Salvatore Giuliano, di Francesco Rosi (1962) Sceneggiatura di Suso Cecchi d'Amico, Enzo Provenzale, Francesco Rosi, Franco Solinas Con Frank Wolff, Salvo Randone, Sennuccio Benelli, Giuseppe Cammarata, Federico Zardi, Max Cartier, Nando Cicero, Giuseppe Teti, Cosimo Torino, Ugo Torrente, Bruno Ukmar Musica: Piero Piccioni Fotografia: Gianni Di Venanzo (123 minuti) Rating IMDb: 7.7
Solimano
La prendo un po' alla lontana, ma al film ci arrivo, solo che voglio arrivarci in un certo modo, per capirlo meglio. Venerdì sera si è tenuta a Monza la cena di chiusura della Associazione Monza per l'Ulivo, da qualche cattiva lingua denominata Ultima Cena. La versione ufficiale, in parte vera, è che l'Associazione si scioglie perché ha raggiunto il suo obiettivo: la costituzione del Partito Democratico. E' stata una serata gradevole, anche se all'inizio eravamo tutti in difficoltà a parlare fra di noi, perché un volonteroso organizzatore aveva scritturato un complessino che suonava per noi e il locale dove eravamo non era insonorizzato, quindi si faticava a dialogare col vicino di tavola. Le canzoni che abbiamo sentito erano un po' da come eravamo, ma che volete farci, eravamo belli. Alla faccia dei simpatici giovinastri che ci sfottono più con gli sguardi che con le parole. Aggiungo a bassa voce, però convinto, che belli lo siamo tuttora!
Cinquanta persone, una buona presenza femminile -che in genere è scarsa in riunioni politiche- e la consapevolezza di aver fatto in questi anni qualcosa di buono a spese completamente nostre, di tempo e di soldi, fierissimi di fare così. Abbiamo portato a Monza Cacciari, Santoro, Davigo, Travaglio (che m'ha pure scroccato una sigaretta), Bindi e diversi altri. La sera in cui c'è stato Davigo era venuto anche Filippo Facci per polemizzare, così l'ho conosciuto. Con Franco Cardini e Massimo Fini appartiene a quei giornalisti/scrittori tendenzialmente di destra che però hanno vero talento di scrittura e che dicono cose non banali e a volte anche condivisibili. Se non ascolto quelli che la vedono diversamente da me, non so come la vedo io.
Massimo Cacciari, di fronte alla sala strapiena, disse una frase che indispettì parte dei presenti: "I partiti sono arroganti perché deboli, deboli perché arroganti". La radice dei problemi è proprio qui, ma va fatta una aggiunta che chiarisce: in Italia il problema non è la corruzione, ma il numero troppo alto di persone che in qualche modo -anche di soli gettoni di presenza- sono a libro paga della politica. Si è calcolato che sono quattro volte di più rispetto al necessario. Questa situazione che, senza fare del moralismo, è definibile come privilegio, è resa quasi immodificabile da un fatto: che questi privilegi sono ferreamente regolamentati a livello di leggi nazionali e regionali e da regolamenti locali. Faccio un esempio semplice per far capire quello che succede. Quando fu eletto sindaco, Faglia, che è persona molto diretta, disse ai membri del comitato elettorale che entro un mese doveva fare cento nomine e che quindi si attendeva nostre segnalazioni. Notate bene, Faglia non si era inventato lui di fare tutte quelle nomine, ma le doveva fare. E la domanda che permette di capire è: perché 100, e non 20, ad esempio? Io pensai subito ad un mio amico, ingegnere come me e con esperienza di multinazionale, che alle politiche aveva votato Forza Italia ma che alle amministrative aveva votato Faglia. A differenza di me, è appassionato di auto, motociclette e motori in genere e non si perde un Gran Premio di Formula 1. A Monza c'è l'Autodromo e il sindaco nomina qualche consigliere. Ma alla riunione successiva capii subito come andavano le cose: alcuni arrivavano con nomi di ogni tipo a prescindere dalle competenze, nella mia ingenuità pensavo che si trattasse di dare una mano a Faglia per coprire con persone all'altezza le cento nomine, mentre il problema di Faglia era sopravvivere alle segnalazioni esuberanti. Quindi ci rinunciai: tutto sommato né a me né al mio amico interessava entrare in questa gara di sgomitamenti, avevamo altro da fare.
