Giulia
Quando concepì “Sinfonia d’autunno" Bergman stava attraversando una crisi depressiva. Così scrive lui stesso: «La notte dopo l'assoluzione, (era stato accusato di frode fiscale) non riuscendo a dormire nonostante il sonnifero, mi viene l'idea di fare un film su una madre e una figlia, che devono essere impersonate da Ingrid Bergman e Liv Ullmann, e soltanto da loro... Sinfonia d'autunno fu concepito durante alcune ore notturne, dopo un periodo di totale blocco creativo».
La scelta per Liv Ullmann era chiara: l'attrice norvegese era una delle sue attrici preferite ed era stata anche la sua compagna di vita da cui ha avuto una figlia, Linn. Meno scontata era la scelta di Ingrid Bergman che non aveva mai recitato con il regista. I due si erano conosciuti a Parigi all'inizio degli anni Sessanta ed è proprio in questa occasione che il regista parla all'attrice di una loro eventuale collaborazione in un prossimo film.
Dopo questo incontro i due Bergman si scrivono di tanto in tanto e solo dopo qualche anno però Ingmar mantiene la promessa.
Il regista ricorda a tale proposito che, durante la proiezione di "Sussurri e grida" al Festival cinematografico di Cannes nel 1973, fu la stessa attrice a ficcargli una letterina nella tasca della giacca in cui gli ricordava la vecchia promessa di fare un film insieme e questo episodio viene confermato dall’attrice nella sua autobiografia. Bisogna, inoltre, ricordare che l'attrice era nata in Svezia e per lei era anche un ritorno a casa.
Il regista, dopo molto tempo, fa finalmente recapitare all'attrice la prima stesura del manoscritto di Sinfonia d'autunno e l'invita nell'isola di Farö, dove risiede da quasi quarant'anni. «Acconsentii anche se gli svedesi sono molto restii a invadere la vita privata degli altri. Per noi la vacanza ideale è quella che si fa lontano da tutti», scrive a questo proposito Ingrid Bergman.
Il film è ambientato in Norvegia, in alcuni studi cinematografici nei pressi di Oslo, che erano stati costruiti nel 1914 e non erano mai stati ammodernati.
Dietro le quinte di "Sinfonia d'autunno" i rapporti tra i due Bergman non erano dei più sereni. Ingrid gli fa presente che non ritiene verosimile la crudeltà del rapporto tra madre e figlia che scaturisce dalla sceneggiatura. Il regista è inflessibile: «Ci sono donne così. Rifiutano di essere disturbate dai loro figli. Non vogliono perdere tempo con i loro problemi. Hanno la loro vita, la loro carriera. Tutto il resto non conta. È di una donna così che ho voluto parlare».
Nonostante Ingmar Bergman fosse abituato a dirigere quasi sempre con gli stessi attori con cui riusciva subito ad intendersi, è comunque convinto che solo Ingrid è in grado di interpretare quel personaggio di madre e decide di andare avanti nel progetto.
A fare a volte da intermediaria fra i due fu Liv Ullmann con i suoi gesti di amicizia verso i due Bergman e interpretando il ruolo di Eva con straordinario pathos sebbene tutta l'attenzione di Ingmar fosse rivolta a lngrid.
Dopo le prime prove, il regista ottiene quello che vuole. Ingrid Bergman reagisce esprimendosi al meglio, si cala perfettamente nella parte e questa sarà giudicata da molti come una delle sue migliori interpretazioni. L’attrice per questo film sarà poi candidata all'Oscar del 1977 come migliore attrice.
Bisogna ricordare che Ingrid, in quel periodo, era già malata di cancro al seno ed era reduce da una pesante chemioterapia. Faceva fatica a ricordare la sua parte, ma lottava senza desistere. Di questo male morirà nel 1982.
Il film è un lungo e alterno monologo di una madre e di una figlia: una madre celebre non interessata a tutto ciò che non è lei stessa e una figlia amorevole e maldestra. E’ un film con molti primi piani di volti, su cui le parole incidono le forti emozioni.
Due attrici eccezionali, Ingrid Bergman, madre altera, su cui pesa la sua celebrità di pianista e la figlia, Liv Ullmann, danno a questo scontro tutta la sua asprezza.
«È un film per due attrici», ha detto Bergman, «o piuttosto per due violoncelli, dato che il tono è grave » Per questo il film nell'originale si chiama "sonata" e non "sinfonia".
Dopo l'entusiasmo dell'incontro che avviene dopo ben sette anni di lontananza e i primi convenevoli, pian piano le maschere della vita quotidiana scivolano dai loro volti e le due donne si rispecchiano l’una nell’altra: tutti i conflitti rimasti sepolti per tanti anni, le zone d'ombra emergono alla luce con tutta la loro drammaricità.
