quali riesce a muoversi con sufficiente disinvoltura, girando come una trottola per tutta New York all'affannosa ricerca dei più strani gadgets, indispensabili a soddisfare le menate di una luciferina Meryl Streep: più cattiva, graffiante e pungente di quel surreale, indovinatissimo, satanico tacco a triplo spillo.
3 commenti:
Cara Roby, il mio parere è che i tacchi a spillo andrebbero usati solo in certi ambienti e in certe circostanze, per poco tempo e MAI per strada o nei mezzi pubblici, o peggio ancora per guidare. Peggio ancora, l'abbinata recente tacchi a spillo con punta a spillo...(Francamente, non ne ho mai capito il fascino: prima o poi dai tacchi a spillo bisogna scendere...)
Roby, riguardo a Miguel Bosè sarà dura, ma chissà, prima o poi lo cattureremo, anche se debbo dirti che la mia motivazione non è fortissima, preferirei investigare su Kim Novak o Gina Lollobrigida su sui mi sa che le ricerche sarebbero rapidamente fruttuose.
In effetti i tacchi a spillo non si portavano per il problema statura, che in fondo non è un problema, gli uomini alla statura generalmente badano poco, tranne che per le sfilate o robe del genere (tutta roba molto teorica!).
La pratica è onvece costituita da quella serie di oscillanti circonduzioni di entrambe le natiche che sono possibilissime, se ci si mette appena un po' di buona volontà (oltre che di buone natiche)anche con tacchi di due centimetri e mezzo. Aiutavano, in questo, certi tailleur a gonna molto stretta, che da una parte impedivano la risalita della gonna al di sopra del ginocchio, ma dall'altra parte, in caso di movimento, provocavano il tipo occhio maschile a palla, salvo poi asserire, persino a se stessi, che erano i lineamenti botticelliani del volto ( i più acculturati dicevano parmigianineschi)a colpire nel profondo. Le ragazze volevano proprio sentire tali parole alate a cui credevano con piacere specie se avevano prima riscontrato la presenza dell'occhio a palla, che le rassicurava sull'essere andate a segno. C'erano anche pietosi casi di maschietti che al botticelliano ed al parmigianinesco credevano veramente, ma le sagge ragazze li schizzavano d'istinto e facevano bene, benissimo: maschietti così era meglio che andassero per musei a tintracciare i qudri di tali eletti artisti, invece di far perdere tempo con considerazioni così generiche e non finalizzate ai veri obiettivi.
saludos y besos
Solimano
Ho visto in questi giorni il documentario sullo stilista giapponese Yamamoto girato da Wenders. L'ho trovato noiosissimo (a me la moda non interessa), ma ne scrivo qui perché Yamamoto disegna solo scarpe basse, e Wenders gli dà ragione perché - dice - ricorda i piedi di sua madre, ormai anziana, rovinati dalle scarpe col tacco alto.
E' una cosa che ho notato anch'io, soprattutto da bambino, d'estate, certi piedi delle donne mi facevano senso. Poi le cose sono cambiate, certe mostruosità nelle donne della mia età non le vedo, tantomeno nelle ragazze.
Forse qualcosa in neglio è cambiato...
Posta un commento