Conclusione. La frase di Cacciari io la interpreto così: i partiti, presi dai loro problemi interni, che sono essenzialmente quelli di persone da sistemare, cosa difficile, visto che sono troppe, non si rendono conto dei problemi esterni, quelli veri, perciò sono deboli, però vogliono essere loro a prendere tutte le decisioni, perciò sono arroganti.
Si parla tanto di autoreferenzialità della politica. Sono convinto che non si tratta di un problema psicologico o culturale di chi fa politica in qualche modo a libro paga, è che, essendo quattro volte esuberanti rispetto alle necessità reali, difendono tenacemente il loro posto di lavoro o comunque le indennità che ricevono. Al posto loro faremmo tutti così, mentre Zapatero, che ha dieci anni meno di Veltroni, in tre giorni ha fatto un govermo di solo sedici ministri di cui otto donne, Angela Merkel cinque anni fa quasi nessuno sapeva chi fosse, idem Sarkozy e Tony Blair si è già ritirato dalla politica. In America, Obama, Hillary, Edwards si fanno una guerra durissima e chi perde si ritira ed appoggia chi vince. In tutti questi paesi esistono gli anticorpi, mentre da noi non ci sono. Ribadisco: il problema non è la corruzione ma l'invasività regolamentata del ceto politico, e arrivo alla Sicilia.
Si commette con la Sicilia l'errore che si commetteva giudicando il fascismo nella storia d'Italia. L'interpretazione crociana era che fosse stata una parentesi, mentre ci si è resi conto che era invece l'espressione di qualche cosa di profondo nella storia italiana, qualcosa già ben presente nel Risorgimento ed anche prima. La Sicilia è un esempio palese del discorso che ho fatto prima, l'evidenza è nei fatti. Cosa importa a me e al mio amico del posto di consigliere all'Autodromo di Monza? Nulla, perché abbiamo altro da fare, l'invasività della politica non è totale, esistono spazi di lavoro, di carriera, di cultura in cui non si è condizionati. Ma dove l'invasività è storicamente maggioritaria o comunque dominante, il gioco è ristretto, e allora il clientelismo di ogni tipo più che immorale è necessario. E' uscita tempo fa una notiziola non smentita riguardo Palermo: il "difensore del cittadino", carica prevista e che si capisce benissimo quello che dovrebbe fare, ha sistemato due figli nella amministrazione comunale. Queste cosette io le percepisco come segnali della gravità della situazione, non i casi di corruzione acclarata che esistono in tutti i paesi (da noi di più, logicamente). Quindi è inevitabile che il problema vero che si stanno ponendo oggi i maggiorenti del Partito Democratico sia questo: come facciamo, adesso, che abbiamo una struttura di persone duplicata? Bisognerebbe ridurre le persone, ma come si fa? Quindi è giusto prendersela col qualunquismo, e magari con Beppe Grillo, ma Grillo è il termometro, e la febbre c'è, e magari fosse solo la corruzione, basterebbero de' buoni processi come diceva un personaggio di Alessandro Manzoni. La mia soluzione personale è stata semplice e la sto perseguendo: fare della divulgazione acculturata, di cui ritengo ci sia bisogno come del pane e dedicarmi alla prepolitica, non alla politica. Quando lo dissi in una riunione della Associazione, uno mi chiese, non sfottente ma incuriosito: "Ma che cos'è la prepolitica?" "C'est la vie, non ami!" gli risposi, ma non sapeva il francese.
Non è vero, come dicono molti siciliani, che noi parliamo della Sicilia senza conoscerla. La Sicilia la conosciamo benissimo, perché, fra diversi guai, ha avuto una grande e meritata fortuna (certe cose non succedono per caso): ha avuto, nell'Ottocento e nel Novecento, una serie di notevoli scrittori, alcuni strepitosi. Siciliani che la Sicilia ce l'hanno raccontata con profondità e partecipazione. Fra breve pubblicherò sul Nonblog di Habanera una serie di incipit di scrittori siciliani, vedrete quanti sono e come scrivono.
