venerdì 9 maggio 2008

Tangos - L'esilio di Gardel

Tangos, l'exil de Gardel, regia e sceneggiatura di Fernando Ezequiel Solanas (1985) Con Marie Laforêt, Miguel Ángel Solá, Philippe Léotard, Lautaro Murua, Ana Maria Picchio, Marina Vlady, Georges Wilson Musica: José Luis Castiñeira de Dios, Astor Piazzolla Fernando Ezequiel Solanas Fotografia: Félix Monti (119 minuti) Rating IMDb: 7.7

Giulia sul suo blog Pensare in un'altra luce

Alba sulla Senna. Due silhouette danzano il tango su un ponte di Parigi seguendo la musica di Astor Piazzolla. Un uomo suona il bandoneon sotto l’arco del ponte, al di là del quale si ammira la mole di Notre Dame. I due ballerini sono ora sul lungosenna, nelle prime inquadrature era primavera, ora è inverno, l’uomo indossa un pesante cappotto e tiene in mano una valigia.
Questo è l’inizio di "Tangos – L’esilio di Gardel", un "musical", diretto dal regista argentino Fernando E. Solanas. Numeri musicali si succedono uno dopo l’altro e si intrecciano con la storia. E' un'antologia di tango: una ventina di straordinari ballerini, la grande orchestra di Osvaldo Pugliese, le musiche originali di Astor Piazzolla, canzoni vecchie e nuove e la voce di Carlos Gardel: "è la nostra voce e la nostra parola, - dicono di lui gli argentini - stretta dall'angoscia, intirizzita dal dolore... non c'è un solo uomo o una sola donna capace di trasmettere come lui una nostalgia, una pena, un amore, un'indignazione". Gardel è la voce di chi vive nell'esilio, di quelli che vivono all'estero e di quelli esiliati in patria.

E' un film sull'esilio, quindi, un film doloroso e drammatico, ma a tratti ironico. Non a caso al tango, che canta la nostalgia senza speranza, mescola la milonga, che sa essere grottesca, pungente, satirica. Come il tango, è anche profondamente erotica.

E’ Maria che racconta la storia, ha vent'anni, vive a Parigi da qualche anno con la madre, il padre scomparso in Argentina. Racconta la storia della sua, della loro solitudine, delle ricerche e delle soluzioni adottate per continuare a vivere. E gli sforzi del "gruppo" si concentrano sulla realizzazione di una "tanghédia" (tango+tragedia+commedia), i cui testi o meglio temi arrivano via via dall'Argentina scritti da Juan; a Parigi un altro Juan (Juan Due, il primo è Juan Uno) compone la musica e si incarica di organizzare la rappresentazione con l'aiuto di un giovane regista francese.

Il film vuole ricordare la dittatura militare argentina tra il 1976 e il 1983 che fu particolarmente dura: non si possono dimenticare gli squadroni militari che sequestravano gli oppositori politici, li torturavano e li uccidevano, che migliaia sono stati i morti e decina di migliaia i desaparecidos. La maggior parte di loro gettata nel Rio della Plata in quelli che si chiamarono "i voli della morte". Non si può dimenticare che fu anche allestito in quegli anni un piccolo ospedale con un reparto maternità clandestino, dove i militari attendevano che le ragazze incinte sequestrate portassero a termine la gravidanza per sottrarre loro i bambini, che venivano affidati a famiglie di militari o poliziotti, prima di ucciderle.Tutto questo viene ricordato nel film.