In questo post comincerò a soffermarmi su Ingrid Bergman che è all’ultima sua interpretazione cinematografica. Parlerò quindi della Bergman matura, già malata di cancro, ma che recita in questo film con un'intensità straordinaria e coinvolgente.
Charlotte arriva all'improvviso. All'apparenza è di ottimo umore, anche se ha perso da poco Leonardo, l'ultimo compagno. L'incontro tra madre e figlia è emozionante, le due si abbracciano, si scambiano cortesie e affetto.
Charlotte, la madre è una donna bella, elegante, affascinante. Il contrasto tra le due figure è immediatamente visibile anche solo nell''aspetto fisico: la mamma sembra quasi occupare tutta la scena e relegare la figlia ad una figura di secondo piano.
La abbraccia e, dopo pochi scambi d'afffetto, inizia a parlare subito di sé, dei suo mal di schiena, di quanto la sua vita sia difficile.
E' molto provata per avere assistito Leonardo, il suo compagno, scomparso da poco dopo lunga malattia e, mentre ne parla, i suoi occhi si riempono di lacrime..La scelta per Liv Ullmann era chiara: l'attrice norvegese era una delle sue attrici preferite ed era stata anche la sua compagna di vita da cui ha avuto una figlia, Linn. Meno scontata era la scelta di Ingrid Bergman che non aveva mai recitato con il regista. I due si erano conosciuti a Parigi all'inizio degli anni Sessanta ed è proprio in questa occasione che il regista parla all'attrice di una loro eventuale collaborazione in un prossimo film.
Dopo questo incontro i due Bergman si scrivono di tanto in tanto e solo dopo qualche anno però Ingmar mantiene la promessa.
Il regista ricorda a tale proposito che, durante la proiezione di "Sussurri e grida" al Festival cinematografico di Cannes nel 1973, fu la stessa attrice a ficcargli una letterina nella tasca della giacca in cui gli ricordava la vecchia promessa di fare un film insieme e questo episodio viene confermato dall’attrice nella sua autobiografia. Bisogna, inoltre, ricordare che l'attrice era nata in Svezia e per lei era anche un ritorno a casa.
Il regista, dopo molto tempo, fa finalmente recapitare all'attrice la prima stesura del manoscritto di Sinfonia d'autunno e l'invita nell'isola di Farö, dove risiede da quasi quarant'anni. «Acconsentii anche se gli svedesi sono molto restii a invadere la vita privata degli altri. Per noi la vacanza ideale è quella che si fa lontano da tutti», scrive a questo proposito Ingrid Bergman.
Il film è ambientato in Norvegia, in alcuni studi cinematografici nei pressi di Oslo, che erano stati costruiti nel 1914 e non erano mai stati ammodernati.
Dietro le quinte di "Sinfonia d'autunno" i rapporti tra i due Bergman non erano dei più sereni. Ingrid gli fa presente che non ritiene verosimile la crudeltà del rapporto tra madre e figlia che scaturisce dalla sceneggiatura. Il regista è inflessibile: «Ci sono donne così. Rifiutano di essere disturbate dai loro figli. Non vogliono perdere tempo con i loro problemi. Hanno la loro vita, la loro carriera. Tutto il resto non conta. È di una donna così che ho voluto parlare».
Nonostante Ingmar Bergman fosse abituato a dirigere quasi sempre con gli stessi attori con cui riusciva subito ad intendersi, è comunque convinto che solo Ingrid è in grado di interpretare quel personaggio di madre e decide di andare avanti nel progetto.
A fare a volte da intermediaria fra i due fu Liv Ullmann con i suoi gesti di amicizia verso i due Bergman e interpretando il ruolo di Eva con straordinario pathos sebbene tutta l'attenzione di Ingmar fosse rivolta a lngrid.
Dopo le prime prove, il regista ottiene quello che vuole. Ingrid Bergman reagisce esprimendosi al meglio, si cala perfettamente nella parte e questa sarà giudicata da molti come una delle sue migliori interpretazioni. L’attrice per questo film sarà poi candidata all'Oscar del 1977 come migliore attrice.
Bisogna ricordare che Ingrid, in quel periodo, era già malata di cancro al seno ed era reduce da una pesante chemioterapia. Faceva fatica a ricordare la sua parte, ma lottava senza desistere. Di questo male morirà nel 1982.