Anche con i film è successo, ma meno di quel che sarebbe potuto e dovuto accadere, e il film "Salvatore Giuliano" di Francesco Rosi è senz'altro il più grande ed importante. Per dirne la grandezza, invito a riflettere sull'episodio del rastrellamento (parola dura, ma è quel che succede) degli uomini di Montelepre da parte della Polizia e della reazione delle donne. Ci sono tre gruppi in azione, con tre finalità diverse: i poliziotti, che debbono eseguire un ordine in un ambiente ostile, gli uomini, di cui qualcuno sarà coinvolto con Giuliano, ma di cui la maggioranza tace (rischia la vita, altrimenti) e acconsente senza ribellarsi, le donne che con la piena carnalità del loro essere scendono per strada perché non siano portati via i loro mariti, fratelli, figli. Tutto è raccontato non marxianamente, ma brechtianamente, senza bellurie né sentimentalismi, ma con l'occhio di chi ha visto Eisenstein ma anche i grandi americani dei film d'azione, come Howard Hawks. Quattro anni dopo Gillo Pontecorvo, nel realizzare "La battaglia di Algeri", che è uno dei grandi film della storia del cinema, riprenderà la stessa situazione con i paracadutisti di Mathieu, gli uomini e le donne della Casbah di Algeri. Altro che film documentario, come dissero alcuni quando uscì, portati fuori strada dal fatto che Rosi non ha costruito il film su un personaggio esemplare: il bandito Giuliano compare poco e parla ancor meno. La scelta di guardare esternamente quello che succede non è però una scelta fredda, perché infine i personaggi esemplari emergono dai fatti e sono tre: il Presidente del Tribunale di Viterbo (Salvo Randone), il bandito Gaspare Pisciotta (Frank Wolff) e il difensore di Pisciotta (Federico Zardi). Mi ha fatto piacere rivedere Zardi e voglio ricordare che quando la televisione italiana faceva il suo dovere ci furono due magnifiche serie in più puntate su testi di Federico Zardi: i Giacobini e i Camaleonti, con degli ottimi cast, cercherò di rintracciarne le informazioni, se Giuliano mi aiuta. Dissero che il film di Rosi è difficile da seguire per l'alternarsi dei flash back, mentre è organizzato con fermezza attorno a grumi (non trovo altra parola): Portella della Ginestra, il processo di Viterbo, Salvatore Giuliano come morte/obitorio/cimitero, la trama per l'eliminazione del bandito, tutta in notturno, il caffé avvelenato a Pisciotta in carcere.
Negli anni delle imprese della banda Giuliano io facevo le elementari e in casa mia era accaduta una cosa importante: entrava il giornale, che era il Resto del Carlino, non solo, alla domenica c'era la rivista, La Domenica del Corriere. Costituirono le mie prime letture, al di fuori dei sillabari appena lasciati. Non guardavo né la prima né la terza pagina (che però sdocchiavo curioso), leggevo invece le notizie dei delitti e dei briganti. E' ora che lo confessi: facevo il tifo per Giuliano e la sua banda, con quei cognomi strani, inusuali per un emiliano come me: Terranova, Genovesi, Cucinella, Frank Mannino, Sciortino, Passatempo, Pisciotta, Badalamenti (me li ricordo senza cercare in Google). Avevo visto qualche film western e avevo bisogno, come tutti i maschietti, di un po' di epica purchessia. Anni dopo, lessi tutte le cronache del processo di Viterbo, paginoni che non finivano più e che tanti, non solo io, leggevano voracemente. E mi ricordo bene una cosa che disse Pisciotta e che non viene detta nel film: i nomi dei mandanti, ed erano nomi grossi, qualcuno anche molto lungo. Negli articoli la tendenza prevalente era che Pisciotta fosse matto o volesse semplicemente fare chiasso, sembrava impossibile che ci fosse un tale coinvolgimento.
Solo che nel 2003 Paolo Benvenuti ha fatto un film, "Segreti di stato", in cui torna su Portella della Ginestra e sui mandanti ad altissimo livello. D'altra parte, non vedo proprio come potesse essere altrimenti: questi della banda Giuliano, ormai al di fuori dei movimenti separatisti, andavano avanti con i sequestri di persona e con reati contro il patrimonio e le persone. Perché andare il Primo Maggio a sparare a Portella della Ginestra? Per odio contro i comunisti? Suvvia, avevano altro da fare: o non furono loro o se lo furono qualcuno che poteva glielo aveva commissionato. Credo che nel film di Benvenuti ci siano i nomi che fece Pisciotta, i nomi che gli costarono il caffé avvelenato.