Ma "Tangos" è, anche, un film che s'interroga su se stesso, sul cinema, sull'arte.
"Niente creatività senza rischi", dice un personaggio. I suoi rischi, Solanas se li è assunti con audacia, ma anche con una matura padronanza dei mezzi espressivi. E il regista non manca di evidenziare nella storia i contrasti fra la razionale concezione francese dello "spettacolo" e della rappresentazione e quella sensitiva e improvvisata degli argentini.
La poetica di Juan Uno è tutta racchiusa in una labirintica valigetta: ritagli, scarabocchi, appunti presi sui pezzi di carta più folli, dai tovaglioli alla carta igienica. "Gettare dalla finestra i canoni estetici,- egli dice - mischiare i generi, rischiare la bruttezza per trovare la bellezza. La perfezione è morte, viva la vita. Juan Uno è così. Scrive senza logica...". Ma Pierre, da bravo europeo, la logica la pretende: "Juan, senza finale diventa una cazzata!". Su questa dialettica vive Tangos: a Solanas non interessa la perfezione, e in Tangos persegue con coraggio una miscela tra un cinema puro, classico, e una struttura il più possibile aperta, a schidionata.

Per di più Juan Uno non manda il finale. Ma quale può essere il finale dell'"Esilio di Gardel”? L'esilio ha una fine? I segni di democrazia sono definitivi, per l'Argentina? La vera Argentina è quella dell'infanzia o quella del ricordo o del tragico passato prossimo, della nostalgia, del sogno, del futuro? Tutto rimane aperto, nella "tanghédia" da rappresentare, e nel film di Solanas. Tutto rimane aperto perchè i pericoli della dittatura sono sempre presenti, l'apertura è tensione, tenere vivo l'allarme, lavorare perchè, come dicono gli argentini, quello che è successo non succeda "Nunca mas".

L’esilio è assenza, perdita. Si è costretti a vivere un’altra realtà, un altro tempo, un’altra vita. Si esiste convocando gli assenti. Si prende l’abitudine di parlare, di vivere con loro anche se sono morti. L’esilio è anche un grande viaggio introspettivo. Una crisi profonda dalla quale pochi riescono a fuggire. Gerardo, il vecchio che è un po’ la "memoria storica" del gruppo di esiliati, parla letteralmente con San Martin e Gardel, in una sequenza onirica che è uno dei punti più alti dei film.

E nei suoi film Solanas ha un intento chiaro:

"l'emotività del pubblico deve essere sollecitata in modo tale da provocare non l'identificazione passiva con le vicende e i personaggi presentati, ma la riflessione critica su di essi; a tal fine la struttura del racconto cinematografico viene continuamente frantumata, svelata, sconvolta, messa in discussione, negata, al fine di penetrare dentro la struttura stessa, dentro le convenzioni e così comprenderle a fondo, capirle, superarle".

E davvero questo film ci mette in questa dimensione. Richiede impegno nel seguirlo, nell’interpretarlo. Pone domande, lascia in sospeso le risposte. Ci immedesimiamo e ci perdiamo, seguiamo una scena e ci ritroviamo in un'altra... E’ un film molto argentino e sugli argentini, ma che coinvolge tutti e interroga tutti: chi siamo noi, chi sono quelli che per un motivo o per l’altro sono costretti a scappare dal loro mondo, quale rapporto ci può essere con loro? Chi sono i responsabili dello “spaesamento” di tante persone? Come mantenere viva, là dove c'è, la democrazia, come mantenere viva la parola "libertà", attribuirle il giusto significato?

E, infine, che faranno tutti coloro che, come Maria, non appartengono più nè ad un mondo nè ad un altro? Problemi di grande attualità.

5 commenti:

Giuliano ha detto...

Di Carlos Gardel (che era francese di nascita) ho un bel disco che ascolto spesso.

Quanto alla dittatura argentina, è stata atroce: oggi vengono a galla le storie (da tragedia greca) dei bambini cresciuti da persone che gli avevano ammazzato i genitori.
Qui da noi, si può parlar male di tutti ma non di Pinochet, e Videla non sanno nemmeno chi è...
(Una delle cose più tristi che io ricordi, Giovanni Paolo II al balcone con Pinochet, quasi sottobraccio).

Solimano ha detto...