Il film è un lungo e alterno monologo di una madre e di una figlia: una madre celebre non interessata a tutto ciò che non è lei stessa e una figlia amorevole e maldestra. E’ un film con molti primi piani di volti, su cui le parole incidono le forti emozioni.
Due attrici eccezionali, Ingrid Bergman, madre altera, su cui pesa la sua celebrità di pianista e la figlia, Liv Ullmann, danno a questo scontro tutta la sua asprezza.
«È un film per due attrici», ha detto Bergman, «o piuttosto per due violoncelli, dato che il tono è grave » Per questo il film nell'originale si chiama "sonata" e non "sinfonia".
Dopo l'entusiasmo dell'incontro che avviene dopo ben sette anni di lontananza e i primi convenevoli, pian piano le maschere della vita quotidiana scivolano dai loro volti e le due donne si rispecchiano l’una nell’altra: tutti i conflitti rimasti sepolti per tanti anni, le zone d'ombra emergono alla luce con tutta la loro drammaricità.
In questo post comincerò a soffermarmi su Ingrid Bergman che è all’ultima sua interpretazione cinematografica. Parlerò quindi della Bergman matura, già malata di cancro, ma che recita in questo film con un'intensità straordinaria e coinvolgente.
Charlotte arriva all'improvviso. All'apparenza è di ottimo umore, anche se ha perso da poco Leonardo, l'ultimo compagno. L'incontro tra madre e figlia è emozionante, le due si abbracciano, si scambiano cortesie e affetto.
Charlotte, la madre è una donna bella, elegante, affascinante. Il contrasto tra le due figure è immediatamente visibile anche solo nell''aspetto fisico: la mamma sembra quasi occupare tutta la scena e relegare la figlia ad una figura di secondo piano.
La abbraccia e, dopo pochi scambi d'afffetto, inizia a parlare subito di sé, dei suo mal di schiena, di quanto la sua vita sia difficile.
“Ha lasciato un gran vuoto dentro di me" dice alla figlia, poi riprende il suo tono e dice: "ma non serve piagnucolare”.
Ed ecco che cambia il suo atteggiamento concentrandosi sulla sua persona. Si rivolge alla figlia e le chiede “Mi trovi tanto cambiata in questi anni? Certo mi sono tinta i capelli... Leonardo odiava i capelli grigi...” "Ti piace questo completo? L'ho comprato in una boutique di Zurigo per pochi soldi”. L'aspetto fisico, si capisce, ha per lei una grande importanza.
Parla e si guarda allo specchio, il volto scialbo e stanco della figlia sullo sfondo come nella vita.
Charlotte sembra, soprattutto, non voler lasciar spazio al silenzio che potrebbe dar voce alle parole di Eva, la figlia, e parla, parla, si racconta. Non conosce il dialogo, ma solo il monologo. Poi si ferma e le dice di raccontarle qualcosa di lei, ma, non appena Eva comincia a parlare, la interrompe per ripartire a parlare di sè.
Parla dei suoi successi, del suo ultimo concerto. “E' stato un trionfo, ma mi sono stancata moltissimo”.
La figlia, gli occhi fissi su di lei, la guarda senza fiatare.
Parla dei suoi successi, del suo ultimo concerto. “E' stato un trionfo, ma mi sono stancata moltissimo”.
La figlia, gli occhi fissi su di lei, la guarda senza fiatare.
Poi finalmente Eva riesce ad inserirsi per dirle: “Helena è qui” e a questo punto tutta la sicurezza della donna sembra infrangersi, il volto si fa cupo, lo sguardo perso. Poi il rimpovero: "perchè non me l'hai detto prima?"... “Se te lo dicevo, non saresti mai venuta a trovarmi”. A questo punto sembra Charlotte in difficoltà.
Capiamo che si è introdotto un tema proibito, che la pianista avrebbe voluto cancellare dalla sua mente e dalla sua storia.“Helena vive con noi da due anni. Te l'ho scritto. Te ne sei dimenticata”. Il tono di rimprovero della figlia è chiaro.
Si capisce allora che si parla di una figlia malata che era stata internata in una casa di cura in cui veniva “trattata con tanto riguardo”.
Si sa, la malattia invalidante di una figlia porta disonore in un famiglia oltre che dolore, e sicuramente ancora di più in una famiglia agiata, dove una mamma fa carriera ed è famosa.
Ma tutto ciò non viene detto, è sottinteso, lo sanno, ma non lo esplicitano. Il fatto che la figlia abbia voluto prendere al sorella con sé è per la mamma come uno schiaffo, come dirle, tu non ne sei stata capace. Giochi sottili, nascosti che man mano si fanno strada nel dialogo. L'abilità di Charlotte è quella di scansare i problemi, di aggirare i discorsi che possono andare troppo in profondità, anche se la Bergman sa rendere con straordinaria efficacia i momenti di difficoltà: il suo sguardo a volte si fa cupo, commosso per poi tornare ad essere luminoso e accattivante.
