mercoledì 6 febbraio 2008

Lost in Translation


Lost in Translation, di Sofia Coppola (2003) Sceneggiatura di Sofia Coppola, Con Scarlett Johansson, Bill Murray, Akiko Takeshita, Kazuyoshi Minamimagoe, Kazuko Shibata, Take, Ryuichiro Baba, Akira Yamaguchi, Catherine Lambert, François du Bois, Tim Leffman, Gregory Pekar, Richard Allen, Giovanni Ribisi, Diamond Yukai, Jun Maki, Nao Asuka, Tetsuro Naka, Kenako Nakazato, Fumihiro Hayashi, Daikon, Anna Faris, Asuka Shimuzu, Ikuko Takahashi, Koichi Tanaka, Hugo Codaro, Akiko Monou, Akimitsu Naruyama, Hiroshi Kawashima, Hiromi Toshikawa, Nobuhiko Kitamara Musica: Kevin Shields Fotografia Lance Acord (102 minuti) Rating IMDb:7.9

Laura
La storia, in due parole. In un elegante albergo di Tokio due americani, Charlotte (Scarlett Johansson) e Bob (Bill Murray) si conoscono al bancone del bar. Soffrono tutti e due d'insonnia, fuori è notte alta mentre sotto la metropoli continua a turbinare come i cristalli di un caleidoscopio. L'atmosfera della sala è raccolta, tinta dall'ambra del whisky nei bicchieri e delle luci basse. Charlotte e Bob sono lì, e lì si ritroveranno la sera dopo per raccontarsi un po' l'uno all'altra. Lei non arriva a trent'anni, da poco laureata in filosofia, ha accompagnato il marito in viaggio per lavoro (un giovane fotografo già famoso, perennemente assente e tutto assorbito dalla macchina fotografica, interpretato da Giovanni Ribisi); Bob invece è un consumato attore di mezza età piombato a Tokio per girare lo spot di una marca di whisky. A casa lo aspettano dei figli disamorati e una moglie distante in tutti i sensi che gli ha spedito i campioni della moquette da scegliere per lo studio.


Inizia una settimana in cui Bob e Charlotte si fanno compagnia appena hanno dei tempi morti, lei ne ha moltissimi, lui molto meno. Si cercano appena possono per conversare, insieme trovano un'incomprensibile sicurezza. Tokio è mostruosamente grande e caotica, nessuno dei due conosce la lingua e l'hotel diventa una rassicurante bolla di vetro sospesa su questa metropoli che appare irraggiungibile per cultura e idioma.

Poi i due pianificano una scorrazzata notturna, un giro in compagnia di alcuni amici di lei. Charlotte ha indossato una parrucca rosa, Bob reinventa in due minuti una propria t-shirt per scrollarsi di dosso un po' di anni. Le ore si srotolano tra un taxi e un altro e salette claustrofobiche dove si fa solo karaoke. Eppure, tornati in albergo, il senso di smarrimento interiore permane.
Charlotte e Bob sono Lost in Traslation, persi in una dimensione di sé che sfugge a tutti e due come a noi la traduzione del titolo del film (che non trova affatto compimento in L'amore tradotto, non credo infatti si parli di un sentimento definito.) Tra Charlotte e Bob, che rapporto c'è? Si tratta di un po' più dell'amicizia, un po' meno dell'amore e un'attrazione fisica consapevolmente repressa da ambo le parti, forse perché sanno che non occorre devastare oltre, laddove ci si è già persi da soli. L'uno fa da specchio all'altra, la lettura diviene più nitida e la misura si allarga a una cifra che altrimenti da soli non saprebbero calcolare.


Translation significa traduzione, trasferimento, traslazione. Tentare di tradurre se stessi all'altro è un'operazione ardua e meticolosa, si rischia di pasticciare con i significati, con certe ortografie dell'anima e di entrare in conflitto aperto con la grammatica di chi abbiamo di fronte. A volte invece succede - in momenti particolari della nostra vita - di trasferire il nostro pacchetto emotivo in chi ci affezioniamo: i nostri desideri, le aspettative, le gelosie, i ruoli che rivestimmo male e a metà, quelli che ancora devono venire. Traslazione invece, come spostamento da un punto a un altro nello spazio, una zona interiore che ci si lascia alle spalle per poi ritornarvi con un nuovo punto di vista. Sofia Coppola tratteggia abilmente questi "moti a luogo" servendosi degli sguardi e dei silenzi dei due protagonisti ma soprattutto dei loro gesti di tenerezza, gesti discreti e rispettosi che vedono Bob intento a massaggiare i piedi di Charlotte come a una figlia che ha ballato ore in discoteca o come a una moglie stanca, a fine giornata, sul divano; gesti che ritraggono Charlotte appoggiare la testa con la parrucca rosa sulla spalla di Bob, un travestimento con cui lei ha giocato per divertirlo e divertirsi a stupire, ad affascinare, sedurre sì, ma moderatamente. E quando decidono di dormire insieme vincono addirittura l'insonnia. Suggellano un patto, un'intesa profonda.

Molte persone che conosco mi hanno detto che Lost in Translation non l'hanno capito anzi, lo hanno trovato insipido. "La Coppola poteva imboccare battute migliori sia alla Johansson che a Murray" o "Murray è stata una scelta azzeccata, fa ridere e incupire in quelle ospitate alla tv giapponese..." Qualcuno ha fatto suo il motto di Bob nello spot pubblicitario "E' tempo di relax, è tempo di Santori" e forse lo userà come citazione ogni volta che si verserà da bere. E' vero, Murray è intenso ma anche Scarlett non scherza.

