Chi assomiglia a Gérard Philipe?
Barthes e la semiologia del volto
Umberto Eco su l'Espresso 11 febbraio 1999
Gianfranco Marrone ha riunito ed edito per Einaudi una serie di scritti di Roland Barthes che non erano mai apparsi in italiano. Sono tutti godibili e leggerli non è tempo perso, anche se per alcuni si capisce perché Barthes non li aveva inseriti in altre raccolte maggiori. Per esempio c'è una bellissima analisi delle Folies Bergère, che mi ricordo di aver letto su "Esprit" nel 1953. Probabilmente Barthes non l'ha messa in "Mithologies" perché è troppo lunga e un poco ripetitiva. Intendiamoci, chiunque sarebbe fiero di avere scritto questo pezzo, ma forse Barthes non lo riteneva abbastanza fulminante (come l'analisi della Ds Citroen).
Il libro è pieno di quelle osservazioni rivelatrici per cui Barthes va famoso. In "Visi e facce" (1953) egli osservava che per strada si vedevano sempre più dei giovanotti con la faccia di Daniel Gelin e di Gérard Philipe. Quindi il contagio della moda incide sulla morfologia profonda e l'individuo "sceglie" la propria testa per pigrizia, delegandone la responsabilità ai media.
Gianfranco Marrone, nella sua introduzione, riprende il tema e ricorda come si vedano per strada molte Ambre Angiolini. Ed ecco una bella intuizione che va oltre Barthes e lo fa germogliare ulteriormente: «Crediamo che Ambra sia lo stereotipo che riassume il modo di atteggiarsi e di esprimersi delle ragazze di oggi. Ma è vero esattamente il contrario: sono loro, le fanciulle che incontriamo per la strada, a essere gli inconsapevoli stereotipi della realtà televisiva». Questa antologia (uscita da poco) porta però un “finito di stampare” del luglio 1998, il che lascia pensare che Marrone abbia consegnato il testo a metà novantasette, e abbia scritto la sua prefazione un poco prima. Abbastanza perché ormai non ci siano più per la strada ragazze che assomigliano ad Ambra, la quale è ormai archeologia massmediatica.
Ma il problema non è quanto duri un modello. È se davvero la gente prenda la faccia dei propri idoli. E per non discutere su un modello che è durato lo spazio di un mattino, pensiamo a uno che è durato quasi un decennio, Brigitte Bardot. È indubbio che tra i Cinquanta e i Sessanta le strade e le balere erano piene di ragazze che assomigliavano a Brigitte Bardot. Che cosa era successo?
Credo che i fenomeni in gioco, in questo e in altri casi analoghi, siano quattro. Il più ovvio è che le ragazze cercassero di imitare il trucco, la pettinatura e gli abiti di Brigitte. Il secondo è che i tratti del viso e i gesti di chi vive in una certa comunità lentamente si adattano al modello ambientale. Per questo si dice che i seminaristi hanno la faccia da seminaristi, e i comunisti che avevano studiato alle Frattocchie avevano la faccia da comunisti delle Frattocchie. Lo schermo televisivo e le pagine dei rotocalchi costituiscono un ambiente chiuso, come un convento. A guardarsi in faccia a vicenda, giorno e notte, i muscoli del nostro viso si modellano su quelli altrui. Tuttavia questo duplice adattamento funziona solo se si ha già la faccia adatta. Non si diventava Brigitte se si aveva la faccia di Fernandel. Dunque si può assomigliare a X se si ha già qualcosa nei tratti che ci accomuna a X. E se non lo si ha? Si è fuori moda.
Il che significa che, all'epoca di Brigitte, tante donne che assomigliavano a Francesca Bertini o a Claudette Colbert non erano considerate esteticamente o sessualmente interessanti (naturalmente vale anche per gli uomini che non assomigliavano a Gérard Phílipe bensì a Emilio Ghione).
In tal senso il modello funziona da selettore quasi razzista. Promuove dei tipi umani e ne condanna irrimediabilmente altri - altri, si noti, che in altra epoca sarebbero stati vincenti. Potremmo parlare di un darwinismo a sinusoide, o a spirale, dove la selezione non procede in linea retta. Gli esclusi di oggi potrebbero ridiventare gli eletti di domani, e viceversa. C'è un futuro anche per le ragazze che assomigliano oggi a Francesca Bertini, ma non immediatamente, solo quando saranno ormai signore mature.