E l'incontro avviene. Helena è emozionata, abbraccia la mamma, la cerca. Charlotte, dopo un momento di disagio, si riprende e recita la parte della mamma premurosa. Ma non capisce la figlia, è Eva a tradurre ogni suo balbettio o tentativo di comunicare: la voce è inceppata, la parola esce a stento e con fatica La madre, allora, pensa di assolversi dai rimorsi regalando alla figlia malata una carezza e un orologio.
Finalmente sola in camera dà libero sfogo ai suoi pensieri e lo fa il più delle volte guardandosi allo specchio come parlando ad un'altra da sè. Il senso di colpa la perseguita sempre e non le lascia vivere la sua vita serenamente. Avrebbe fatto meglio a non venire a trovare la figlia. Ma se ne sarebbe andata via presto, avrebbe fatto un viaggio. Sembra che ogni volta che Charlotte arriva a toccare i nervi più sensibili, trovi un modo per fuggire a se stessa oltre che agli altri.
Si idealizza la famiglia quando si è lontani, ma poi quando si precipita nelle vecchie dinamiche, allora si vuole scappare di nuovo invece che affrontarle. Dopo tanti anni ci si aspetta che qualcosa accada… e si pensa che il tempo faccia tutto da solo, ma le ferite vecchie sono vive anche se nascoste.
L’ha sentita tutta la sofferenza di Helena… una sofferenza per lei insopportabile, “quel suo tenero caldo corpo così tormentato”… e di nuovo il desiderio di fuggire. Si guarda allo specchio e si dice: “devi farcela Charlotte”.
Rinnega la sua fragilità, scansa quella degli altri, quella che si nasconde insidiosa in ogni piega dell’animo umano: ecco, si metterà il vestito rosso per sfidare Eva che l’ha messa in un situazione di così grande imbarazzo. Le darà fastidio, metterà in risalto col suo color aggressivo e sensuale tutta la sua distanza e la sua superiorità.
E tutto avviene come in un copione, Victor, il marito di Eva, versa lo champagne nei calici…
Eva accende le candele, la tavola è apparecchiata e la recita ha inizio...
Lei scende come una regina le scale e siamo di nuovo a teatro: la madre interpreta la sua parte, la figlia la sua… Brindano.
Poi arriva la telefonata di affari, un altro concerto, la sua vita riprende come sempre, come se niente fosse. Tutto sembra aver ritrovato un ordine, è a suo agio nella parte della persona ricercata e apprezzata. Ecco di nuovo la Charlotte sicura di sè, forte del suo facino. Il mondo di sua figlia in quel momento sembra non esistere più.
Poi vede un pianoforte, si avvicina. Vede sul leggio i preludi di Chopin, chiede a Eva di suonare, lei è esitante, ma contenta come lo è una figlia che desidera far vedere alla mamma i suoi progressi, ma teme il suo giudizio anche se glielo chiede.
Mentre la figlia si cimenta lo sguardo di Charlotte non potrebbe essere più eloquente. Elude le domande, ma la figlia insiste: vuole sapere il suo parere, capisce di non esserle piaciuta… ed ecco la madre va al pianoforte…
"Chopin era emotivo ma non lezioso…" dice. Parlando di Chopin indirettamente colpisce a fondo la figlia: "Chopin era fiero, sarcastico, tormentato sensuale e molto virile, in poche parole non era una donnetta sdolcinata".
Ogni suo movimento è elegante, studiato, fiero..
Eva guarda intensamente la mamma, i loro sguardi quasi mai si incontrano nè tanto meno si parlano, poi Eva, umiliata, li abbassa, mentre la mamma continua a suonare. Il contrasto è altissimo.
La lontananza, il muro che separa madre e figlia, si fa ancora più palpabile quando Charlotte trova Eva nella camera del figlio morto molto piccolo che ha lasciato un gran vuoto. Di fronte al dolore della figlia, Charlotte si ritrae, sembra quasi infastidita eppure ci aspetteremmo almeno un po' di pietà. Eva parla del bambino, cerca di confidarsi, ma lei appare sempre più rigida, non vuole ascoltare e la invita a fare una passeggiata. Il discorso appassionato di Eva cade nel vuoto…
La sera guardano, anche insieme al marito di Eva, le foto del bambino: per Charlotte è veramente troppo. Quel volto di bimbo sorridente la sconvolge, ma tace: visibilmente è scossa, ma la commozione fa male e, quando le danno in mano la foto del bimbo, quasi non la guarda e la appoggia sul tavolo. Di nuovo sente che vogliono farla sentire in colpa, perchè anche quella volta era stata assente e subito si giustifica: stava suonando, registrando Mozart, non era libera.