Guardatelo questo film, se ve lo siete perso. Sofia Coppola è bravissima a far parlare le stanze d'albergo che rimangono impersonali e incombenti per quanti sforzi faccia l'ospite di turno; bravissima a munire le situazioni, le parole dei dialoghi, persino la stessa metropoli e la lingua giapponese di un sottotesto intimo ai protagonisti i cui codici si svelano solo agli occhi dello spettatore attento. Ma la settimana di permanenza a Tokio finisce, Bob e Charlotte devono tornare ognuno alle rispettive vite. Cercano di salutarsi normalmente ignorando fino all'ultimo che qualcosa è effettivamente successo. Ed è qui lo spiazzante finale, (mi si stringe sempre la bocca dello stomaco per la commozione) un colpo basso e sublime: Charlotte torna indietro, i due si abbracciano forte. La ragazza trattiene il pianto e guarda in alto. Prima di lasciarsi definitivamente sussurra a Bob qualcosa nell'orecchio mentre i rumori della città coprono tutto. Nessuno sa le parole, solo loro. E Sofia.


9 commenti:

Giuliano ha detto...

Un bel film, l'avevo visto al cinema in un bel momento della mia vita e ne ho un bel ricordo anche per quello. Non è un capolavoro (oggi sembra che siano tutti capolavori, invece esistono anche i buoni film e non è mica una brutta cosa, anzi), ma è molto piacevole.
Io l'ho accomunato subito a Tokyo Ga di Wenders, dove si respira la stessa aria: la differenza è che qui c'è questa piccola storia quasi d'amore.

Solimano ha detto...

Laura, questo film non l'ho visto ma lo vedrò sicuramente, perché la tua bella esperienza ha evidenziato degli aspetti raramente trattati con tale proprietà.
Il discorso del un po' più di amicizia un po' meno di amore anzitutto, che è una situzione incerta e creativa: una pallina che sta in cima ad una montagna in equilibrio instabile, perché può rotolare a valle su un versante o sull'altro, e dopo si ferma e sta quieta, ma c'è del bello di tipo transiente nella instabilità in via di superamento.
Poi il discorso del già vissuto, che implica il rischio del dejà vu, quindi dell'aridità a meno che non si facciano i conti con i propri ricordi con disidentificazione però di tipo amoroso, ed alla fine della fiera i ricordi sono vivi, vivissimi, però mansueti restando belve.
Infine (ma potrei continuare) il discorso del mostrarsi, che non è un esibirsi o un disinibirsi, ma è un mostrarsi anzitutto a sé stessi, dicendosi certe verità dure e liberatorie, finalmente! Se ci si riesce, mostrarsi all'altra persona diviene facile, naturale, non si sbaglia una mossa, una parola, un gesto, perché a quel punto ci si dimentica dell'Io pervasivo e si procede con serietà felice, come bambini in un bel gioco.

grazie e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Bill è semplicemente grandioso, eternamente distaccato, superbamente al di sopra del ruolo professionale impostogli dal suo agente. Trovo questo film un capolavoro di intensità e di solitudine. L'hotel a Tokyo in fondo è solo un pretesto, potrebbe essere in una qualsiasi parte del mondo. Del nostro mondo.

Laura ha detto...

Caro Giuliano, io ho notato una cosa e cioè che a volte il capolavoro lo ammiri ma non riesci a farlo tuo perché in qualche modo rimane distante nella sua perfezione. I buoni film sono un po' come gli amici del cuore, sanno qualcosa di te e trovano un modo per arrivare al punto. E, a loro modo, "fanno" capolavoro.

Caro Solimano, grazie davvero per l'elogio. Temevo di non centrare il bersaglio che avevo a cuore. L'esempio della pallina è l'esatta rappresentazione grafica. Assolutamente d'accordo con ciò che dici riguardo il mostrarsi. Sapendo però con chi hai a che fare...

Ciao Pignoni, sì, Bill Murray è bravo davvero. Personalmente ho ritrovato un po' di Bob nel Don Johnston di Broken Flowers ma non mi è dispiaciuto affatto. Per quanto dici dell'hotel, perché no? Ma dobbiamo ammettere che prenderne uno a Tokio amplifica ogni minima tempesta interiore. Da una parte c'è il tempio della comunicazione tecnologica, dall'altra Charlotte e Bob. Forse è per quello che la Coppola non ha scelto un'altra città.
Grazie per essere passato.
Un caro saluto a tutti
Laura

Giuliano ha detto...

Cara Laura, sono d'accordissimo, ed è quello che intendevo anch'io: capita così anche quando ci si innamora, ci si innamora anche dei difetti, il mignolo storto, il neo, la cicatrice... I marmi del Canova lasciano a bocca aperta ma sono pur sempre marmi.

Caro Pignoni, il tuo sito è molto divertente, ma è buona regola mettere i link, almeno quando si può. Io cerco di farlo sempre...
("L'arte sta in questa massima: rubar con garbo, e a tempo". Giuseppe Verdi, Falstaff)

Solimano ha detto...

Concordo con Giuliano. Un dandy deve essere elegante, se no che dandy è?

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Che film straordinario.
Quanto mi ha commosso.
E oltretutto mi ricorda uno stupendo periodo.
Non riesco a fare un commento decente tanto questo film mi ha emozionato.
E poi mi innamorai perdutamente di Scarlett... ma questa è un'altra storia...

Solimano ha detto...

Grazie per la visita e saludos!
Solimano

Anonimo ha detto...

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