Altro elemento, la selettività dello sguardo. Negli anni Cinquanta c'erano molte ragazze che assomigliavano a Brigitte Bardot e molte che continuavano ad assomigliare a Claudette Colbert. Lo sguardo altrui si soffermava su quelle che assomigliavano a Brigitte e abbandonava a zitellaggio precoce quelle che assomigliavano a Claudette (mentre venti anni prima sarebbe accaduto l'opposto).
Anche in questo senso, per donne come per uomini, esiste la disgrazia di essere nato nel decennio sbagliato. É atroce ma è così. Però ciò accade solo nell'epoca dei mass media. Nei secoli precedenti non c'erano modelli universali, la Pompadour o la pastorella della Carinzia piacevano o non piacevano per tanti motivi, ma non perché dovessero essere commisurate a una immagine delle tv o dei rotocalchi. La selezione era meno ferrea e c'era una maggior democrazia del desiderio.
3 commenti:
Caro Giuliano, leggendo il tuo post ho cominciato a chiedermi a quale modello estetico mi richiamassi io, sedici-diciassettenne, quando nessuno mi si filava manco di striscio... e a quale altro -decisamente più azzeccato- quando a diciotto-vent'anni, tutto d'un tratto, ero piena di corteggiatori... Ma finora non ho saputo rispondermi. Il che non toglie affatto che il post sia davvero interessante. In ultima analisi, beate la Pompadour e le pastorelle della Carinzia sue contemporanee!!! A proposito, hai notato come in genere non appaiano poi così super-belle, ai nostri occhi moderni, donne del passato considerate splendide dai contemporanei, come Mata Hari, la Bella Otero o la Bela Rosin per cui Vittorio Emanuele perse la testa?
Roby
Cara Roby, veramente non so bene cosa dire. Penso però che quello ci attrae negli altri abbia molto a che vedere con l'anno di nascita: io mi trovo malissimo con le attrici cotonate degli anni '60, per me (bambino e poi ragazzo) si pettinavano così le vecchie signore...
E lo shock l'ho avuto con la brillantina, roba da vecchioni che è tornata di moda con Grease e John Travolta, e oggi tutti portano il gel (che fa meno schifo della brillantina, va detto) (nel senso che non unge)...
E non ho mai capito la passione per i tatuaggi e il piercing, che per fortuna stanno passando. Le attrici di oggi, appena mostrano un tatuaggio, mi sembrano subito meno attraenti (ma al cinema li cancellano facilmente, li nascondono quando non servono).
Comunque, io con le mode ho sempre avuto un rapporto pessimo...
Ho volutamente messo quattro immagini che non corrispondono del tutto ai quattro miti, anche la foto della Colbert è un po' ironica, perché il suo mito era quello della protagonista di Accadde domani, che fa vedere come si fa l'autostop a Clark Gable.
Io credo alla positiva di un certo divismo, non attrice-attrice, ma attrice-personaggio, quindi ogni anno avevo quattro o cinque miti, credo che il primo sia stato Anna Maria Pierangeli in Domani e troppo tardi. Ma ci sono state Antonella Lualdi in Gli uomini che mascalzoni, Kim Novak in Picnic, Brigitte Bardot in Un dottore in alto mare, Shirley McLaine in La congiura degli innocenti. Più di recente, Sabina Azèma (almeno tre film, caso raro), Fanny Ardant per La signora della porta accanto e la Huppert per La merlettaia. Lo confesso, anche Emmanuelle Béart per La bella scontrosa.
Ma ci sono anche i miti maschili: Henry Fonda per Sfida infernale e il samurai zen, non Kikuchyio, per i Sette Samurai.
Non ci vedo niente di male, è così anche per la pittura: il mito esprime delle potenzialità latenti, e se non diventa imbalordimemto ad personam, ma è legato alla singola opera, a quel film, va bene, è occasione di fantasie di ogni genere. La sensazione odierna è che tendano a somigliarsi tutte, è un genere di bellezza un po' pataccona, a parte le sciagurate iniziative della chirurgia estetica. La bellezza più grande deve avere in sé qualche piccolo difetto, se no stucca.
saludos
Solimano
P.S. Ho dimenticato le signore Marisa Allasio e Carla Gravina...
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