Quando Eva si allontana per un attimo Charlotte parla con Victor e le dice di essere preoccupata per la figlia che, secondo lei, non sta bene, che i suoi nervi stanno cedendo.
Poi si prepara per dormire e affrontare l’insonnia. La tensione della giornata sembra trovare un attimo di tregua. La figlia si occupa con dedizione di lei e si scambiano la buona notte.
Charlotte torna se stessa. Fa i suoi conti, l'amante le ha lasciato un bel po' di denaro e lei parla scherzando con lui come fosse lì presente. Il giorno dopo avrebbe comprato una macchina nuova e avrebbe regalato quella vecchia a sua figlia. Fa i suoi progetti e al centro di questi c'è lei, solo lei...
Ma la notte non conosce barriere e ciò che rimane seppellito emerge prepotentemente sotto foma di incubo. Si sveglia impaurita gridando e chiedendo aiuto. Le luci si accendono nella casa ed Eva incontra la mamma sola nella sala. Charlotte ha un momento di debolezza e le chiede: "Eva io ti piaccio?" "Certo sei mia madre. Ed io ti piaccio?"
E' l’ora della resa dei conti.
4 commenti:
Giulia, su questo argomento credo due cose:
1. Che non si esageri mai, a carezzare i figli piccoli.
2. Che non si esageri mai, a ritrarsi presto quando i figli crescono.
Proprio come fa la gatta, che per quaranta giorni accudisce i gattini in tutto, e al quarantunesimo giorno li allontana definitivamente. O come fa l'orsa per un periodo più lungo, ma poi via via.
L'iniziazione vera è divenire figli di se stessi. Se non succede, spesso il ricatto è reciproco una folie à deux diffusissima, specie fra madre e figlia (ma anche fra madre e figlio ed è ancor peggio).
L'attaccamento propietario o servile (tout se tient) complica maledettamente le cose.
Mentre bisogna essere funzione di stato, non funzione di funzione, per dirla matematicamente.
Istintivamente, in questo film simpatizzo più per la madre che per la figlia. Ha ragione: Chopin non è lezioso, e va detto, perché il Signor Chopin è più importante di cosa pensa la madre della figlia o la figlia della madre. Ma cristianismi e freudismi (in realtà possessivismi) continueranno a ricattare col tu sei cattivo se non fai così. Mentre ci si dovrebbe dire mi faccio male a continuare così. E faccio anche male agli altri, che di una bella sberla avrebbero bisogno, così si svegliano. L'amore non può essere comandato: o c'è o non c'è. Ma col comandarlo si ingenerano sensi di colpa che permettono allla madre di controllare la figlia ed alla figlia di controllare la madre. Una complicità nefasta: io nopn sono OK, tu non sei OK. e tutte e due sono scontente, proprio quello che vogliono.
Non ho parlato di questo grande film e di queste due interpreti spettacolose e forse fra loro coalizzate nel trangugiarsi il povero e grandissimo Ingmar Bergman, a cui si potranno fare delle critiche, tranne una: che non credesse all'esistenza delle donne.
grazie Giulia e saludos
Solimano
Solimano, concordo con quello che dici. La mamma è quello che è, ma la figlia fa la sua parte. Ho diviso in due questo film perchè nella seconda viene molto fuori ciò che si nasconde dietro.
Anche l'atteggiamento della figlia è ricattoso.
Su una cosa concordo pienamete: sui due punti con cui hai iniziato, cosa che si fa molto poco. I figli, soprattutto qui in Italia, non li si lascia mai andare
Bergman ne suoi film dimostra di conoscere molto bene alcune dinamiche della psicologia delle donne...
Ma una figura interessante in questo film anche se più in ombra (ma non troppo) è anche quella del marito
Grazie
Giulia
Hai fatto una buona scelta per ritrarre Ingrid Bergman. Non i suoi film più "famosi", ma questo bellissimo film -ma quale film di Berman non è bellissimo?- in cui l'attrice mostra le sue grandi qualità.Aspetto con impazienza la seconda parte; il film l'ho visto, ma non lo ricordo bene.
segnalo un post davvero interessante: http://khayyamsblog.blogspot.com/2010/02/ingmar-bergman-angeli-e-demoni.html
Posta un commento