Peggio fu il cardinale Laghi, che era in strettissimi rapporti con Videla e con gli altri della giunta militare, diversi dei quali mi sembra fossero di origine italiana.
Ma sull'Argentina in particolare e sull'America del Sud in generale c'è un discorso che trovo in parte in ciò che scrive Giulia. C'è l'assenza di un discorso credibile da parte della sinistra: da Carlos Altamirano in Cile, quello della rivoluzione sulla canna del fucile, al Che Guevara in Bolivia, un velleitario che avrebbe fatto meglio, se ci credeva, a sviluppare la democrazia a Cuba (che ce n'è ancora tanto bisogno), ai tupamaros, a quello che da sempre succede in Colombia. Non si possono offrire delle alternative utopiche, sognanti o terroristiche. Difatti Lula in Brasile ha fatto una marcia lunga e politica, ma di politica fra le persone e per le persone. Perché, prima di ascoltare fumisterie di ogni tipo, discorsi moralistici (che sono buoni tutti), sogni e compagnia bella, ci sono due cose da prendere in considerazione prioritaria. Che cosa si fa per non disgustare i nostri elettori, e che cosa si fa per convincere quelli che nostri elettori non sono. Quando sento discorsi che non partano da queste due priorità, non li ascolto più, perché è tempo perso, meglio fare dell'altro. Per essere ancora più chiaro, adesso tutti a ridere perché ministro della cultura è Bondi. Ma che cosa ha fatto Rutelli, per la cultura? A me risulta solo una cosa: aver voluto o acconsentito al viaggio della Annunciazione di Leonardo a Tokio, e i dipinti su tavola non dovrebbero viaggiare. Quindi, buttarla tutta sul fatto che gli altri sono ladri o sono coglioni, a parte che non è vero, è molto comodo: si fa bella figura senza fatica. E' meglio stare molto attenti: l'Argentina è il paese che da sempre ci somiglia di più. E quindi fare quello che si può, poco o tanto che sia. Ce ne sono, delle opportunità in rete! Ma il 95% non vanno al di là delle dichiarazioni di principio.

grazie Giulia e saludos
Solimano
P.S. E comunque il tango non è, come diceva non so chi, un pensiero triste che si balla, il tango è passione, tragedia, erotismo, libertà per la donna e per l'uomo. E bellezza a qualsiasi età.

Giuliano ha detto...

Fermo restando che andiamo fuori tema, io sono sempre del parere che un condannato per corruzione (condannato, in tre gradi di giudizio, e non solo indagato)è un corruttore, e chi è condannato per mafia (Dell'Utri) è mafioso.
Fosse capitato a me, caro Solimano, ti beccheresti del ladro e del mafioso anche tu. (ma non dalla Sinistra, dai tuoi vicini di casa)

Anonimo ha detto...

Concordo con molte cose che dici, Solimano. Siamo tutti ancora fermi ad enunciazioni di principio senza capire come si possono mettere in pratica. Lula è però un caso controverso. Sono stata in Brasile proprio nel periodo delle elezioni... Ho avuto modo di parlare con un giornalista molto bravo che è diventato mio amico e che aveva sostenuto Lula. Era dmolto deluso, perchè anche lì la corruzione nel partito del Presidente era sotto i riflettori e lui diceva che non ne sapeva niente... Mah... Certo ha più i piedi per terra degli altri che hai nominato.

Solimano ha detto...

Giulia, io però ho due osservazioni.
La prima è che diversi anni fa a Rio de Janeiro si presentò un candidato a sindaco (credo che fosse Carlos Lacerba) che utilizzò il seguente slogan: "Io rubo ma funziono". E vinse. Questo, non per dire che è bene rubare, ma per dire che funzionare è percepito molto importante dagli elettori (secondo me, dappertutto) . Non è che i nostri abbiano dato una impressione di gran funzionamento.
Nelle stesse elezioni candidarono per sfottere l'ippopotamo dello zoo, che si dimostrò molto popolare. Mi sembra di ricordare che prendesse centomila voti.
Riguardo al tuo amico giornalista, può darsi che abbia ragione, ma se si buttasse sul versante dei sogni e delle utopie, avrebbe torto ancor più di un ladro. Siamo veramente stufi di anime belle a gratis. Credo che noi due ci capiamo.

grazie e saludos
Solimano