Il film di Francesco Rosi è stato meritoriamente restaurato nel 1999, quasi quarant'anni dopo la sua uscita, quarant'anni in cui in Sicilia sono successe cose che né al processo di Viterbo né quando si faceva il film nessuno avrebbe mai immaginato, si vede proprio che il peggio non è mai morto. Però quello che fa intendere Rosi si è rivelato vero, perché la battaglia apparente è fatta dai pupi (Giuliano era un burattino che faceva ormai solo danno, quindi occorreva eliminarlo), ma siamo ancora qui a discutere sui pupari. Purtroppo, dopo il film di Rosi ci sono stati solo pochi film, di cui alcuni buoni, anche se non di questo livello, credo anche perché molti si siano stancati di una certa ripetitività, solo che la ripetitività non è nei registi, ma nei fatti.
domenica 13 gennaio 2008
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7 commenti:
Che post, Solimano!
L'hai presa un po' alla lontana eppure si legge tutto di un fiato e si imparano un'infinità di cose. Rimango senza parole di fronte alla tua capacità di scavare, collegare, raccontare...
Chapeau!
H.
Gran post, Solimano.
Un ottimo esempio di "cinema applicato", se mi passi la fantasiosa espressione.
E, concedimelo, io a Travaglio di sigarette gliene avrei offerte due. Che Grillo è il termometro lo pensavo da tempo anch'io.
Un caro saluto
Laura
Io invece mi sono guardato bene la foto di Salvo Randone.
Dalle sue foto non si direbbe mai che sia stato un attore così grande, e così profondo; sembrerebbe quasi inespressivo, e invece quando c'è fa sempre saltare sulla sedia, o venire un brivido su per la schiena.
Un giorno di questi gli facciamo un post su misura, anzi: uno special.
Habanera e Laura, rimango in tema facendo due esempi.
L'altra sera ho visto e sentito in televisione lo scrittore Tabucchi, su cui le opinioni sono diverse, ma che è un intellettuale con meriti innegabili. Attualmente vive in Francia. In TV ha detto che c'è una grande differenza fra l'Italia e gli altri paesi a livello della presenza dei politici in TV (talk show etc). In Italia è la regola, ogni sera, su una rete o sull'altra, c'è qualche talk show. All'estero è del tutto eccezionale, succede raramente.
Solo che ci siamo tutti abituati e crediamo che sia una cosa normale. E' un esempio palese di invasività della politica in assenza di anticorpi.
Secondo esempio. E' molto difficile sapere il numero dei dipendenti di un comune. Ma supponiamo che riusciate a saperlo, vi diranno subito che il comune è sotto la pianta organica (lo dicono perché hanno la coda si paglia, e sanno che si pensa subito che siano troppi). Solo che 'sta benedetta pianta organica è stata fatta alcuni decenni fa ed intanto il mondo ha camminato, vedi il discorso dell'informatica, ma non solo. Il risultato è che ci sono uffici con personale pletorico, mentre le esigenze nuove non sono coperte. Le assunzioni nella pubblica amministrazione sono da sempre oggetto di mercato politico, immaginate il costo, ma non solo: l'inefficienza. Perché anche le carriere sono oggetto di mercato politico, e quindi uno bravo senza sponda capisce come è il giro e si cerca la boa di salvataggio, diventando meno bravo.
Gli uomini sono uguali dappertutto, ognuno cerca di prendersi più spazio che può, naturalmente, ma se c'è la tesi ci sarà anche l'antitesi. In Italia non è così (in assenza di anticorpi), l'antitesi non c'è e la tesi diventa la sintesi, con guai a non finire di ogni tipo: costi, inefficienze etc. La situazione è tanto più grave quanto più l'invasività è forte, perché si è costretti ad accettare, non hai alternative.
gracias, saludos y besos
Solimano
Vai con lo special su Randone, Giuliano!
Ho avuto per molti anni l'abbonamento a teatro insieme ai miei genitori e Salvo Randone era in assoluto il nostro attore preferito. Non ce ne perdevamo una di recita quando in scena c'era lui. Ricordo con particolare emozione un Otello in cui ogni sera Gassman e Randone si scambiavano le parti di Otello e di Iago. Sublime!
H.
complimenti per il post! lungo ma interessante (e non è facile)!
un saluto Marta
Grazie Marta! Forse in questo mio post (a cui sono personalmente molto affezionato) si sente l'indignazione lucida con cui l'ho scritto, anzi, ne sono stato scritto. A volte succede.
saluti
Solimano
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